Detenzione di stupefacente a fini di spaccio o per consumo personale? Il limite tabellare non è determinante

Secondo la consolidata giurisprudenza, in tema di detenzione di sostanze stupefacenti e valutazione della destinazione delle stesse, i limiti tabellari normativamente previsti costituiscono solo uno dei parametri a disposizione del giudice che è chiamato a valutare altre circostanze del caso concreto.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25559/19, depositata il 10 giugno. Il fatto. La Corte d’Appello di Perugia, in parziale riforma della condanna di prime cure per il reato di illecita detenzione e cessione di stupefacenti, rideterminava la pena a carico dell’imputato con revoca della confisca delle somme di denaro precedentemente sequestrate. Avverso tale decisione, propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo plurime censure complessivamente afferenti all’insussistenza di responsabilità. Destinazione allo spaccio. Il Collegio, dichiarando infondato il ricorso, sottolinea come la motivazione offerta dal giudice di merito sia coerente e immune da vizi logici. In merito alla destinazione della sostanza allo spaccio, la giurisprudenza consolidata ritiene che tale valutazione, laddove la condotta non appaia indicare l’immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito secondo parametri sottratti al giudizio di legittimità. In relazione al quantitativo di droga trovato in possesso al ricorrente, di cui egli invoca l’inferiorità rispetto ai limiti tabellari relativi al consumo personale, gli Ermellini ricordano che tale dato costituisce solo uno dei parametri rilevanti ai fini della sussistenza della responsabilità penale. L’esclusione della destinazione della droga al consumo personale può infatti essere dedotta da altri elementi, alcuni dei quali tipizzati dal legislatore nell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, come ad esempio le modalità di presentazione e confezionamento frazionato della sostanze.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 aprile – 10 giugno 2019, n. 25559 Presidente Liberati – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Perugia, con sentenza del 10/11/2017, in parziale riforma della sentenza emessa il 05/12/2013 dal Tribunale di Perugia - con la quale M.M. era stato dichiarato responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 per illecita detenzione e cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, hashish e marijuana e condannato alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 3.000,00 di ammenda - rideterminava la pena in mesi otto di reclusione e revocava la disposta confisca della somma di denaro in sequestro. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.M. , a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilità, lamentando che i Giudici di merito non avevano tenuto in considerazione che, come emergeva dal rapporto tossicologico in atti, il dato ponderale relativo alla sostanza stupefacente del tipo hashish e marijuana era inferiore a quello tabellare previsto dalla legge da tale rilievo doveva conseguire l’applicabilità del disposto del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, e, quindi, l’irrilevanza penale della condotta. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione, travisamento della prova e del fatto in relazione all’affermazione di responsabilità, lamentando che i Giudici di merito, in relazione al possesso delle droghe leggere, avevano fondato il loro convincimento su di una prova scientifica, che evidenziava un risultato diverso rispetto a quello fatto proprio nelle sentenze di merito un quantitativo inferiore ai limiti tabellari e recependo in maniera superficiale i quantitativi indicati nel capo di imputazione. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al documentato stato di tossicodipendente dell’imputato, lamentando che tale dato non era stato considerato ai fini dell’accertamento della destinazione della droga ad uso personale. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione, lamentando che emergeva un profilo di contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui era stata disposta la revoca della somma di denaro in sequestro, perché ritenuta erroneamente profitto del reato la Corte di appello, infine, non aveva considerato che anche i precedenti penali dell’imputato deponevano nel senso di escludere che lo stesso fosse dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata. La difesa del ricorrente ha depositato memoria ex art. 121 c.p.p., nella quale si è riportata ai motivi di ricorso e, in via subordinata, ha chiesto dichiararsi l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso, che vanno trattati congiuntamente perché tutti relativi a vizi, motivazionali e di violazione di legge, afferenti l’affermazione di responsabilità, sono manifestamente infondati. 2. La Corte territoriale, nel ritenere comprovata la responsabilità del M. per la detenzione dello stupefacente a fini di spaccio, ha offerto una motivazione logica e coerente, e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità, rilevando come, oltre al dato quantitativo complessivo delle sostanze stupefacenti andassero valorizzati anche la diversa natura delle sostanze cocaina, hashish e marijuana , le modalità di occultamento delle stesse, il rinvenimento di varie buste di plastica di colore bianco con tagli circolari utilizzate per il confezionamento, la frequentazione di terzi presso l’abitazione dell’imputato, circostanze tutte che rendevano inverosimile la destinazione ad uso personale e comprovavano l’illecita detenzione della sostanza stupefacente. Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga, se al fine dell’uso personale o della cessione a terzi, ogni qualvolta la condotta non appaia indicare l’immediatezza del consumo, è effettuata dal giudice di merito secondo parametri di apprezzamento sindacabili nel giudizio di legittimità solo sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione cfr Sez.6, n. 6282 del 19/04/2000, Rv. 216315, Sez.4, n. 36755 del 04/06/2004, Rv. 229686 Sez.6, n. 44419 del 13/11/2008, Rv. 241604 . Contrariamente a quanto dedotto, inoltre, la Corte di merito ha valutato, con argomentazioni congrue e non manifestamente illogiche, anche lo stato di tossicodipendenza dell’imputato, rimarcando come lo stesso, peraltro limitato alle sole droghe leggere, non giustificasse un così consistente approvvigionamento di sostanze stupefacenti di tipo eterogeneo cfr pag 7 della sentenza impugnata . Né coglie nel segno la deduzione difensiva, secondo la quale la Corte territoriale non avrebbe considerato che il quantitativo delle droghe leggere era inferiore ai limiti tabellari. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, la detenzione di un quantitativo inferiore al limite stabilito con D.M., in attuazione della nuova normativa introdotta con L. n. 49 del 2006, non costituisce un dato di per sé decisivo ai fini della esclusione della rilevanza penale della condotta, in quanto il superamento del limite ivi fissato rappresenta solo uno dei parametri normativi rilevanti ai fini dell’affermazione della responsabilità e l’esclusione della destinazione della droga ad un uso strettamente personale ben può essere ritenuta dal giudice anche in forza di ulteriori circostanze dell’azione, alcune delle quali sono espressamente tipizzate nel D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, Sez.4, n. 31103 del 16/04/2008, Rv. 242110 Sez.6, n. 48434 del 20/11/2008, Rv. 242139 . Del tutto generica e priva di concretezza è, poi, la deduzione che la considerazione dei precedenti penali dell’imputato avrebbe consentito alla Corte di appello di escludere la destinazione allo spaccio delle sostanze stupefacenti detenute la doglianza, infatti, è meramente assertiva e non corredata dalle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che devono necessariamente sorreggere ogni motivo di impugnazione. Infine, manifestamente infondata è la dedotta contraddittorietà della motivazione in relazione alla disposta revoca della confisca del denaro in sequestro, essendo tale disposizione sorretta da argomentazioni che non si pongono in contrasto con l’affermazione di responsabilità, afferendo, invero, al diverso piano del difetto di prova in ordine al nesso eziologico tra il denaro e le condotte illecite accertate. 3. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.