La Corte di Cassazione ribadisce le differenze esistenti tra le diverse forme di confisca

La Prima Sezione torna sui rimedi esperibili avverso la confisca c.d. allargata disposta in sentenza distinguendola – seppur in relazione al previgente assetto normativo – dalla confisca c.d. di prevenzione.

Lo fa, ricostruendo in dettaglio la struttura e l’evoluzione dell’istituto, anche al fine di chiarire l’equivoco in cui incorrono gli stessi Giudici distrettuali, che non conduce all’annullamento, ex art. 619, comma 1, c.p.p., non avendo spiegato influenza decisiva sul dispositivo di merito. L’assertività con la quale è possibile promuovere l’esegesi favorita è tale, per gli Ermellini, da fugare ogni dubbio, che pur nei precedenti sembrava essersi generato, scongiurando l’eventualità di dover delegare la scelta della miglior soluzione interpretativa al Massimo Consesso. Il caso. Il giudizio prende le mosse dalla condanna con la quale il Tribunale capitolino, nel 2013, ingiungeva, ai sensi dell’art. 12- sexies legge n. 356/1992, la confisca di numerosi beni, tra i quali quattro unità immobiliari, di proprietà di un soggetto imputato per svariati fatti, anche di usura ed estorsione il prevenuto interponeva gravame e la Corte d’Appello, in parziale riforma, ordinava la restituzione dei quattro immobili, poiché acquisiti in epoca lontana da quella della commissione dei delitti, confermando nel resto la prima decisione, con sentenza che passava in giudicato per l’inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dal condannato. Si innestava, quindi, nuovo procedimento derivante dal rigetto della domanda di revoca, in funzione di revisione, della confisca imposta, rivolta dal condannato alla Corte d’Appello di Roma, quale Giudice dell’esecuzione l’interessato contestava la decisione mediante ricorso di legittimità, riqualificato in opposizione al provvedimento, che veniva poi ulteriormente confermato dalla medesima Corte territoriale. Impugna l’ordinanza per Cassazione il condannato, tramite i propri difensori di fiducia, deducendo unicamente violazione di legge, con riguardo all’erronea interpretazione dell’art. 12- sexies legge n. 356/1992, poiché in primis , una serie di documenti, depositati nel fascicolo, avrebbero dimostrato la presenza di una rilevante consistenza patrimoniale del prevenuto ben prima dell’epoca di commissione dei reati contestati conseguentemente, risulterebbe violato il criterio della ragionevolezza temporale che dovrebbe governare rectius limitare la presunzione di illegittima acquisizione dei beni da parte del reo. La sentenza. Il Collegio – su parere conforme del Procuratore Generale, che con requisitoria scritta aveva domandato, in subordine, la rimessione degli atti alle Sezioni Unite, per il contrasto ermeneutico esistente circa l’ammissibilità della richiesta di revoca della confisca in argomento in sede di esecuzione malgrado il chiarimento già fornito con Cass., SS.UU. Pen., n. 57/2016, ric. Auddino – dichiara inammissibile l’impugnazione, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed a versare 3mila euro alla Cassa delle Ammende. La motivazione è in larga parte occupata, dopo il rituale riepilogo del giudizio, dall’esposizione delle caratteristiche peculiari della confisca di sicurezza, completata pure da un cenno alle recenti novelle che hanno attinto le disposizioni di riferimento. Dopo tale doverosa premessa, l’Estensore entra nel vivo della sua dissertazione, chiarendo le ragioni – differenti da quelle poste in evidenza dai Giudici di gravame – che portano a reputare inammissibile la doglianza difensiva e, con essa, il ricorso presentato. Le rilevanti differenze tra misura di prevenzione e misura di sicurezza. Ed infatti, la ricognizione s’avvia dalla necessità di ribadire la distinzione – rimasta salda, malgrado le successive riforme – tra confisca di prevenzione antimafia e la misura che riguarda il processo, ovvero la confisca allargata mentre la prima, tipica, si genera a prescindere dall’esito di eventuali processi di cognizione, dei quali al più si dovrà tener conto per