La dichiarazione di latitanza non necessita delle ricerche all’estero

Ai fini della dichiarazione di latitanza, non sussistono i presupposti per l’applicazione in via analogica delle regole dettate per l’irreperibilità. Pertanto, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria - pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere all’esecuzione della misura nonché di accertare la volontaria sottrazione dell’imputato - non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione della irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Seconda Penale, con la sentenza n. 25515 depositata il 10 giugno 2019. Lo status di latitante. Non è raro venire a conoscenza, anche attraverso le cronache giudiziarie, di soggetti che per sottrarsi a provvedimenti cautelari o ordini di carcerazione decidono di far perdere le loro tracce”. Quest’ultimi sono espressamente designati come latitanti dal codice di rito, che riserva loro una disciplina specifica estesa, per espressa previsione, anche agli evasi. La latitanza però è un termine certamente conosciuto all’opinione pubblica perché spesso associato a figure di spicco delle più violente cosce mafiose. Numerosi sono stati i latitanti famosi nella storia delle organizzazioni criminali, rincorsi” dalla giustizia per moltissimi anni saltano subito alla mente i capomafia Totò Riina, Bernardo Provenzano ma anche taluni soldati” come il celebre Tommaso Buscetta altri personaggi sono ancora in fuga, come il temuto boss della mafia trapanese Matteo Messina Denaro. Ad ogni modo la latitanza, per quanto tipica degli associati - probabilmente per le elevate pene emesse nei loro confronti - è spesso dichiarata anche nei confronti dei delinquenti comuni” che vogliano tentare di sfuggire alle maglie della giustizia. È questo il caso affrontato dalla Suprema Corte, tenuta a decidere sulla legittimità di un provvedimento dichiarativo dello status di latitanza emesso nei confronti del ricorrente. La censura difensiva la latitanza richiede, prima della sua dichiarazione, il compimento di ricerche esaustive, se del caso da compiersi anche all’estero. Il difensore dell’imputato proponeva ricorso per cassazione censurando violazione di legge nei confronti del decreto di latitanza per mancato svolgimento delle ricerche all’estero, nonostante il Tribunale fosse a conoscenza della probabilità che l’imputato si trovasse in Svezia. Secondo il ricorrente, difatti, la prescrizione relativa all’irreperibilità della persona, che subordina la dichiarazione dello status alle ricerche fuori dallo Stato nazionale, andrebbe estesa in via analogica alla disciplina prevista per la latitanza. Il difensore, tuttavia, probabilmente dimentica che su tale assunto si è già espressa la Cassazione a Sezioni Unite, escludendo la possibilità di applicare l’analogia stante la profonda differenza tra le discipline in esame. Incompatibilità tra la condizione di latitanza e quella di irreperibilità. La Seconda Sezione, infatti, ricorda delle profonde differenze tra l’istituto della latitanza e quello della irreperibilità. Lo stato di latitanza presuppone la volontaria sottrazione del soggetto alla cattura e, una volta accertata, permarrà per tutto il tempo il cui il soggetto si astiene dal costituirsi. Tale stato potrà cessare soltanto nel caso di revoca o sostituzione della misura cautelare che ha giustificato il decreto di latitanza oppure nel caso di estinzione del reato o della pena. Ciò a differenza dell’irreperibilità, che necessità di nuove ricerche e di un nuovo provvedimento dichiarativo ad ogni cadenza processuale espressamente prevista dal legislatore, potendo risolversi con l’individuazione del domicilio dell’interessato. Mentre, dunque, la latitanza produce automaticamente effetti processuali, in quanto frutto di una libera scelta del soggetto di non presenziare al procedimento e, conseguentemente, di sottrarsi al provvedimento custodiale o di carcerazione, l’irreperibilità è una condizione di fatto che può