Padre invalido e figlia incinta: punibile comunque l’occupazione della casa comunale

Confermata la condanna per la condotta tenuta dall’uomo, dalla moglie e dalla figlia. Irrilevante il richiamo alla loro difficile situazione familiare, caratterizzata dalla impossibilità per il padre di avere un lavoro e dalla conseguente indigenza.

Situazione familiare difficile padre invalido al 100% e quindi impossibilitato a svolgere attività lavorativa e figlia, sostenuta dalla madre, in attesa di un figlio. Inevitabile, a loro parere, la scelta di occupare abusivamente una casa di proprietà del Comune per avere finalmente un tetto sulla testa. Questa visione non è però condivisa dai Giudici, che invece ritengono meritevole di condanna la condotta tenuta dalle tre persone, respingendo, allo stesso tempo, l’ipotesi dell’emergenza familiare come giustificazione Cassazione, sentenza n. 25225/19, sez. II Penale, depositata oggi . Casa. Univoca la posizione assunta dal Tribunale prima e dalla Corte d’appello poi le tre persone – un uomo e due donne – sotto accusa vanno condannate per il reato di invasione di edificio per avere arbitrariamente invaso al fine di occuparlo un appartamento ex residence delle Ferrovie dello Stato di proprietà del Comune . Fatale un controllo effettuato nel giugno del 2010, nella zona di Messina. In quella occasione si è appurato che la casa, di proprietà del Comune, era stata illegittimamente occupata ed utilizzata da una famiglia. I tre componenti del nucleo familiare provano a spiegare la loro condotta, richiamando la precaria situazione economica. E questa considerazione viene proposta anche nel contesto della Cassazione in particolare, il legale sostiene che l’occupazione dell’immobile è stata posta in essere in presenza di una temporanea e contingente esigenza abitativa , a fronte dello stato di gravidanza della figlia, della situazione di indigenza del nucleo familiare e, infine, della invalidità al cento per cento del capofamiglia, impossibilitato a svolgere attività lavorativa . Indigenza. Tutti questi elementi non sono posti in discussione. Così come non è in discussione l’occupazione abusiva della casa. Anche per i Giudici della Cassazione, però, la precaria situazione vissuta dai tre familiari, cioè la loro indigenza , non è sufficiente per rendere comprensibile e non punibile la scelta di invadere e occupare nel tempo l’appartamento di proprietà del Comune . A rendere indifendibile la loro posizione, poi, anche la consapevolezza da parte loro che l’immobile occupato era di proprietà altrui e che non avevano alcun titolo per procedere all’occupazione . Senza dimenticare, poi, che la protrazione nel tempo dell’occupazione ha depauperato il diritto di godimento non solo del proprietario ma anche di coloro che, ricorrendone le condizioni di legge e ragionevolmente trovandosi nelle medesime condizioni di indigenza, vantavano una legittima aspettativa di assegnazione dell’alloggio , concludono i Giudici.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 2 maggio – 7 giugno 2019, n. 25225 Presidente Verga – Relatore Alma Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 19 ottobre 2017 la Corte di Appello di Messina ha confermato la sentenza in data 2 ottobre 2013 del Tribunale della medesima città con la quale Ca. Re., Ca. An. e Gi. Ro. erano stati dichiarati colpevoli in concorso tra loro del reato di invasione di edificio artt. 110, 633, 639-bis, cod. pen. per avere arbitrariamente invaso al fine di occuparlo un appartamento ex residence delle FF.SS. di proprietà del Comune e condannati a pena ritenuta di giustizia. Il reato risulta accertato in data 1. giugno 2010 con condotta in atto. 2. Ricorre per Cassazione, con atto unico, avverso la predetta sentenza il difensore degli imputati, deducendo 2.1. Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen. in relazione all'art. 54 cod. pen. Rileva, al riguardo, la difesa dei ricorrenti che nel caso in esame avrebbe dovuto ritenersi sussistente la scriminante dello stato di necessità di cui all'art. 54 cod. pen. avendo gli imputati posto in essere l'occupazione dell'immobile in presenza di una temporanea e contingente esigenza abitativa, stante lo stato di gravidanza della signora An. Ca. e la situazione di indigenza del nucleo familiare attesa l'invalidità al 100% del signor Re. Ca. tale da impedirgli di svolgere attività lavorativa. 2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen. in relazione all'art. 633 cod. pen. non avendo adeguatamente motivato i Giudici del merito in ordine alla prova dell'esistenza in capo agli imputati dell'elemento soggettivo del reato in contestazione che non poteva essere semplicemente presunto. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Fermo restando che non è in discussione il fatto materiale che gli imputati abbiano invaso e continuato ad occupare nel tempo l'appartamento di proprietà del Comune di Messina e di cui all'imputazione, va detto che la Corte di appello ha preso in considerazione le argomentazioni difensive in questa sede riproposte circa lo stato di necessità addotto dagli imputati e, con motivazione congrua e rispondente ai principi di diritto che regolano la materia, ha escluso nel caso in esame la ricorrenza della scriminante di cui all'art. 54 cod. pen. evidenziando, con una valutazione in fatto non suscettibile di revisione in sede di legittimità, l'inesistenza di una assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo. Questa Corte di legittimità ha, infatti, già avuto modo di chiarire che L'illecita occupazione di un immobile è scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare - nelle ipotesi di difficoltà economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo - una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell'occupante e della sua famiglia Sez. 2, n. 28067 del 26/03/2015, Antonuccio, Rv. 264560 e, ancora, che In tema di illecita occupazione di un alloggio popolare, lo stato di necessità può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa, tanto più che l'edilizia popolare è destinata a risolvere le esigenze abitative dei non abbienti, attraverso procedure pubbliche e regolamentate Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza della scriminante, invocata dal ricorrente in ragione dello stato di gravidanza del coniuge e ha, altresì, ritenuto irrilevante la circostanza che il precedente assegnatario dell'immobile lo avesse liberato in favore dell'imputato, spettando tale funzione all'ente pubblico preposto Sez. 2, n. 9655 del 16/01/2015, Cannalire, Rv. 263296 . 2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Se, infatti, è ben vero che i Giudici del merito non hanno motivato sulla esistenza dell'elemento psicologico del reato di cui all'art. 633 cod. pen. non può tuttavia non evidenziarsi che la sussistenza dell'elemento stesso è di palmare evidenza sol che si pensi da un lato che neppure la difesa dei ricorrenti ha dedotto un elemento in forza del quale dovrebbe escludersi tale elemento soggettivo e, dall'altro, che certamente gli imputati non potevano ignorare che l'immobile occupato era di proprietà di altri, che non avevano alcun titolo diretto o derivato per procedere all'occupazione, che la protrazione nel tempo dell'occupazione ha depauperato il diritto di godimento non solo del proprietario ma anche di coloro che, ricorrendone le condizioni di legge e ragionevolmente trovandosi nelle medesime condizioni di indigenza, vantavano una legittima aspettativa di assegnazione dell'alloggio. 3. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., quanto a ciascuno di essi, valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si si ritiene equa di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle ammende.