eventuali interferenze cognitive, la seconda, sostanzialmente atipica in quanto diversa da quella disciplinata dall’art. 240 c.p. , trova presupposto nella condanna per i reati indicati dalla disposizione e nella sproporzione tra patrimonio e reddito dichiarato, ma non sottostà ad un nesso pertinenziale diretto tra questi ultimi ed i beni, che sono sottoposti al vincolo per mitigare il rischio di recidiva. Da tali diverse peculiarità scaturisce, poi, un altrettanto significativa diversità di rimedi esperibili per gli interessati che, in quest’ultimo caso, non potranno accedere – diversamente da quanto affermato dall’ordinanza impugnata – alla revoca in executivis , stante il trasferimento del bene a favore dello Stato già realizzatosi con l’irrevocabilità della pronuncia che l’irrogava, semmai rimanendo in capo al giudice civile, a tutela dei terzi, la competenza a risolvere eventuali controversie inerenti la pregressa proprietà di quanto sia stato confiscato tra le tante si citano, sul punto, Cass., Sez. I Pen., 10.1.2010, ric. Cavallaro, RV. 247726 conforme a Cass., Sez. I Pen., 20.1.2004, n. 3877, ric. La Mastra, RV. 227330 . Gli effetti sull’ampiezza del patrimonio confiscabile. Ciò implica che non vi sia, con specifico riferimento alla disciplina applicata, l’esigenza di condurre una disamina puntuale relativamente al momento in cui i singoli beni siano entrati a far parte del patrimonio del soggetto, laddove resti confermato quello squilibrio tra sostanze possedute e dichiarate che, unito alla condanna per taluni dei delitti indicati dalla norma, faccia ragionevolmente ritenere che tali ricchezze potrebbero facilitare la commissione di nuovi reati. L’impugnazione, dunque, risulta manifestamente infondata, salvo ogni doverosa precisazione circa l’errata lettura del quadro normativo da parte dei Giudici di appello. Conclusioni. La sentenza in esame è approfondita nelle argomentazioni che la sostengono e lineare nell’esposizione del motivo, fronteggiando efficacemente il non semplice compito di confermare la tesi di secondo grado, chiarendo però l’errore in diritto compiuto dalla Corte di merito. Sebbene abbia dovuto far applicazione del quadro normativo vigente all’epoca dei provvedimenti imposti, è proprio il livello di riflessione sulla fisionomia della misura descritta – e sulle differenze esistenti con altre forme di confisca – a renderla interessante per il giurista pratico, che potrà trovarvi un buon compendio relativo a questo settore.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 24 settembre 2018 – 1 luglio 2019, n. 28525 Presidente Bonito – Relatore Vannucci Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 26 gennaio 2013 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, dichiarò M.G. responsabile della commissione, nel periodo compreso fra il 2006 e il 2011, di numerosi delitti di usura, estorsione, lesioni personali, abusivo esercizio di attività finanziaria, lo condannò alla pena ritenuta di giustizia e dispose che allo stesso fosse confiscata, in applicazione della L. n. 356 del 1992, art. 12-sexies, la proprietà di quattro beni immobili, di beni mobili anche registrati e di danaro. Per quanto qui interessa, con sentenza emessa il 10 dicembre 2013 la Corte di appello di Roma ordinò la restituzione a tale imputato dei quattro beni immobili, la cui proprietà era stata con certezza da lui acquistata in epoca lontana da quella di commissione dei delitti confermò la confisca degli altri beni e del danaro. Con sentenza n. 47420 emessa il 7 novembre 2016 questa Corte dichiarò inammissibile il ricorso da M. proposto per la cassazione della sentenza di appello. 2. Con ordinanza emessa il 9 maggio 2016 la Corte di appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettò la domanda proposta dal condannato M. per la revoca, in funzione di revisione, della confisca di beni mobili e danaro disposta con la sentenza irrevocabile di condanna. 