derivare da cause estranee ed incolpevoli dell’imputato. Ne consegue che, ai fini della dichiarazione della latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibile tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria - pur dovendo consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere all’esecuzione della misura per la volontaria sottrazione dell’imputato - non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 marzo – 10 giugno 2019, n. 25515 Presidente Verga – Relatore Tutinelli Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Firenze ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità degli odierni ricorrenti in relazione a fattispecie di rapina e furti in abitazione rideterminando la pena nei limiti ritenuti di giustizia per la posizione B. in conseguenza dell’intervenuta assoluzione per la fattispecie associativa. A fondamento della condanna localizzazione GPS, intercettazioni ambientali telefoniche, parziali ammissioni degli indagati. 2. Propongono ricorso per cassazione gli imputati articolando i seguenti motivi. 2.1. Ricorso B.E. con l’Avv. Cristiano Rossi del Foro di Firenze. 2.1.1. Violazione degli artt. 165 – 171 – 178 – 179 – 185 – 295 - 296 codice di procedura in conseguenza della nullità del decreto di citazione in appello, del decreto di latitanza delle conseguenti notifiche. In particolare, risulterebbe nullo il decreto di vane ricerche per carenza d’indicazione specifica delle ricerche svolte nonché per il mancato svolgimento delle medesime ricerche all’estero. Il decreto di latitanza mancherebbe inoltre della data, il che non permetterebbe alla difesa di verificarne l’emissione nell’arco di quasi 11 mesi. La valutazione della esaustività delle richieste sarebbe poi contenuta in una frase prestampata che non teneva conto del fatto che risultavano interpellati i parenti dell’imputato e che costoro avrebbero fatto capire che l’imputato si trovava in Svezia, dove già abitava un fratello. A fronte di ciò, tuttavia, nessuna ricerca è stata fatta all’estero, nemmeno quando lo stesso fratello vivente in Svezia aveva inviato presidente del Tribunale di Arezzo una lettera manoscritta sulla cui busta era indicato chiaramente l’indirizzo del mittente dove, con tutta probabilità, era ospitato l’imputato. Inoltre, anche in sede di intercettazioni era emersa la volontà del ricorrente di spostarsi in Svezia. 2.1.2. Violazione dell’art. 628, comma 3, n. 3 bis e vizio di motivazione nella parte in cui si afferma che risulterebbe rilevante anche la pertinenza dell’abitazione avendo le sezioni unite di questa Corte ristretto il concetto di privata dimora luoghi dove si svolga la vita privata non aperti al pubblico nè accessibili a terzi senza il consenso del titolare. Il delitto, infatti, risulta essere avvenuto in un bar e l’esercizio della violenza risulta essere avvenuto nel piazzale pubblico antistante che, per definizione, non potrebbe essere considerato come pertinenza della privata dimora 2.2 Ricorso C.S. con l’Avv. Cristiano Rossi del Foro di Firenze. 2.2.1. Violazione dell’art. 628, comma 3, n. 3 bis e vizio di motivazione nella parte in cui si afferma che risulterebbe rilevante anche la pertinenza dell’abitazione, articolando il ricorrente un motivo di ricorso identico al secondo motivo di ricorso del coimputato. Considerato in diritto 1.1. Il primo motivo del ricorso B. è inammissibile. Deve innanzitutto rilevarsi che la vicenda in esame riguarda un decreto dichiarativo della latitanza e non della irreperibilità dell’imputato. Infatti, nel caso di specie, non risulta nemmeno contestato che l’indagato - agli arresti domiciliari durante tutto il primo grado - si sia sottratto alla ordinanza applicativa della misura massima da parte della Corte di appello medesima. Dalle profonde differenze che è possibile cogliere tra gli istituti della latitanza e quello della irreperibilità, avuto riguardo alle diverse finalità che animano le disposizioni che li regolano, nonché ai diversi presupposti che ne