L’esimente della immunità giudiziaria alla prova e la giurisprudenza della Corte

Ai fini dell’applicabilità dell’articolo 598 c.p. deve essere esclusa la necessità che le offese abbiano anche un contenuto minimo di verità o che la stessa sia in qualche modo deducibile dal contesto, in quanto l’interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa a prescindere dalla fondatezza della argomentazione.

La scriminante dell’articolo 598 c.p. trova applicazione anche nei casi in cui l’offesa non sia contenuta in un atto giudiziario ma in atto stragiudiziale purché detto atto sia prodromico a successive iniziative giudiziali. Unico limite all’operatività della scriminante in parola è costituito dalla calunniosa delle accuse contenute nelle espressioni rivolte alla persona offesa Cassazione, sentenza n. 24452/19, depositata il 31 maggio . L’articolo 598 c.p. la norma in commento ha contenuto all’apparenza chiaro. Essa recita Non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un'Autorità amministrativa, quando le offese concernono l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo. Il giudice, pronunciando nella causa, può, oltre ai provvedimenti disciplinari, ordinare la soppressione o la cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive, e assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Qualora si tratti di scritture per le quali la soppressione o cancellazione non possa eseguirsi, è fatta sulle medesime annotazioni della sentenza Eppure laddove si tratta di darne compiuta applicazione i problemi non mancano. La vicenda. La vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte è., sotto questo profilo, oltremodo interessante. Essa prende le mosse da una complessa vicenda di compravendite immobiliari che hanno riguardato fra gli altri beni anche un castello medievale il che ha colpito la mia fantasia , compiute a mezzo di procura poi tacitamente revocata a mezzo di atti e fatti concludenti. Ora, tralasciando gli aspetti meno rilevanti8 meno rilevanti ai fini di questo commento la Corte era chiamata a pronunciarsi circa l’applicabilità dell’articolo 598 c.p. ad atti stragiudiziali che contenevano nella loro struttura anche l’indicazione inerente la possibilità di commissione di reato, falso ideologico, da parte del notaio rogante gli atti di compravendita. Notaio che, non appena ricevuto la comunicazione stragiudiziale di diffida, ed appresone il tenore, aveva proceduto a denunziarne gli autori rinvenendo nella condotta da questi posta in essere gli estremi della diffamazione a mezzo stampa. Il giudice del primo grado di giudizio aveva condannato l’autore della diffida mentre il giudice dell’appello, ribaltando la pronuncia del primo grado, aveva assolto l’imputato applicando al caso di specie la scriminante prevista dall’articolo 598 c.p Avverso detta pronuncia la parte civile ha frapposto ricorso per Cassazione che la Corte ha respinto ritenendolo infondato. La natura dell’atto in cui le offese sono contenute. L’atto in cui le offese debbono essere contenute la Corte ha chiarito, richiamando la propria giurisprudenza, che l’atto in cui le offese sono contenute non deve necessariamente essere costituito da un atto giudiziale, potendo assolvere alla funzione anche altro atto purché da inquadrarsi e considerarsi quale atto prodromico all’inizio dell’azione. Azione da intendersi quale esercizio legale di quelli che si ritengono essere i diritti dell’estensore dell’atto. Dunque la scriminante è applicabile, ad esempio e come nel caso di specie, alle diffide stragiudiziali. La natura delle offese. Le offese contenute nell’atto non debbono essere sostenute da alcuna fondatezza. Esse dunque possono essere, in quanto totalmente infondate anche del tutto false o parzialmente inveritiere. La Corte a fronte di un’affermazione che potrebbe apparire fuorviante toglie spazio ad ogni critica ricordando che il bene tutelato dalla scriminante è costituito dal diritto alla difesa, diritto alla difesa che necessariamente deve consentire una ricostruzione libera ed anche, se del caso, infondata. Purché sempre, ed il vincolo non è affatto secondario, collegata logicamente alla causa. Dunque infondata, e sotto questo profilo inveritiere, ma strettamente, ovvero logicamente collegata alla causa. Il limite dell’articolo 598 c.p Unico limite previsto dalla scriminate di cui si tratta è costituito dall’utilizzo di espressioni calunniose. Il descritto limite merita una piccolissima analisi che non può che ancorarsi, al fine d’essere correttamente eseguita, ai criteri ermeneutici previsti dalla giurisprudenza e dalla dottrina ai fini di applicare il disposto dell’articolo 368 c.p. Come è noto affinché possa dirsi integrato il delitto di calunnia è necessario che il calunniatore abbia la consapevolezza della falsità delle accuse. Detta consapevolezza costituisce l’elemento soggettivo del reato che, in difetto di detto presupposto, non potrà mai dirsi essere integrato. In modo del tutto analogo la Corte individua quale unico limite all’applicabilità della scriminante della immunità giudiziaria quello della calunniosità delle offese ovvero non nel contenuto delle stesse e cioè nella loro capacità di individuare fatti penalmente rilevanti attribuendone la commissione alla controparte, ma nella consapevolezza da parte dello scrivente della falsità delle accuse mosse. Una sorta di duplice valutazione che dapprima deve evidenziare se le espressioni utilizzate siano tali dall’individuare condotte penalmente rilevanti attribuibili al destinatario dello scritto e, successivamente, volta ad analizzare la consapevolezza circa la falsità del contenuto delle stesse in capo allo scrivente. In assenza dell’elemento soggettivo tipico della calunnia in capo allo scrivente l’applicazione dell’articolo 598 c.p. non può e non deve conoscere limiti.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 aprile – 31 maggio 2019, n. 24452 Presidente Pezzullo – Relatore Borrelli Ritenuto in fatto 1. La sentenza al vaglio odierno di questa Corte è stata pronunziata il 24 aprile 2018 dalla Corte di appello di Milano, che ha ribaltato la condanna inflitta dal Tribunale della stessa città a A.P.M.M.A.D. per diffamazione aggravata ai danni del notaio G.F. . La diffamazione - secondo la contestazione - sarebbe stata commessa con l’invio di una diffida al notaio G. , a P.D. ed ai soci della s.r.l. Daupher a firma anche dell’imputato, con la quale si affermava che le procure notarili rilasciate dai componenti della famiglia del prevenuto al P. erano state utilizzate per alienare e disporre di loro proprietà contro la loro volontà ed a loro insaputa, invitando la professionista a annullare e cancellare tutti gli atti stipulati a loro nome, contro la loro volontà ed a loro danno. Il ribaltamento della sentenza di condanna del Tribunale è intervenuto perché la Corte di appello ha reputato sussistente la causa di non punibilità di cui all’art. 598 c.p 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della parte civile G.F. . 2.1. Il primo motivo deduce - citando giurisprudenza sul punto - l’erronea applicazione della disposizione di cui all’art. 598 c.p. perché essa non potrebbe trovare applicazione quando le espressioni siano calunniose nel caso di specie - assume la ricorrente - ella era stata accusata del reato di falso ideologico in atto pubblico di cui all’art. 479 c.p 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, la parte assume l’erroneità della revoca delle statuizioni civili, sulla scorta della natura di causa di non punibilità della norma sull’immunità giudiziaria, che non escluderebbe l’illiceità del fatto. A sostegno del proprio assunto, la ricorrente invoca l’applicazione dell’art. 598 c.p., comma 2. 3. Il 25 marzo 2019 il difensore dell’imputato ha depositato una memoria in cui ha rievocato i fatti che avevano preceduto l’invio della diffida, spiegando che la procura irrevocabile a vendere conferita dal padre A.G.P. al P. era stata revocata ex art. 1724 c.c. nel momento in cui era stato lo stesso A.P. ad intervenire nella stipula del contratto preliminare con l’Immobiliare Daupher rappresentata sempre dal P. , per la vendita del castello di famiglia. Una volta intervenuta la revoca tacita, il notaio non avrebbe potuto stipulare la vendita reputando ancora P. procuratore speciale di A.G.P. , il che - allorché gli ignari componenti della famiglia A.P. avevano appreso della vendita - aveva reso necessaria non solo la diffida, ma anche un’azione civile ed una denunzia alla Procura della Repubblica. Quanto ai singoli motivi di ricorso, la difesa dell’imputato ne lamenta l’inammissibilità sostenendo che - al momento dell’invio della diffida, l’imputato ed i suoi familiari erano convinti - a prescindere dalle reali responsabilità della professionista - che al notaio fosse addebitabile la stipula del definitivo a loro insaputa. - Il risarcimento invocato non sarebbe dovuto, perché la diffida era un atto essenziale per l’esercizio delle facoltà difensive. Considerato in diritto 1. Il ricorso della parte civile è infondato e va pertanto respinto. 2. Il primo motivo di ricorso è infondato. 