Istanza di ammissione al controllo giudiziario e impugnazione dell’interdittiva antimafia: un rapporto interdipendente

L’istanza di ammissione al regime del controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis l. n. 159/2011 comporta l’instaurazione di un procedimento interdipendente rispetto a quello amministrativo nato dall’impugnazione, da parte dello stesso soggetto istante, del provvedimento prefettizio con cui è stata adottata l’informazione antimafia interdittiva a suo carico.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27856/19 depositata il 24 giugno. Il caso. Il Tribunale di Catanzaro dichiarava l’inammissibilità dell’istanza avanzata da una s.r.l. per l’ammissione al regime del controllo giudiziario di cui all’art. 34- bis l. n. 159/2011. La decisione si fondava sulla definitività del provvedimento del Prefetto di Vibo Valentia adottato ai sensi dell’art. 94 c.p.a. e confermato sia dal TAR che dal Consiglio di Stato. La società ha presentato ricorso in sede di Cassazione. Istanza di controllo giudiziario e procedimento amministrativo. L’art. 34- bis , comma 6, d.lgs. n. 159/2011, come ricordano i Giudici di legittimità, stabilisce che le imprese destinatarie di un’informazione antimafia interdittiva, che abbiano proposto impugnazione del relativo provvedimento prefettizio, possono chiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario. Il tribunale, a seguito dell’accoglimento della richiesta, sentiti il procuratore distrettuale e gli altri soggetti interessati, può successivamente revocare il controllo, anche sulla base della relazione dell’amministratore giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali. Sussiste dunque un collegamento funzionale tra l’impugnazione e la pendenza del procedimento dinanzi al giudice amministrativo e l’accesso all’istituto del controllo giudiziario. Sottolinea infatti la pronuncia in commento come sia stato osservato che proprio la stessa sospensione degli effetti della interdittiva, conseguente alla adozione del provvedimento e prevista dal comma 7 del medesimo art. 34- bis , lascia necessariamente supporre che il procedimento in sede amministrativa sia ancora pendente . In definitiva, l’accesso all’istituto è fisiologicamente” ed inscindibilmente connesso alla pendenza di un ricorso avverso l’interdittiva essendo la sua ratio quella di consentire, a mezzo di specifiche prescrizioni e con l’ausilio di un controllore nominato dal tribunale, la prosecuzione dell’attività di impresa nelle more della definizione del ricorso amministrativo . Passando al merito del ricorso, gli Ermellini ritengono le censure infondate avendo correttamente il Tribunale sottolineato che, alla data di presentazione dell’istanza, il provvedimento prefettizio era ormai definitivo essendosi concluso il giudizio amministrativo con la pronuncia del Consiglio di Stato , rimanendo irrilevante la deduzione circa la pendenza del procedimento dinanzi alla Corte di Cassazione dinanzi alla quale la società ricorrente aveva impugnato la decisione di Palazzo Spada per motivi attinenti alla giurisdizione. Per questi motivi, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 22 marzo – 24 giugno 2019, n. 27856 Presidente Cervadoro – Relatore Cianfrocca Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Catanzaro, con provvedimento del 19.2-12.4.2019, ha dichiarato inammissibile l’istanza avanzata dalla società FO.SA.CO. srl per essere ammessa al regime del controllo giudiziario di cui alla L. n. 159 del 2011, art. 34bis 2. ricorre per Cassazione FO.SA.CO. srl lamentando 2.1 violazione di legge in punto di ammissibilità dell’istituto del controllo giudiziario e difetto di motivazione del provvedimento impugnato rileva che il Tribunale, dopo aver sviluppato una serie di considerazioni di natura generale sull’istituto, ha finito per giudicare inammissibile l’istanza sull’errato presupposto dell’intervenuta definitività della decisione sul ricorso proposto contro il provvedimento del Prefetto di Vibo Valentia del 23.12.2014 osserva, per un verso, che, in tal modo, il Tribunale ha confuso il giudizio instaurato di fronte al giudice amministrativo con quello incardinato di fronte al giudice ordinario risolvendo l’istituto introdotto con la L. n. 159 del 2011, art. 34bis ad un succedaneo ovvero ad un rimedio sovrapponibile alla istanza cautelare prevista dall’art. 55 del CPA per altro verso, ed in ogni caso, rileva che, avverso la decisione del C.d.S., era stato proposto ricorso in Cassazione con udienza fissata per il giorno 22.5.2018. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Come accennato, il Tribunale di Catanzaro ha considerato inammissibile la istanza avanzata dalla società odierna ricorrente di ammissione allo strumento del controllo giudiziario di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34bis stante la definitività del provvedimento adottato ai sensi dell’art. 94 D.Lgs. cit. a seguito del rigetto della impugnazione proposto di fronte al Consiglio di Stato contro la decisione del TAR che, a sua volta, aveva respinto il ricorso instaurato in quella sede. 2. Va immediatamente puntualizzato che il Tribunale di Reggio Calabria nel provvedimento che in questa sede ci occupa ha correttamente affrontato le questioni di diritto che la difesa della società ricorrente ha sostanzialmente riproposto in questa sede di legittimità e, nel dichiarare l’inammissibilità di richiesta di sottoposizione al controllo giudiziario di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34-bis, art. 34-bis, comma 2, lett. b avanzata da società nei confronti della quale l’interdittiva antimafia è divenuta irrevocabile, ha assunto una decisione perfettamente in linea con la funzione dell’istituto de quo. 3. Il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 34bis, comma 6 stabilisce, infatti, che Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’art. 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b del comma 2 del presente articolo. Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all’art. 127 c.p.p., accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti successivamente, anche sulla base della relazione dell’amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali . 4. È certamente corretta la impostazione del provvedimento impugnato in questa sede relativamente al collegamento funzionale esistente tra l’impugnazione e la pendenza del procedimento instaurato di fronte al giudice amministrativo e l’accesso all’istituto del controllo giudiziario di cui al predetto art. 34bis cfr., sul punto specifico, Cass. Pen., 5, 2.7.2018 n. 34.526, Eurostrade srl . A tal proposito, infatti, si è acutamente osservato che proprio la stessa sospensione degli effetti della interdittiva, conseguente alla adozione del provvedimento e prevista dal comma 7 del medesimo art. 34bis, lascia necessariamente supporre che il procedimento in sede amministrativa sia ancora pendente. È stato inoltre segnalato che la possibilità di accedere all’istituto anche nel caso di provvedimenti interdittivi impugnati ma, nel frattempo, divenuti irrevocabili e definitivi per mancata loro impugnazione, comporterebbe un irragionevole disparità di trattamento con la ipotesi, che sottintende una situazione di fatto sostanzialmente analoga, in cui detto provvedimento sia divenuto irrevocabile per essere stato definitivamente rigettato il ricorso amministrativo. Si deve in definitiva ritenere che l’accesso all’istituto è fisiologicamente ed inscindibilmente connesso alla pendenza di un ricorso avverso l’interdittiva essendo la sua ratio quella di consentire, a mezzo di specifiche prescrizioni e con l’ausilio di un controllore nominato dal Tribunale, la prosecuzione dell’attività di impresa nelle more della definizione del ricorso amministrativo al fine di evitare, in tale lasso di tempo, la decozione dell’impresa che, privata di commesse pubbliche e/o di autorizzazioni essenziali per la prosecuzione della propria attività, potrebbe subire conseguenze irreparabili a causa della pendenza del provvedimento prefettizio. Si è anche segnalato che, pur considerando che la durata della misura del controllo giudiziario potrebbe non essere in linea con i tempi del processo amministrativo, la chiara dizione letterale dell’art. 34bis non lascia adito a dubbi sul fatto che l’istituto del comma 6 ha natura provvisoria ed e finalizzato, in un adeguato bilanciamento di