stanno alla base - con particolare riferimento alla volontarietà che caratterizza la latitanza e che presuppone la conoscenza del procedimento e del provvedimento che è stato o può essere emesso, a differenza dell’irreperibile - questa Corte ha tratto il corollario che l’emissione del decreto di latitanza non deve essere preceduto dallo svolgimento all’estero di ricerche tese a rintracciare il soggetto nei cui confronti è stato adottato il provvedimento cautelare e della cui dimora o residenza in un paese straniero si abbia avuto generica notizia, non sussistendo i presupposti per l’applicazione in via analogica delle regole dettate per le ricerche dell’irreperibile dall’art. 169 c.p.p., comma 4. D’altra parte - si è pure puntualizzato - posto che tali ricerche sono finalizzate a conoscere l’indirizzo preciso dell’imputato al fine di spedire la raccomandata di cui al comma 1 dello stesso articolo, e metterlo in condizione di dichiarare o eleggere domicilio ai fini delle notificazioni, cosa che il latitante è certamente in grado di fare, risulterebbe certo singolare avvertire con lettera raccomandata un imputato della esistenza di un provvedimento restrittivo a suo carico perché potrebbe essere interpretato come un invito alla fuga insomma - si è precisato - si comprometterebbe l’obiettivo tipico della misura cautelare custodiale che è quello dell’arresto dell’imputato . ex plurimis, Sez. 6, n. 47528 del 29/11/2013, Elezaj Sez. 6, n. 43962 del 27/09/2013, Hassad, Rv. 256684 Sez. 5, n. 46340 del 19/09/2012, Adler, Rv. 253636 Sez. 2, n. 25315 del 20/03/2012, Ndreko, Rv. 253072 Sez. 5, n. 06/10/2011, Radu, Rv. 252154 Sez. 1, n. 15410 del 22/04/2010, Arizzi, Rv. 246751 . Lo stato di latitanza, come puntualizza l’art. 296 c.p.p., presuppone la volontaria sottrazione del soggetto alla cattura e, una volta accertato tale status, lo stesso permarrà per tutto il tempo in cui il soggetto continuerà a sottrarsi volontariamente alla cattura Sez. 4, n. 2024 del 02/09/1996, Turchetti, Rv. 206262, ove si è ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 296 c.p.p. in relazione all’art. 3 Cost., sollevata sotto il profilo che vi sarebbe disparità di trattamento tra la condizione del latitante e quella dell’irreperibile per il quale sono previste nuove ricerche e ciò, proprio in considerazione del fatto che non può ravvisarsi una omologia di situazione procedimentale tra latitanza e irreperibilità mentre, infatti - si è osservato - la dichiarazione, solo formale, di irreperibilità necessita di essere controllata secondo cadenze individuate dal legislatore, potendo tale condizione processuale risolversi con l’individuazione di un domicilio dell’interessato, lo stato di latitanza non può non permanere per tutto il tempo in cui. Il soggetto si sottrae volontariamente alla cattura e si astiene dal costituirsi . Uno stato, quindi, che potrà cessare, oltre che per le cause indicate nell’art. 296 c.p.p., comma 4, - vale a dire in virtù di quegli eventi, tipici e nominati, che incidono sulla stessa fattispecie cautelare, come la revoca o la perdita di efficacia della misura, o la estinzione del reato o della pena cui la misura stessa si riferisce - soltanto con la cattura o la costituzione spontanea, ovvero con l’arresto dell’imputato all’estero a fini estradizionali Sez. 2, n. 31253 del 18/09/2002, Santolla, Rv. 222358 Sez. 1, n. 30804 del 27/06/2002, Maggio, Rv. 222357 . Da ciò, la caducità del decreto di irreperibilità, a fronte del perdurante valore del decreto di latitanza. A differenza, infatti, del provvedimento che dichiari lo stato di irreperibile, che abbisogna di nuove ricerche e di nuovo provvedimento dichiarativo ad ogni cadenza processuale, secondo un meccanismo reiterativo tipico delle situazioni mutevoli e precariamente accertate, la dichiarazione di latitanza varrà per tutto il processo ma solo per quel processo, a norma dell’art. 296 c.p.p., comma 3 , proprio in ragione della volontarietà del relativo status e della condizione