2.1. Secondo la ricorrente, l’esimente di cui all’art. 598 c.p. non potrebbe trovare applicazione laddove - come nel caso di specie - le espressioni non siano solo lesive dell’altrui reputazione, ma appaiano anche calunniose nel caso di specie detta calunniosità - secondo l’impostazione del ricorso - risiederebbe nella circostanza che la G. , con la diffida corpo di reato, era stata accusata del reato di falso ideologico in atto pubblico di cui all’art. 479 c.p 2.2. Appare opportuno rappresentare - per una migliore intellegibilità delle questioni di diritto che si andranno a vagliare - che la diffida contenente le espressioni asseritamente diffamatorie si pone a valle di una complessa vicenda, che - secondo quanto è possibile ricavare dalla sentenza impugnata e dalle prospettazioni delle parti - ha visto il rilascio, il 12 aprile 2007, a P.D. di una procura speciale irrevocabile a vendere alcuni immobili della famiglia P.M. , redatta dal notaio G. , con autorizzazione a contrarre con se stesso. P. , in vista dell’operazione immobiliare, era stato nominato amministratore unico della Immobiliare Daupher s.r.l., con quote intestate a P. stesso, all’odierno imputato ed alla madre C.A. . Il OMISSIS , P.G.M. , l’imputato e la madre avevano stipulato, sempre a ministero del notaio G. , il preliminare di vendita di alcuni immobili alla società immobiliare suddetta e, il successivo 28 dicembre, il P. , quale procuratore speciale della parte venditrice e quale amministratore della Daulpher, aveva partecipato alla compravendita definitiva, pure rogata dall’odierna parte civile, che si era poi concretizzata una volta elasso il termine per l’esercizio del diritto di prelazione da parte del Ministero dei beni culturali sul castello medievale facente parte del compendio venduto. Secondo l’odierno imputato, la vendita del 28 dicembre era avvenuta senza che i A.P. ne fossero a conoscenza, il che aveva reso necessario l’invio della diffida, l’attivazione di un giudizio civile e la presentazione di una denunzia alla Procura della Repubblica. 2.3. Fatta questa breve premessa in fatto, occorre evidenziare che la tesi della ricorrente circa l’inapplicabilità dell’esimente ex art. 598 c.p. non può trovare seguito. 2.3.1. Per affrontare il thema decidendum occorre ricordare che l’esimente di cui all’art. 598 c.p. concerne le offese contenute in scritti presentati o discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori in procedimenti innanzi all’autorità giudiziaria od amministrativa, non punibili nella misura in cui le espressioni offensive riguardino, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale nel sostenere la tesi prospettata o comunque nell’ottica dell’accoglimento della domanda proposta Sez. 5, n. 2507 del 24/11/2016, dep. 2017, Carpinelli, Rv. 269075 - 01 Sez. 5, n. 12057 del 23/09/1998, Lamendola A, Rv. 214354-01 , quand’anche esse non siano necessarie e riguardino passaggi non decisivi dell’argomentazione Sez. 5, Sentenza n. 14542 del 07/03/2017, Palmieri, Rv. 269734 - 01 Sez. 5, n. 6495 del 28/01/2005, Bonazzi, Rv. 231428 - 01 . Ai fini dell’applicabilità dell’art. 598 c.p., deve essere esclusa, invece, la necessità che le offese abbiano anche un contenuto minimo di verità o che la stessa sia in qualche modo deducibile dal contesto, in quanto l’interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa a prescindere dalla fondatezza dell’argomentazione Sez. 5, n. 2507 del 24/11/2016, cit. Sez. 5, n. 40452 del 21/09/2004, Ummarino ed altro, Rv. 230063 . Quanto alla possibilità che l’offesa cui correlare l’art. 598 c.p. sia contenuta non già in un vero e proprio atto interno al giudizio, ma ad uno che lo precede, questa Corte Sez. 5, n. 46864 del 28/11/2005, Vecchione ed altri, Rv. 233046 - 01 ha statuito che la norma in discorso trova applicazione anche in relazione ad una diffida stragiudiziale prodromica alle successive iniziative legali, come quella in discorso. Sulla scorta di questa coordinate ermeneutiche, può essere operata una prima delibazione positiva circa la scelta del Giudice di appello di ritenere applicabile l’immunità giudiziaria, sia quanto alla tipologia di documento-veicolo delle espressioni diffamatorie, sia, sotto il profilo contenutistico, con riferimento alla funzionalità delle espressioni a sostenere la tesi dell’imputato - e dei suoi familiari - circa l’invalidità della procura e dell’atto di compravendita immobiliare che, sulla sua base, era stato stipulato dal Notaio G. . Ed invero, nella diffida le cui espressioni sono state trasposte nel capo di imputazione - che è il primo riferimento con cui confrontarsi - non vi era altro che una richiesta tesa ad inibire l’ulteriore utilizzo della procura ed a porre nel nulla gli atti che la presupponevano, rappresentando che detta procura era stata utilizzata per alienare le proprietà di famiglia contro la volontà degli A.P.M. ed in danno di questi ultimi ebbene, può affermarsi che si tratti esattamente della prospettazione che l’imputato ha poi formulato nella causa civile che è seguita alla diffida, dal momento che sulla ricostruzione non già sulla fondatezza naturalmente della tesi coltivata dall’imputato e dai suoi familiari non pare vi sia contestazione da parte della ricorrente. 2.3.2. Passando oltre - e venendo, in effetti, al cuore della doglianza della ricorrente - occorre domandarsi se l’applicazione della cd. immunità giudiziaria possa trovare un limite nella predicata calunniosità delle accuse mosse al notaio G. . Ebbene, in limine all’esame di tale aspetto della vicenda sub iudice, occorre anticipare che il ricorso lambisce in parte qua l’inammissibilità laddove, nel sostenere la tesi dell’inapplicabilità della scriminante a cagione della calunniosità delle accuse, si limita ad enunciare che il notaio G. sarebbe stata accusata del reato di falso ideologico in atto pubblico, senza tuttavia precisare come le espressioni asseritamente calunniose potessero evocare una condotta così penalmente caratterizzata in capo alla professionista. Si tratta, quindi, di un’impostazione che è ai limiti della genericità. Volendo andare oltre ed esaminare la doglianza sotto il profilo contenutistico, va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha effettivamente individuato un limite all’operatività della disposizione di cui all’art. 598 c.p. nella calunniosità delle accuse contenute nelle espressioni rivolte alla persona offesa Sez. 5, n. 31115 del 30/06/2011, P.O. in proc. Farumi, Rv. 250587 - 01 Sez. 6, n. 32325 del 04/05/2010, Grazioso, Rv. 248080 - 01 Sez. 5, n. 29235 del 19/05/2011, Cicciò e altri, Rv. 250466 - 01 . Ciò, tuttavia, non ha le implicazioni che la parte civile ricorrente auspicherebbe. La stessa giurisprudenza sopra evocata, infatti, ha dato per scontato che questo principio presupponga che colui che abbia attribuito alla persona offesa una condotta costituente reato lo abbia fatto nella consapevolezza della falsità delle accuse tale consapevolezza, a ben vedere, rappresenta l’in se del reato di calunnia, che non consiste sic et simpliciter nell’attribuire a qualcuno la commissione di un reato, ma nel muovere dette accuse con la certezza dell’innocenza dell’incolpato, certezza che va esclusa quando l’autore del fatto abbia agito basandosi su circostanze di fatto non solo veritiere, ma la cui forza rappresentativa sia tale da indurre una persona di normale cultura e capacità di discernimento a ritenere la colpevolezza dell’accusato Sez. 6, n. 3964 del 06/11/2009, dep. 2010, De Bono, Rv. 245849 - 01 . Ebbene, nè dal ricorso, nè dalla sentenza impugnata si evince che l’imputato abbia agito ad onta della coscienza che le accuse mosse al notaio G. fossero false ovvero sulla base di circostanze di fatto prive di valenza corroborante della tesi sostenuta. Vi è, anzi, uno snodo della vicenda - debitamente evidenziato nelle difese dell’imputato e che emerge anche dalla ricostruzione storica della sentenza impugnata - che depone in senso esattamente contrario ci si riferisce alla partecipazione del mandante A.G.P. alla stipula del contratto preliminare della vendita per cui la procura era stata rilasciata, circostanza potenzialmente idonea a far escludere, nella visione che della vicenda aveva l’imputato, la persistente validità della procura a vendere per essere avvenuta una revoca tacita ex art. 1724 c.c., con la conseguente ragionevolezza della convinzione che il successivo utilizzo della procura fosse stato illegittimo. 3. Il secondo motivo di ricorso - con cui la parte assume l’erroneità della revoca delle statuizioni civili, invocando l’applicazione dell’art. 598 c.p., comma 2, - è del pari infondato. A norma dell’art. 538 c.p.p., comma 1, la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile può discendere solo da una pronunzia di condanna sul versante penale. Nè appare concludente il riferimento che la ricorrente opera alla disposizione di cui all’art. 598 c.p., comma 2 secondo cui il Giudice, pronunciando nella causa, può, tra l’altro, assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno , che si riferisce non già al giudicante penale che prosciolga l’imputato ex art. 598 c.p., comma 1, ma ai poteri del giudice della causa nella quale sono state scritte o pronunciate le frasi offensive. A quest’ultimo proposito, il Collegio, invero, condivide un precedente di questa Corte che, interrogandosi anche sulle differenze con la norma di cui all’art. 89 c.p.c., ha ritenuto che, giacché i limiti di applicabilità dell’art. 598 c.p., comma 1 sono tutti nella funzionalità delle eventuali offese all’esercizio del diritto di agire in giudizio riconosciuto a chiunque dall’art. 24 Cost., è ragionevole concludere che solo il giudice della causa in cui le frasi offensive furono scritte o pronunciate possa valutare, a conclusione del giudizio, se la giustificazione di quelle offese debba escludere anche la risarcibilità del danno non patrimoniale eventualmente patito da colui cui furono rivolte Sez. 5, n. 6701 del 08/02/2006, Massetti ed altro, Rv. 234007 - 01 . 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.