3. Adita dal ricorrente con l’opposizione di cui all’art. 676 c.p.p., art. 667 c.p.p., comma 4, così qualificato il ricorso per cassazione di tale ordinanza dal ricorrente presentato , la Corte di appello di Roma, con ordinanza emessa il 14 marzo 2018, ha confermato la propria precedente decisione di segno negativo. 3.1 Questa, in sintesi, la motivazione dell’ordinanza da ultimo indicata il condannato chiede la revoca della confisca di diritto speciale alla luce del contenuto di nuovi documenti non acquisiti agli atti del processo definito con sentenza irrevocabile che evidenzierebbero che in epoca lontana da quella di commissione dei delitti egli aveva una quanto mai consistente disponibilità di danaro e di titoli agevolmente convertibili in danaro tale domanda è ammissibile alla luce del principio di diritto affermato da Cass. S.U., n. 57 del 19 dicembre 2006, dep. 2007, Auddino, Rv. 234955, secondo cui la confisca disposta in applicazione della L. n. 575 del 1975, art. 2-ter, comma 3, disposizioni contro la mafia è suscettibile di revoca ex tunc, a norma della L. n. 1423 del 1956, art. 7, comma 2, misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità , allorché, alla luce del contenuto di nuove prove sopravvenute al giudicato art. 630 c.p.p., e segg. , sia affetta da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimossa nel merito, non può adottarsi il provvedimento, di segno sostanzialmente revocatorio, richiesto dal condannato, dal momento che se è vero che i documenti da questi depositati nell’incidente di esecuzione evidenziano che ben prima della commissione dei delitti egli disponeva di ingenti somme di danaro, è altrettanto vero che, anche alla luce dei documenti acquisiti al processo di merito, l’enorme disponibilità di danaro contante costituì uno dei pilastri sui quali il giudice di merito fondò la disposta confisca le disponibilità di consistenti somme di danaro da tempi anteriori alla commissione dei delitti è un dato che non soltanto emergeva con evidenza dall’incarto processuale ma che la sentenza aggredita dall’appello aveva ampiamente valorizzato la Corte di appello confermò tale decisione quanto ai beni mobili ed al danaro i documenti acquisiti per la prima volta in sede di incidente di esecuzione provano fatti già apprezzati del giudizio di merito, con conseguente non sussistenza dei presupposti per disporre la revoca, in funzione di revisione, della confisca. 4. Per la cassazione di tale ordinanza M. ha presentato ricorso atto sottoscritto dai difensori, avvocati Krogh Massimo e Tognozzi Gianluca con il quale deduce che la stessa è caratterizzata da violazione ovvero erronea applicazione del precetto contenuto nella L. n. 356 del 1992, art. 12-sexies, in quanto l’ordinanza espressamente afferma che esso ricorrente, alla luce del contenuto dei documenti depositati, era in possesso di quanto mai rilevanti disponibilità economiche da molti anni prima della commissione dei reati anni compresi fra il 2006 e il 2011 secondo l’interpretazione data dalla giurisprudenza di legittimità a tale norma di diritto speciale, la presunzione di illegittima acquisizione di beni da parte del reo deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale,dovendosi dar conto che i beni non siano ictu oculi estranei al reato perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione la sopravvenienza al giudicato formatosi sulla confisca di nuove prove che consentano, come nel caso di specie, di affermare il legittimo possesso di beni da parte del reo in tempi molto distanti dalla commissione di uno dei reati previsti dalla norma, determina il venir meno delle condizioni di legittimità che attiene all’assenza di giustificazione in ordine alla provenienza dei beni ed al loro valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica del soggetto colpito il danaro ed i titoli confiscati erano di consistenza equiparabile alle disponibilità di danaro di esso ricorrente negli anni ‘90 del secolo trascorso, ma l’ordinanza impugnata ha omesso di fare applicazione della richiamata regola di interpretazione. 5. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto secondo costante giurisprudenza di legittimità, la confisca disposta, in applicazione della L. n. 356 del 1992, art. 12-sexies, con sentenza definitiva non può essere revocata dal giudice dell’esecuzione, non essendo contemplato tale potere dall’art. 676 c.p.p. e non potendo applicarsi in tale ipotesi la disciplina della revoca prevista dalla L. n. 1423 del 1956, art. 7, che espressamente si riferisce alla sola confisca di prevenzione in ogni caso, il ricorrente omette di confrontarsi con le ragioni della decisione, avendo l’ordinanza impugnata evidenziato che nel processo di merito era noto che da molto tempo prima della commissione dei reati il ricorrente disponeva di un quanto mai ingente patrimonio, ma che la Corte di appello, con sentenza irrevocabile, aveva deciso di confermare la confisca di danaro e titoli l’ordinanza evidenzia dunque la mancanza del requisito della novità della prova previsto dall’art. 630 c.p.p., ma il ricorrente censura solo la violazione della L. n. 356 del 1992, art. 12-sexies. Il Procuratore generale segnala poi possibile contrasto interpretativo fra i principi affermati da Cass. S.U., n. 57 del 19 dicembre 2006, Auddino applicati dall’ordinanza impugnata e quelli, di segno contrario, affermati dalla successiva giurisprudenza di legittimità quanto all’ammissibilità in sede di incidente di esecuzione art. 676 c.p.p. , di revoca di confisca disposta con sentenza irrevocabile di condanna in applicazione della L. n. 356 del 1992, art. 12-sexies. 6. Il ricorrente ha depositato memoria sottoscritta dagli avvocati Krogh Massimo e Tognozzi Gianluca recante confutazione specifica degli argomenti dedotti nella requisitoria del Procuratore generale. Considerato in diritto La disciplina sostanziale e processuale della confisca di cui si discute è, in ragione del tempo in cui venne emessa la sentenza di condanna sopra indicata, dispositiva anche della confisca, quella contenuta nel D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, convertito, con modificazioni, nella L. n. 356 del 1992, nel testo vigente prima delle modificazioni a tale articolo recate dalla L. n. 161 del 2017, art. 31. Il citato art. 12-sexies prevede, per quanto qui interessa, che nel caso di condanna per delitto di estorsione art. 629 c.p. o per delitto di usura art. 644 c.p. è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica . Le sopravvenute modificazioni normative recate dalla citata legge del 2017 mantengono ferma, per quanto qui interessa, la condanna, anche mediante sentenza di applicazione di pena pattuita, per la commissione dei delitti sopra indicati, quale presupposto necessario ancorché non sufficiente per disporre la confisca di cui si discute e la presunzione, relativa, di seguito indicata, non vinta dalla giustificazione della provenienza dei beni offerta dal condannato. La condanna anche mediante sentenza di applicazione di pena pattuita per la commissione dei sopra indicati delitti al pari di quelli nominativamente elencati dalla norma costituisce, come detto, il presupposto necessario, ma non sufficiente, per disporre la confisca speciale obbligatoria in discorso, dal momento che la presunzione iuris tantum dell’origine illecita dei beni del condannato si presume che il condannato abbia commesso non solo il delitto che ha dato luogo alla condanna, ma anche altri reati, non accertati giudizialmente, dai quali deriverebbero i beni di cui egli dispone così, in motivazione, Corte Cost. sent. n. 33 del 2018 sorge non per effetto della mera condanna, ma anche dall’accertamento - con onere della relativa prova a carico del pubblico ministero - della sproporzione tra tali beni e il reddito dichiarato o le attività economiche del condannato stesso, senza che si debba ricercare alcun nesso di derivazione tra i beni confiscabili ed il reato per cui è stata pronunciata condanna, e neppure tra i medesimi beni e una più generica attività criminosa del condannato sproporzione che non consiste in una qualsiasi discrepanza tra guadagni e possidenze, ma in uno squilibrio incongruo e significativo, da verificare con riferimento al momento dell’acquisizione dei singoli beni giurisprudenza di legittimità costante cfr, comunque, per tutte, a partire da Cass. S.U., n. 920 del 17 dicembre 2003, dep. 2004, Montella, Rv. 226490 Cass. Sez. 6, n. 45700 del 20 novembre 2012, di Marzio, Rv. 253816 Cass. Sez. 1, n. 25728 del 5 giugno 2008, Cicala, Rv. 2404671 . Del pari costante nella giurisprudenza di legittimità è l’indirizzo secondo cui la presunzione in discorso resta circoscritta, comunque sia, in un ambito di cosiddetta ragionevolezza temporale ciò significa che il momento di acquisizione del bene non deve risultare talmente lontano dall’epoca di commissione del reato spia da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella per cui è intervenuta condanna in questo senso, cfr. Cass. Sez. 1, n. 11049 del 5 febbraio 2001, Di Bella, Rv. 226051 Cass. Sez. 1, n. 2634 del 11 dicembre 2012, dep. 2013, Capano, Rv. 254250 Cass. Sez. 4, n. 35707 del 7 maggio 2013, D’Ettorre, Rv. 256882 Cass. Sez. 1, n. 41100 del 16 aprile 2014, Persichella, Rv. 260529 . La stessa delimitazione temporale che Cass. S.U., 26 giugno 2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262602, ha, mutatis mutandis, affermato operante in riferimento alla misura, affine a quella in esame, della confisca di prevenzione antimafia, già prevista dalla L. n. 575 del 1965, art. 2-ter e oggi disciplinata dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 24 Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione , anch’essa imperniata sull’elemento della sproporzione tra redditi e disponibilità del soggetto, trovante un limite temporale nella stessa pericolosità sociale del soggetto, presupposto necessario per la sua applicazione. Tale regola risulta essere stata seguita nel caso di specie, risultando dall’ordinanza impugnata che con la sentenza di appello sopra indicata la confisca di taluni beni venne revocata perché il relativo acquisto da parte dell’odierno ricorrente era avvenuto in tempo quanto mai distante dalle date di commissione dei reati. La giustificazione di provenienza - allegazione idonea ad elidere la presunzione di illecita derivazione fondata sulla precedente condanna per uno dei delitti cosiddetti spia , sintomatici cioè di illecito arricchimento, e sulla sproporzione tra risorse lecitamente disponibili e valore dei beni al tempo dei rispettivi acquisti deve, per essere credibile, consistere nella prova della positiva liceità della provenienza dei beni e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta la condanna cfr. per tutte Cass. S.U., n. 920 del 17 dicembre 2003, dep. 2004, Montella, Rv. 226491 Cass. Sez. 1, n. 10756 del 18 febbraio 2009, Pelle, Rv. 242896 Cass. Sez. 2, n. 29554 del 17 giugno 2015, Fedele, Rv. 264147 Cass. Sez. 1, n. 33330 del 7 ottobre 2016, dep. 2017, Nure, Rv. 271105 . La confisca c.d. allargata prevista dal citato art. 12-sexies ha natura di misura di sicurezza patrimoniale atipica premesso che la confisca in discorso è tipica in quanto prevista dalla legge che, però, non la qualifica espressamente come misura di sicurezza, l’aggettivo è dalla giurisprudenza di legittimità utilizzato per distinguere i presupposti di applicazione del provvedimento previsto dalla disposizione di legge speciale da quelli propri della tradizionale confisca delineata dall’art. 240 c.p. in quanto prescinde da collegamento pertinenziale con il reato per la cui commissione è stata inflitta condanna dei beni che ne costituiscono l’oggetto e dall’epoca del relativo acquisto, anteriore ovvero successivo alla commissione del reato medesimo cfr., sul punto Cass. S.U., n. 920 del 17 dicembre 2003, dep. 2004, Montella, cit. Cass. Sez. 1, n. 10756 del 18 febbraio 2009, Pelle, cit. Cass. Sez. 6, n. 22020 del 22 novembre 2011, dep. 2012, Notarangelo, Rv. 252849 Cass. Sez. 5, n. 19358 del 21 febbraio 2013, Rao, Rv. 255381 tenuto conto, in particolare, della sua applicabilità sulla base dei presupposti della condanna per le tipologie di reato più gravi ed allarmanti e della sproporzione dei beni rispetto al reddito dichiarato o ai proventi dell’attività economica svolta, dell’intento di contrastare forme di accumulazione di ricchezza illecita per impedire un loro futuro utilizzo nella commissione di ulteriori comportamenti criminosi, l’istituto esplica una funzione preventiva e mantiene le caratteristiche proprie della misura di sicurezza patrimoniale di diritto speciale. La confisca di prevenzione, del pari assimilata alle misure di sicurezza patrimoniali con conseguente applicabilità della disciplina di cui all’art. 200 c.p. cfr., per tutte, Cass. S.U., 26 giugno 2014, dep. 2015, Spinelli, cit. e la confisca c.d. allargata , di cui si discute in questa sede, presentano presupposti applicativi solo in parte coincidenti, atteso che per entrambe è previsto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato e che presentino un valore sproporzionato rispetto al reddito da quest’ultimo dichiarato ovvero all’attività economica dal medesimo esercitata tuttavia solo per la confisca di prevenzione è prevista la possibilità di sottrarre al proposto i beni che siano frutto di attività illecita ovvero ne costituiscano il reimpiego così, Cass. S.U., n. 33451 del 29 maggio 2014, Repaci, Rv. 260247 che ha precisato che che la finalità di impedire l’utilizzo per realizzare ulteriori vantaggi non necessariamente reati - coerente con i profili economici della sostanza della prevenzione - ben si distingue dalla finalità propria di una misura di sicurezza atipica che comunque, attraverso l’ablazione, mira principalmente ad impedire la commissione di nuovi reati . Tale diversità di struttura delle due fattispecie giustifica una diversità di procedimenti per l’adozione, rispettivamente, della misura di prevenzione reale, disgiunta da quella personale, e della confisca c.d. allargata da parte del giudice dell’esecuzione penale quando sul punto non abbia provveduto quello di cognizione v. Corte Cost., sent. n. 106 del 2015 . Se è pacifico che, in tema di misure di prevenzione personali, il sistema offre una soluzione alternativa all’applicazione dell’istituto della revisione che, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 espressamente disciplinante l’istituto della revocazione della confisca, applicabile ai procedimenti di prevenzione iniziati dopo l’entrata in vigore di tale decreto , è rappresentato dall’istituto della revoca o della modifica della misura di prevenzione, di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 7, comma 2, anche nel caso in cui il provvedimento dispositivo di tale confisca sia divenuto definitivo in questo senso, cfr., per tutte, Cass. S.U., n. 57 del 19 dicembre 2006, dep. 2007, Auddino, Rv. 234955 , non può però condividersi la tesi fatta propria dall’ordinanza impugnata della idoneità della revoca prevista dalla legge relativa alle misura di prevenzione patrimoniali a trovare applicazione alla misura di sicurezza patrimoniale prevista dall’art. 12-sexies disposta con sentenza irrevocabile di condanna. È certamente vero che nel caso in cui sulla confisca non si sia pronunciato il giudice della cognizione relativa all’accertamento di uno dei delitti compresi nel catalogo in discorso, il diritto vivente è nel senso che la confisca di cui si discute, in quanto obbligatoria, può essere emessa dal giudice dell’esecuzione secondo la procedura prevista dall’art. 667 c.p.p., comma 4, espressamente richiamato dal successivo art. 676 c.p.p. che si riferisce a tutti i casi di confisca obbligatoria previsti dal codice penale e da singole disposizioni contenute in leggi speciali in questo senso, a partire da Cass. S.U., n. 29022 del 30 maggio 2001, Derouach, Rv. 219221, intervenuta in sede di risoluzione di contrasto interpretativo nella giurisprudenza delle sezioni semplici, cfr., fra le molte Cass. Sez. 1, n. 22752 del 9 marzo 2007, Billeci, Rv. 236876 Cass. Sez. 6, n. 27343 del 20 maggio 2008, Ciancimino, Rv. 240585 Cass. Sez. 1, n. 49824 del 18 marzo 2016, Raggi, Rv. 268491 . Dalla confisca disposta in applicazione dell’art. 12-sexies cit. dal giudice dell’esecuzione deriva il diritto della persona i cui beni siano stati confiscati di chiedere allo stesso giudice la revoca della confisca da lui ordinata, superando la preclusione processuale recata dall’art. 666 c.p.p., comma 2, prospettando fatti dallo stesso giudice non considerati al tempo dell’emissione dopo l’instaurazione del contraddittorio con il destinatario del provvedimento ovvero in sede di esecuzione proposta ai sensi dell’art. 676 c.p.p., comma 4 dell’ordinanza dispositiva della confisca in questo senso, cfr. Cass. Sez. 1, n. 4196 del 9 gennaio 2009, Laforet, Rv. 242844 Cass. Sez. 1, n. 20507 del 21 aprile 2015, Caponera, Rv. 263479, che, in riferimento a decreto di confisca c.d. allargata emesso dal giudice dell’esecuzione senza prima instaurare il contraddittorio con la persona interessata contro il quale sia stata proposta tardivamente l’opposizione prevista dall’art. 667 c.p.p., comma 4, ha evidenziato che la tardività dell’opposizione non può costituire un ostacolo alla ammissibilità di una nuova istanza esecutiva con cui si prospetti la illegittimità ab origine della confisca, attraverso la produzione di elementi mai valutati in quanto in un quadro interpretativo costituzionalmente orientato, la decisione di inammissibilità della nuova istanza finisce con il rendere del tutto intangibile un provvedimento di confisca emesso non soltanto in totale assenza di contraddittorio ma in assenza di ogni valutazione di merito sulla efficacia persuasiva ed in tesi neutralizzante di elementi di fatto offerti dalla parte destinataria della ablazione con la precisazione, infine, che l’interpretazione adottata basata sulla ridotta portata preclusiva - in tal caso - dell’effetto di formale esaurimento dei rimedi ordinari avverso decisioni sfavorevoli emesse in sede esecutiva consente di ritenere conforme ai principi costituzionali art. 24 Cost., commi 2 e 4 nonché art. 111 Cost., comma 2 la vigente disciplina codicistica che non prevede la esperibilità della revisione o di rimedio analogo, come previsto per le decisioni definitive della confisca in sede di prevenzione avverso provvedimenti definitivi in tema di misure di sicurezza patrimoniale emessi in sede esecutiva ed ai sensi dell’art. 676 c.p.p. . Il fatto, però, che l’art. 676 c.p.p. faccia espresso riferimento ad una competenza del giudice dell’esecuzione in ordine alla confisca, non implica necessariamente che lo stesso giudice sia competente anche in ordine alla revoca della stessa nei casi in cui questa sia divenuta definitiva per essersi esaurito in sede di cognizione l’iter processuale che la riguarda. La disciplina dettata dall’art. 676 c.p.p. è chiara nel senso a di ricondurre al giudice dell’esecuzione un potere di disporre la confisca quando ciò non ha fatto il giudice della cognizione b di non ricondurre allo stesso giudice il potere di revocare la confisca, che comporta un trasferimento in via definitiva a favore dello Stato con la irrevocabilità della sentenza che l’ha disposta c di ricondurre al giudice civile la competenza a risolvere una controversia sulla proprietà delle cose confiscate, non potendosi ovviamente giustificare una confisca che cada su beni non appartenenti al condannato. Tali considerazioni hanno indotto la costante giurisprudenza di legittimità a ritenere non consentita in executivis la revoca della confisca c.d. allargata , disposta con la sentenza irrevocabile di condanna in questo senso, cfr. Cass. Sez. 1, n. 3877 del 20 gennaio 2004, La Mastra, Rv. 227330 Cass. Sez. 1, n. 26852 del 10 giugno 2010, Cavallaro, Rv, 247726 Cass. Sez. 1, n. 42386 del 10 giugno 2016, Polito, n. m. Cass. Sez. 3, n. 15847 del 25 ottobre 2016, dep. 2017, Vertola, n. m. . Da tali considerazioni discende che in questo senso deve essere corretta la motivazione dell’ordinanza impugnata art. 619 c.p.p., comma 1 il ricorso è inammissibile in ragione della sua manifesta infondatezza art. 606 c.p.p., comma 3 . Dalla inammissibilità del ricorso derivano la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 2000 , al versamento di una somma di danaro alla Cassa delle ammende che stimasi equo determinare nella misura di tremila Euro art. 616 c.p.p. . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila alla Cassa delle Ammende.