perenne di ricercato per di più, ad opera di tutte le forze di polizia, e non soltanto dell’organo delegato per la esecuzione della misura che caratterizza la posizione del latitante Sez. 1, n. 29503 del 01/03/2013, Masha, Rv. 256107 Sez. 5, n. 2483 del 27/10/1998, Vista, Rv. 213075 Sez. 5, n. 5807 del 18/12/1997, Volpe, Rv. 210752 . Mentre, dunque, la latitanza produce automaticamente effetti processuali, in quanto frutto di una scelta volontaria del soggetto di sottrarsi ad un provvedimento custodiale e conseguentemente di non presenziare al procedimento, la irreperibilità è una condizione di fatto, la quale può derivare da cause estranee ad una scelta dell’imputato può quindi consistere in uno status non soltanto involontario, ma anche incolpevole con la conseguenza di assumere connotazioni processualmente rilevanti, tanto agli effetti della conoscenza della accusa e del procedimento a proprio carico, quanto ai fini del diritto di partecipare al giudizio. Latitanza e irreperibilità, pertanto, rappresentano il convergere di condizioni soggettive profondamente diverse e fra loro non assimilabili, vuoi sul piano delle garanzie e delle correlative strutture normative di riferimento, vuoi su quello delle reciproche compatibilità sul versante degli sviluppi ermeneutici. Ne consegue che, ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibile tale condizione con quella dell’irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 295 c.p.p. - pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti - non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma 4, dello stesso codice Sez. U, Sentenza n. 18822 del 27/03/2014 Rv. 258792 - 01 . Nel caso di specie, al momento della emanazione del decreto di latitanza, non vi era alcuna effettiva possibilità di conoscere la presenza di un domicilio o di una residenza all’estero a ciò non essendo sufficienti allusioni o accenni da parte dei prossimi congiunti del ricercato. Nemmeno successivamente può affermarsi esservi stata la conoscenza di una residenza o di un domicilio certi in conseguenza del carattere del tutto generico e indiretto dei riferimenti richiamati dal ricorrente che non integrano alcuna effettiva indicazione di luoghi specifici se non per effetto di supposizioni o illazioni basate su elementi del fascicolo del tutto slegati fra loro. 1.2. Il secondo motivo del ricorso B. e il primo motivo del ricorso C. sono inammissibili per difetto di interesse. A prescindere da qualsiasi valutazione sulla ricostruzione dei fatti offerta dai giudici del merito, va osservato infatti che l’aggravante de qua non risulta essere stata applicata e valutata ai fini della pena dai giudici medesimi. La pena base è stata calcolata nel minimo della fattispecie monoaggravata in ipotesi in cui erano state contestate e ritenute le ulteriori aggravanti delle più persone riunite e da soggetti travisati Per altro verso - l’operato giudizio di valenza con le circostanze attenuanti generiche esclude che la circostanza medesima -che per legge è sottratta al giudizio di valenza – abbia trovato alcuna applicazione e evidenzia che nemmeno vi sia spazio per una ulteriore riduzione di pena. Ne consegue l’inammissibilità del motivo di ricorso per difetto di interesse. Infatti, l’interesse richiesto dall’art. 568 c.p.p., comma 4, quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente pertanto, qualora ricorrente denunci, al fine di ottenere l’esatta applicazione della legge, la violazione di una norma di diritto formale, in tanto può ritenersi la sussistenza di un interesse concreto che renda ammissibile la doglianza, in quanto da tale violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole Sez. U, Sentenza n. 42 del 13/12/1995 Rv. 203093 effetto che, come visto, nel caso di specie non risulta materialmente possibile. 3. Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi e, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché ciascuno al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende.