Condannato per truffa il vigile urbano a spasso per il paese ma formalmente in ufficio

Confermata la sanzione stabilita in appello 6 mesi di reclusione e 400 euro di multa. Accertato l’abuso compiuto, consistito nel timbrare il cartellino all’inizio e alla fine del turno e nell’andarsene a spasso in paese, fermandosi anche in qualche locale pubblico. Evidente non solo il danno economico ma anche quello d’immagine subito dal Comune, poiché i cittadini hanno potuto notare tranquillamente l’agente della Polizia municipale sulla pubblica via.

A spasso in paese, e, talvolta, a rilassarsi in qualche locale pubblico. Tutto ciò sotto gli occhi dei concittadini, pur risultando ufficialmente presente in ufficio. Legittima la condanna per un agente della Polizia municipale. Evidente la condotta illegittima tenuta dal lavoratore, ed evidente anche il danno arrecato al Comune Cassazione, sentenza n. 26956/19, sez. II Penale, depositata oggi . Presenza. Concordi le valutazioni e le decisioni del Tribunale e della Corte d’Appello l’agente della Polizia municipale di un Comune pugliese va ritenuto colpevole del reato di truffa e va condannato a 6 mesi di reclusione e 400 euro di multa . Netto, e non discutibile, secondo i Giudici, l’addebito avere omesso – con artifizi e raggiri, consistiti nell’attestare la propria presenza in ufficio ininterrottamente per tutto l’orario di servizio, con timbratura all’inizio ed alla fine del turno – di registrare i suoi allontanamenti dal posto di lavoro, procurandosi un ingiusto profitto, consistito nella retribuzione e nei suoi accessori , ai danni della pubblica amministrazione . Danno. Infruttuosa si rivela la scelta di proporre ricorso in Cassazione. Il legale dell’agente sostiene che al suo cliente fossero state assegnate anche mansioni di vigilanza esterna , contesta la consistenza del danno arrecato al Comune e, a questo proposito, aggiunge che il pagamento delle retribuzioni non avviene in modo automatico con la lettura dei ‘cartellini orari’ da parte di un elaboratore e l’orario complessivo di lavoro ha sempre superato le 36 ore settimanali, senza un corrispondente pagamento di ore a titolo di lavoro straordinario . Tutte queste osservazioni non convincono, però, i Giudici del ‘Palazzaccio’, i quali confermano invece la condanna così come pronunciata in Appello. Inequivocabile l’abuso compiuto dall’agente di Polizia municipale e accertato tra primo e secondo grado. Indiscutibile, poi, secondo i Giudici, il danno subito dalla pubblica amministrazione. A questo proposito viene ribadito che è valutabile come significativo il danno all’immagine per il Comune, danno derivante dalla reiterata assenza dal posto di lavoro, percepita dai cittadini che hanno avuto la possibilità di notare il vigile urbano sulla pubblica via o, peggio, in locali pubblici in orari lavorativi . Allo stesso tempo, va tenuto presente che la reiterata assenza del lavoratore ha determinato un danno patrimoniale per l’ente, chiamato a retribuire una frazione della prestazione giornaliera non effettuata , concludono i Giudici.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 4 – 18 giugno 2019, n. 26956 Presidente Gallo – Relatore Coscioni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26 marzo 2018, la Corte di appello di Lecce confermava la sentenza di primo grado con la quale V.M.A. era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 400,00 di multa per il reato di truffa V. era imputato del reato di cui agli artt. 81 cpv., 640 comma 2, 61 n. 9 e 11 c.p. perché, quale agente in forza alla Polizia Municipale di omissis , con artifici e raggiri consistiti nell’attestare la propria presenza in ufficio ininterrottamente per tutto l’orario di servizio, con timbratura all’inizio ed alla fine del turno, ometteva di registrare i suoi allontanamenti dal posto di lavoro, procurandosi un ingiusto profitto, consistito nella retribuzione e nei suoi accessori, ai danni della pubblica amministrazione. 1.1 Avverso la sentenza ricorre per Cassazione il difensore di V. , eccependo innanzitutto l’omessa notifica al contumace V. del verbale di udienza preliminare del 5 febbraio 2013 contenente la modifica del capo di imputazione effettuata dal Pubblico ministero nel corso dell’udienza era accaduto infatti che nella richiesta di rinvio a giudizio era stato indicato un diverso ed erroneo capo di imputazione poi corretto in udienza facendo riferimento a quello contenuto dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari , in base al quale era stata formulata la richiesta di rito abbreviato appariva quindi evidente che la modifica del capo di imputazione era avvenuta in assenza dell’imputato e senza che fosse data la possibilità di conferire nuova procura speciale al difensore per inoltrare nuova richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria finalizzata a sconfessare il modificato capo di imputazione la modifica delle date in cui V. si sarebbe allontanato dal posto di lavoro aveva inciso in modo determinante sull’esatta collocazione del fatto delittuoso contestato, condizionando in modo determinante le possibilità di difesa. 1.2 Il difensore eccepisce inoltre la violazione dell’art. 603 c.p.p., per mancata assunzione di prova decisiva e omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, con riferimento alla denegata richiesta di esaminare come testimone C.P. , responsabile dell’Ufficio Tributi del Comune di OMISSIS , superiore gerarchico di V. , con riferimento alla circostanza che nel periodo ottobre/dicembre 2010 erano state assegnate all’imputato mansioni di vigilanza esterna dopo l’udienza in cui si era proceduto alla modifica dell’imputazione, la difesa di V. aveva depositato richiesta scritta in cui chiedeva di poter esaminare il proprio superiore gerarchico, richiesta ignorata dal giudice di primo grado e reiterata in appello, sulla quale la Corte territoriale aveva esposto una motivazione illogica facendo riferimento a quanto riferito da M.F. , responsabile dell’Ufficio personale, a cui C. non era tenuto a riferire. 1.3. Il difensore lamenta poi la mancata declaratoria della non economica apprezzabilità dei periodi di assenza dal servizio di V. , osservando come nella sentenza di primo grado il giudice aveva confuso i minuti con le ore, così quantificando in maniera errata il danno patrimoniale che avrebbe subito il Comune di omissis , e la Corte di appello aveva completamente omesso di quantificare in concreto il danno economico. 1.4 Con un quarto motivo, il difensore eccepisce l’omessa valutazione di argomentazioni difensive contenute nelle memorie depositate ex art. 415 bis c.p.p., e richiamate nell’atto di appello, con particolare riguardo alle questioni del danno economico e degli effettivi compiti e mansioni di vigilanza esterna svolti da V. il pagamento delle retribuzioni non avveniva in modo automatico con la lettura dei cartellini-orari da parte di un elaboratore e l’orario complessivo di lavoro aveva sempre superato le 36 ore settimanali senza un corrispondente pagamento di ore a titolo di lavoro straordinario erroneamente, infine, erano stati considerati non contestati i servizi di osservazione operati dai carabinieri di omissis . Considerato in diritto 2. Il ricorso è inammissibile. 2.1 Deve infatti rilevarsi che la censura relativa all’asserita illegittimità della modifica dell’imputazione per mancata notificazione all’imputato contumace del verbale contenente la modifica delle date del commesso reato, si scontra con il chiaro disposto normativo di cui all’art. 423 c.p.p., comma 1, norma a tenore della quale Se l’imputato non è presente, la modificazione dell’imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l’imputato ai fini della contestazione a ciò deve aggiungersi che nessun pregiudizio vi è stato per la difesa del ricorrente in quanto, come osservato dalla Corte di appello, i difensori rinnovarono la richiesta di rito abbreviato e poiché, come si evince dallo stesso ricorso, a seguito della modifica dell’imputazione all’udienza del 5 febbraio 2013, il processo venne rinviato all’udienza del 18 giugno 2013, per cui il ricorrente aveva avuto tutto il tempo di approntare le sue difese, cosa che fece con la richiesta scritta di cui al secondo motivo di ricorso. 2.2 Su quest’ultimo motivo, occorre ricordare che, nel giudizio di appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale di cui all’art. 603 c.p.p., comma 1, è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza rinnovazione istruttoria. Tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230 Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003 dep. 06/02/2004 , P.G. in proc. Ligresti ed altri, Rv. 229666 . Nel caso in esame, si deve rilevare come la Corte di appello abbia ritenuto irrilevante la testimonianza di C. in quanto dalle dichiarazioni di M. , responsabile dell’Ufficio personale di omissis , emergeva che V. non era stato destinato ad incarichi esterni trattasi di motivazione logica, sulla quale, per quanto sopra esposto, non è ammesso sindacato di legittimità. 2.3 Quanto ai rimanenti motivi di ricorso, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte precisato che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso vedi Cass., Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Rv. 243838 Sono inoltre precluse alla Corte di legittimità sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento delle decisione impugnata che l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una maggiore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare al controllo se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito Sez. Un., sent. n. 12 del 31/5/2000, Jakani, Rv. 216260 . Nel caso in esame, l’eccezione relativa alla considerazione che non è stato quantificato il danno economico non considera quanto motivatamente considerato dalla Corte territoriale, e cioè che deve ritenersi significativo il danno all’immagine per il Comune di omissis derivante dalla reiterata assenza dal posto di lavoro dei due imputati siccome percepita dai cittadini, che hanno avuto anche la possibilità di notarli sulla pubblica via o, peggio, in pubblici locali in orari lavorativi pag. 4 sentenza impugnata , richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’assenza reiterata dell’imputato aveva determinato un danno patrimoniale per l’ente, chiamato a retribuire una frazione della prestazione giornaliera non effettuata, e che non è necessario che il danno venga provato nel suo preciso ammontare nessuna contestazione specifica è infine stata sollevata sui servizi di osservazione svolti dai carabinieri, per cui l’ultimo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico. 3.Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 2.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.