interessi, a consentire la continuità delle attività di impresa ed a salvaguardare anche le esigenze occupazionali fintanto che non intervenga una pronuncia giudiziale definitiva, proprio nel periodo in cui l’interessato può ancora contestare la legittimità del provvedimento amministrativo. A sostegno della tesi dell’interdipendenza tra il procedimento innanzi al Tribunale della prevenzione e quello in sede amministrativa è stato ancora evidenziato che il procedimento in sede di prevenzione ha una propria autonomia in quanto il Tribunale può accogliere la richiesta solo ove ne ricorrano i presupposti non potendo vagliare la legittimità dell’interdittiva antimafia, ovvero la correttezza dell’impianto che la sorregge, sindacato quest’ultimo rimesso in via esclusiva al Prefetto ed al giudice amministrativo per altro verso, è evidente che il legislatore non ha voluto riconoscere al privato uno strumento alternativo al ricorso in sede amministrativa attraverso il quale dolersi delle valutazioni del Prefetto. In definitiva, dunque, si è in presenza di una provvedimento di prosecuzione controllata dell’attività di impresa mediante l’adozione di provvedimenti utili a neutralizzare per il futuro i pericoli di infiltrazione e di condizionamento alla base dell’interdittiva e previa sospensione degli effetti di quest’ultima e che, come pure si è giustamente sottolineato, non può certo avere la conseguenza di vanificare un’interdittiva ormai definitiva sospendendone di fatto tutti gli effetti e configurandosi, nella sostanza, come uno strumento alternativo di impugnazione. 5. Alla luce di queste premesse e passando all’esame del motivo di ricorso, nel caso di specie, a fronte della affermazione del Tribunale secondo cui, alla data di presentazione dell’istanza, il provvedimento prefettizio era ormai definitivo in quanto il giudizio amministrativo era stato definito con la sentenza pronunciata in data 15.9.2016 dal Consiglio di Stato, il ricorrente ne ha dedotto la persistente pendenza in quanto, contro la decisione del C.d.S., sopra richiamata, sarebbe stato proposto ricorso in Cassazione tuttora pendente con udienza fissata per il 22.5.2018. Ebbene, va rilevato, in primo luogo, che il ricorso per Cassazione contro le sentenze del Consiglio di Stato è come noto consentito soltanto per motivi attinenti la giurisdizione e, come si è chiarito, in base all’art. 111 Cost., u.c., art. 362 c.p.c., comma 1, e art. 110 del codice del processo amministrativo, è come tale ammissibile soltanto laddove il motivo di ricorso sia fondato sull’allegazione del fatto che la decisione sulla giurisdizione, tuttavia adottata dal giudice amministrativo, era preclusa per essersi in precedenza formato il giudicato sulla questione cfr., Cass. SS.UU., 9.11.2011 n. 23.306, Vittoria cfr., anche, Cass. SS.UU., 30.3.2017 n. 8.245, secondo cui la censura che, deducendo il difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, attenga, piuttosto, all’interpretazione del giudicato, interno ed esterno, sotto tutti i possibili profili - dalla sua omessa interpretazione, alla valutazione del suo contenuto, nonché dei suoi presupposti, ed alla sua efficacia, con i conseguenti limiti - riguarda la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice amministrativo, prospettandosi, sostanzialmente, una violazione di legge commessa da quest’ultimo, sicché resta estranea al controllo ed al superamento dei limiti esterni della giurisdizione, con conseguente inammissibilità dei relativi motivi . Ed allora, per ritenere effettivamente pendente il giudizio amministrativo non è certo possibile far affidamento sulla documentazione prodotta in allegato al ricorso e che si risolve in una copia fotostatica di una schermata relativa alla fissazione dell’udienza nel giudizio instaurato da Fo.Sa.Co. srl contro il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Vibo Valentia senza alcuna attestazione di provenienza ma, per altro verso, e prima ancora, priva di ogni elemento che consenta di riferire la vicenda processuale alla impugnazione della interdittiva antimafia su cui aveva deciso il Consiglio di Stato con la sentenza sopra richiamata. 6. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.