Il proprietario si introduce senza consenso nell’immobile concesso in comodato d’uso: è violazione di domicilio

La Suprema Corte annulla la decisione impugnata per l’intervenuta prescrizione del reato ma condanna al risarcimento dei danni il comodante che si è introdotto senza consenso nell’immobile da lui concesso in uso al comodatario.

Questa la decisione della Corte di Cassazione n. 24448/19, depositata il 31 maggio. Il fatto. La Corte d’Appello di Roma confermava la sussistenza della responsabilità in capo all’imputato in relazione al delitto di violazione di domicilio, per essersi egli introdotto nell’appartamento di sua proprietà, concesso in comodato d’uso alla parte offesa, in tarda ora serale, scacciando i comodatari. Avverso tale decisione, ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, facendo leva sulla sussistenza di una clausola contrattuale in virtù della quale esisteva l’obbligo del comodatario di far accedere il proprietario dell’immobile concesso senza preavviso né limiti di orario. L’esercizio dello jus excludendi. La quaestio iuris riguardante l’integrazione del delitto da parte del comodante che si sia introdotto senza preavviso nell’immobile concesso al comodatario, pur in presenza di un’apposita clausola contrattuale in tal senso, viene dichiarata infondata dalla Suprema Corte. Gli Ermellini, infatti, osservano come l’interesse giuridico tutelato dall’art. 614 c.p. sia costituito dalla libertà della persona colta nella sua proiezione nello spazio rappresentata dal domicilio , di cui deve essere garantita l’inviolabilità ai sensi degli artt. 14 Cost. e 8, par. 1, CEDU. Nello stesso senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità, laddove individua la titolarità dello jus excludendi omnes alios in base al contenuto del diritto alla libertà del domicilio, che non è astrattamente predeterminato ma è variabile ed è definibile solo in concreto, in ragione dell’effettivo atteggiarsi della relazione tra il soggetto ed il bene scelto come abitazione o luogo ad essa equiparabile . Ora, il legittimo esercizio del diritto citato presuppone la sussistenza di una situazione di fatto che colleghi il soggetto allo spazio in cui si sviluppa la sua personalità, ed è proprio per questo che può senza dubbio riconoscersi lo stesso non solo in capo al proprietario dell’immobile ma anche in relazione al possessore e detentore dello stesso, sempre che abbiano stabilito presso di esso la propria privata dimora. Nel caso concreto, il comodatario ha senz’altro fissato il proprio domicilio nell’immobile concessogli in uso, mentre, in relazione alla clausola contrattuale oggetto di ricorso da parte del proprietario dell’appartamento, la Corte osserva come la sua interpretazione letterale ne contempli l’operatività previo consenso del comodatario, circostanza che non si è verificata nel caso di specie. Dunque, la Corte afferma la legittimità dell’esercizio dello jus excludendi da parte del comodatario in relazione al fatto che lo stesso abbia acquisito la detenzione qualificata del bene, divenendo titolare di un diritto personale di godimento sull’oggetto a cui corrisponde la perdita del godimento e dell’uso dello stesso da parte del comodante a partire dal momento della consegna. In conclusione, la Corte annulla la decisione impugnata agli effetti penali a causa dell’intervenuta prescrizione, essendo preclusa alla stessa la possibilità di rilevare e dichiarare cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p., e rigetta il ricorso agli effetti civili.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 8 marzo – 31 maggio 2019, n. 24448 Presidente Pezzullo – Relatore Scordamaglia Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza del 25 ottobre 2016, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città del 14 ottobre 2014, ha assolto B.M. dal delitto di ingiuria - per non essere il fatto previsto dalla legge come reato -, con conferma del riconoscimento della responsabilità dell’imputato per il delitto di violazione di domicilio, commesso il omissis , in pregiudizio di N.F. , cui aveva concesso in comodato un appartamento di sua proprietà, all’interno del quale si era introdotto, in tarda ora serale, facendo uso delle chiavi in suo possesso e scacciando gli ospiti del comodatario. 2. Nell’interesse del B. ricorre in Cassazione per l’annullamento della sentenza di appello il difensore, affidando l’impugnativa a due motivi 2.1. con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 614 c.p., sul rilievo che il contratto di comodato, con il quale l’imputato aveva concesso il godimento dell’immobile di sua proprietà alla parte offesa, prevedeva l’obbligo, in capo al comodatario, di far accedere il comodante nell’immobile concesso in godimento in qualsiasi giorno ed ora senza alcun preavviso, con la conseguenza che il B. , introducendosi in esso, non aveva fatto altro che esercitare il proprio diritto 2.2. con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione anche da travisamento della prova, non avendo, la Corte territoriale, dato conto delle modalità di ingresso dell’imputato nell’immobile in uso al N. ed avendo tratto dalla testimonianza dell’A. elementi di prova non idonei a confermare la testimonianza della parte offesa. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3, sicché non è preclusa a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164 . 2. Invero, per il reato per cui è processo il termine massimo di prescrizione pari ad anni sette e mesi sei - è maturato successivamente alla sentenza di secondo grado segnatamente il 27 ottobre 2016 tuttavia l’obbligo della immediata declaratoria di tale causa di estinzione, sancito dall’art. 129 c.p.p., comma 1, implica, nel contempo, la valutazione della sussistenza in modo evidente di una ragione di proscioglimento dell’imputato, alla luce della regola di giudizio posta dal medesimo art. 129 c.p.p., comma 2, rilevabile soltanto nel caso in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione , ossia di percezione ictu oculi , che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 . Orbene, nel caso di specie, non ricorrono in modo evidente ed assolutamente non contestabile ragioni di proscioglimento dell’imputato, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2, per quanto si dirà. 3. Il ricorso va respinto agli effetti civili, non risultando le doglianze proposte dal ricorrente idonee ad inficiare la responsabilità del ricorrente a tal fine. 3.1. Occorre dare atto che molte delle deduzioni sviluppate nell’impugnativa - peraltro con il richiamo a prove, asseritamente travisate, neppure sottoposte allo scrutinio della Corte nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso stesso -, soprattutto laddove attingono la ricostruzione del fatto, involgono valutazioni di merito sottratte al sindacato di legittimità. Al cospetto di una motivazione succinta, ma non per questo affetta da decisive carenze o da illogicità evidenti - avendo la Corte territoriale mostrato di avere sottoposto a vaglio critico tutto il compendio probatorio, costituito non solo dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, ma anche dalle propalazioni dei testi D.L. e A. -, le censure spiegate si risolvono in una sollecitazione rivolta alla Corte di Cassazione a compiere una rivalutazione delle prove, che, tuttavia, le è preclusa va, al riguardo, ribadito che non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico e altro, Rv. 271623 . 3.2. Accertato, quindi, il fatto ascritto all’imputato, nei termini dell’essersi egli introdotto, senza il consenso del comodatario, all’interno dell’immobile concesso in godimento ed adibito dal titolare di diritto di uso a privata dimora, la quaestio iuris se integri il delitto di violazione di domicilio l’introduzione del proprietario nell’immobile concesso in comodato, nell’ipotesi in cui il comodatario si sia contrattualmente impegnato a fare accedere il comodante nell’immobile in ogni momento e senza preventivo avviso, è infondata. Premesso che l’interesse giuridico tutelato dall’artt. 614 c.p., va individuato nella libertà della persona, colta nella sua proiezione spaziale, rappresentata dal domicilio, di cui viene garantita l’inviolabilità, conformemente al precetto di cui all’art. 14 Cost. - che attribuisce al domicilio le stesse garanzie della libertà personale, previste dall’art. 13 Cost., alla cui disciplina il comma 2, della norma menzionata rinvia per le sole eccezioni consentite - e alla disposizione di cui all’art. 8, par. 1, CEDU, va ribadito che il soggetto passivo del delitto di violazione di domicilio è da individuare in chi, per avere la disponibilità esclusiva di uno spazio nel quale si esplica la propria personalità individuale in piena libertà, ha la titolarità del diritto di vietare a terzi l’ingresso o la permanenza in esso, che viene ad identificarsi in uno dei luoghi presi in considerazione dalla norma penale citata. In tal senso, in effetti, si è espressa la giurisprudenza di legittimità, che ha chiarito come, per individuare il titolare dello jus excludendi omnes alios, occorre avere riguardo al contenuto del diritto alla libertà del domicilio, che non è astrattamente predeterminato ma è variabile ed è definibile solo in concreto, in ragione dell’effettivo atteggiarsi della relazione tra il soggetto ed il bene scelto come abitazione o luogo ad essa equiparabile Sez. 5, n. 42806 del 26/05/2014, Zamponi, Rv. 260769 . In questa prospettiva interpretativa, dunque, il legittimo esercizio dello jus excludendi, proprio in ragione della definizione di domicilio quale luogo di privata dimora dove si esplica liberamente la personalità del singolo, presuppone l’esistenza di una situazione di fatto che colleghi in maniera sufficientemente stabile il soggetto allo spazio fisico in cui si esplica la sua personalità Sez. 5, n. 47500 del 21/09/2012, Catania, Rv. 254518 . Ne viene che il detto diritto deve, allora, senz’altro riconoscersi oltre che al legittimo proprietario dell’immobile, che vi abbia stabilito il proprio domicilio, anche ai possessore o al detentore del bene, sempre che questi ivi vi abbiano la loro privata dimora, stante il diverso atteggiarsi delle molteplici relazioni potenzialmente intercorrenti tra il bene prescelto come dimora ed il soggetto che ha operato la relativa scelta. Al lume di tale criterio ed avuto riguardo alle modalità con cui si è svolto il rapporto tra il comodante e il comodatario - disciplinato da apposito contratto, indicativo della previsione di un’apprezzabile durata della permanenza del comodatario all’interno del luogo scelto come abitazione, siccome è desumibile dalla sentenza di primo grado cui è consentito fare richiamo in virtù del principio di reciproca integrazione delle pronunce di merito, che si saldano tra loro per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame abbiano concordato nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 , non vi è dubbio che la parte offesa N. nell’immobile concessogli in uso dal B. avesse fissato il proprio domicilio, dal quale, dunque, egli poteva legittimamente escludere gli estranei, ivi compreso il proprietario dell’alloggio. Il quale, peraltro, sulla base della stessa interpretazione letterale della clausola contrattuale richiamata dalla sua difesa obbligo del comodatario di fare accedere il comodante” , non aveva alcun diritto di introdursi e di trattenersi all’interno dell’immobile concesso in comodato, tanto essendogli possibile solo ove il comodatario lo avesse consentito, adempiendo, in tale guisa, all’obbligo negozialmente assunto. In tal senso, del resto, si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte affermando che è legittimo l’esercizio, da parte del comodatario, dello jus excludendi, nei confronti dei terzi, a tutela dell’inviolabilità del domicilio in capo al comodatario, stante la legittima detenzione del bene attuata mediante la sua consegna e l’utilizzo esclusivo del bene dal contratto derivante Sez. 5, n. 29093 del 30/01/2015, Castiglioni, Rv. 264846 ciò, perché, in virtù del tipo di contratto di cui all’art. 1803 c.c., il comodatario acquisisce la detenzione qualificata della cosa, divenendo titolare di un diritto personale di godimento sul bene, avente come contenuto l’uso esclusivo del bene per gli scopi determinati dal contratto o dalla natura della cosa, cui corrisponde, nel comodante, la perdita del godimento e dell’uso della cosa stessa dal momento della consegna al comodatario. 3. In ragione di quanto sin qui argomentato s’impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali, per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, e il rigetto del ricorso agli effetti civili, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di parte civile del grado che liquida in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di parte civile del grado che liquida in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge.