Lei obbligata a rapporti di gruppo e con estranei: marito condannato

Decisiva la constatazione che la donna abbia manifestato il proprio dissenso nell’ultimo periodo della convivenza con il coniuge. Per i Giudici d’appello e di cassazione vi sono tutti i presupposti per ritenere l’uomo colpevole di una condotta violenta e prevaricatrice nei confronti della consorte.

Rapporti sessuali di gruppo e con persone estranee. Questo l’increscioso regime di vita imposto da un uomo alla moglie, capace di opporre resistenza solo negli ultimi mesi della terribile convivenza. Inevitabile perciò la condanna del marito per il reato di violenza sessuale” Cassazione, sentenza n. 23803/19, sez. III Penale, depositata oggi . Coartazione. A finire sotto i riflettori è la vita da incubo vissuta tra le mura domestiche da una donna. A finire sotto processo è il marito che, già condannato in via definitiva per maltrattamenti in famiglia , deve ora ribattere alle accuse di violenza sessuale in danno della consorte. In Tribunale, però, il quadro probatorio viene ritenuto fragile, e così l’uomo vede allontanarsi lo spettro della condanna. Per i Giudici di primo grado va tenuto presente che la donna ha volontariamente assecondato il marito nelle pratiche sessuali da lui volute , cioè rapporti di gruppo e con persone estranee, e non ha opposto alcuna resistenza, se non nell’ultimo periodo di convivenza . Prospettiva opposta, invece, quella adottata dai Giudici d’appello, i quali sottolineano proprio le lamentele della donna quando la convivenza col marito era ormai agli sgoccioli, e ne deducono l’elemento della violenza e della coartazione psicologica . In sostanza, è provata, per i giudici di secondo grado, la condotta violenta e prevaricatrice con cui l’uomo ha costretto a lungo la moglie a pratiche sessuali da lei non volute . Tale visione è ritenuta corretta e condivisa anche dai magistrati della Cassazione, che confermano la condanna del marito per il reato di violenza sessuale perpetrato ai danni della donna, da lui obbligata a vivere situazioni sessuali assolutamente non volute né accettate.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 marzo – 29 maggio 2019, n. 23803 Presidente Rosi – Relatore Reynauld Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 10 luglio 2018, la Corte d'appello di Milano, integralmente riformando la sentenza, resa all'esito del giudizio abbreviato, appellata dall'imputato e dal pubblico ministero, ha dichiarato non doversi procedere in relazione alla contravvenzione di cui all'art. 660 cod. pen. per la quale era in primo grado intervenuta condanna a seguito di riqualificazione dell'originaria imputazione formulata con riguardo all'art. 572 cod. pen. e ha condannato l'odierno ricorrente alle pene di legge per il reato di violenza sessuale continuata commesso in danno dell'ex moglie, riunendo lo stesso nel vincolo della continuazione con il delitto di maltrattamenti in famiglia già giudicato con una sentenza definitiva. 2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo l'inosservanza o erronea applicazione dell'art. 603, commi 1 e 3-bis, cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione con riguardo al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale avanzata dalla difesa a seguito dell'appello interposto dal pubblico ministero contro la pronuncia assolutoria resa in primo grado. Si duole, in particolare, il ricorrente che, senza addurre una logica giustificazione, la Corte territoriale - disponendo la rinnovazione istruttoria unicamente con riguardo alla testimonianza della persona offesa - abbia omesso di escutere i testimoni An. Fr. e Ro. Bo., i quali avevano reso dichiarazioni ritenute decisive dal giudice di primo grado al fine di escludere che la donna fosse stata coartata nel compimento delle attività sessuali oggetto di contestazione, dichiarazioni che erano state diversamente valutate dal pubblico ministero appellante. Si lamenta, inoltre, la mancata rinnovazione dell'istruttoria con riguardo all'audizione testimoniale del medico di famiglia dott. Fa. e dell'assistente sociale dott.ssa Pe. - i quali pure avevano reso dichiarazioni che escludevano la coartazione della volontà della persona offesa - e il rigetto dell'istanza volta ad ottenere una perizia sui messaggi trovati nel telefono cellulare della persona offesa e scambiati tra lei e Ro. Bo., ovvero anche solo la produzione della loro trascrizione. Considerato in diritto 1. Com'è noto, ancor prima che fosse introdotto nel corpo dell'art. 603 cod. proc. pen. il disposto di cui al comma 3-bis, della cui inosservanza il ricorrente si duole, nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato l'orientamento secondo cui la previsione contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d , della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU - che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne - implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all'esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487, che ha confermato il prevalente orientamento di legittimità formatosi dopo la nota pronuncia della Corte EDU 5 luglio 2011, Dan c. Repubblica della Moldavia v., ex plurimis, Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone e aa., Rv. 265879 Sez. 5, n. 6403 del 16/09/2014, dep. 2015, Preite e a., Rv. 262674 Sez. 5, n. 16975 del 12/02/2014, Sirsi, Rv. 259843 . Conseguentemente, in tali casi, laddove non abbia luogo la rinnovazione dell'istruzione, è affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma primo, lett. e , cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio , di cui all'art. 533, comma primo, cod. proc. pen., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell'art. 603, comma terzo, cod. proc. pen. Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267492 , e ciò anche laddove - come nel caso di specie - la sentenza assolutoria di primo grado sia emessa all'esito di un giudizio abbreviato non condizionato Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785 . La richiamata sentenza Dasgupta afferma altresì che costituiscono prove decisive al fine della valutazione della necessità di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova - ai fini dell'esito della condanna Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267491 . 2. Secondo la giurisprudenza di legittimità successiva, il giudice d'appello che intenda procedere alla reformatio in peius di una sentenza assolutoria di primo grado, emessa all'esito di giudizio ordinario o abbreviato non ha tuttavia l'obbligo di rinnovare la prova dichiarativa decisiva qualora emerga che la lettura della prova compiuta dal primo giudice sia stata travisata per omissione, invenzione o falsificazione Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269786 , tale obbligo sussistendo soltanto quando si tratti di valutazione differente della prova dichiarativa e non di mero travisamento di essa, caso quest'ultimo in cui si può pervenire al giudizio di colpevolezza senza necessità di rinnovazione delle prove dichiarative Sez. 6, n. 35899 del 30/05/2017, Forini, Rv. 270546, in cui la prova dichiarativa utilizzata per la riforma della sentenza in grado d'appello non era stata in primo grado considerata dal giudice, incorso in travisamento per omissione . Già in precedenza, sulla stessa linea, si era affermato che in tema di valutazione della prova, il giudice di appello che intenda riformare in peius la sentenza assolutoria di primo grado non ha l'obbligo di disporre la rinnovazione di una prova dichiarativa ritenuta decisiva allorché si limiti a valorizzare integralmente una deposizione solo parzialmente considerata - per una svista, una dimenticanza o un vero e proprio salto logico - da parte del primo giudice Sez. 2, n. 54717 del 01/12/2016, Ciardo e aa., Rv. 268826 . Il diverso apprezzamento di una dichiarazione ritenuta decisiva ricorre anche nel caso in cui non si sia proceduto a valutare diversamente l'attendibilità del dichiarante, quanto, piuttosto, a dare una differente interpretazione del significato delle sue dichiarazioni Sez. 3, n. 24306 del 19/01/2017, I., Rv. 270630 . Per contro, non sussiste l'obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell'assoluzione, quando la deposizione è valutata in maniera del tutto identica sotto il profilo contenutistico, ma il suo significato probatorio viene diversamente apprezzato nel rapporto con le altre prove Sez. 3, n. 19958 del 21/09/2016, dep. 2017, Chiri, Rv. 269782 , magari nell'ambito di una valutazione organica, globale ed unitaria degli ulteriori elementi indiziari a carico esterni alle dichiarazioni , erroneamente considerati in maniera atomistica dalla decisione del primo giudice Sez. 2, n. 3917 del 13/09/2016, dep. 2017, Fazi, Rv. 269592 ovvero affatto considerati Sez. 5, n. 45847 del 28/06/2016, Colombo, Rv. 268470 . Si è ulteriormente precisato che nel caso di condanna in appello, non sussiste l'obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale quando l'attendibilità della deposizione sia valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, il quale si limita a procedere ad un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 270471 , come pure qualora non vengano messi in dubbio la credibilità dei testi o il contenuto delle loro deposizioni, ma la decisione in sede di gravame sia invece fondata solo su una diversa valutazione del medesimo materiale probatorio utilizzato in primo grado Sez. 5, n. 53415 del 18/06/2018, Boggi, Rv. 274593 e, più in generale, qualora il giudice abbia riformato la sentenza assolutoria di primo grado non già in base al diverso apprezzamento di una prova dichiarativa, bensì all'esito della differente interpretazione della fattispecie concreta, fondata su una complessiva valutazione dell'intero compendio probatorio Sez. 5, n. 42746 del 09/05/2017, Fazzini, Rv. 271012 . Tantomeno occorre procedere alla rinnovazione dibattimentale della prova nel caso di riforma della sentenza di assoluzione fondata non già sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, ma in forza della rivalutazione di un compendio probatorio di carattere documentale Sez. 3, n. 31949 del 20/09/2016, dep. 2017, Felice, Rv. 270632 Sez. 2, n. 53594 del 16/11/2017, Piano, Rv. 271694 , ovvero in base alla valorizzazione delle intercettazioni telefoniche, quasi ignorate dal giudice di primo grado, rispetto alle quali le prove dichiarative sono state ritenute di marginale rilevanza Sez. 6, n. 49067 del 21/09/2017, Bertolini, Rv. 271503 . 3. L'orientamento giurisprudenziale sopra delineato è stato sostanzialmente recepito dalla recente legge 23 giugno 2017, n. 103, che, con l'art. 1, comma 58, ha introdotto un nuovo comma nella disposizione relativa alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di secondo grado, statuendo che nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. . La citata disposizione, peraltro, non contiene elementi distonici rispetto alle linee interpretative elaborate dalla giurisprudenza in precedenza formatasi quali più sopra riepilogate per analoghe considerazioni v., in motivazione, Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 . 4. Alla luce di tali chiare - ed univoche - affermazioni di principio il ricorso è manifestamente infondato e generico e va pertanto dichiarato inammissibile. 4.1. Deve in primo luogo affermarsi la correttezza della valutazione nella specie operata dalla Corte territoriale circa l'assoluta irrilevanza, nella ricostruzione e valutazione dei fatti, delle dichiarazioni rese dai testi Fr. e Bo., che il giudice d'appello ha peraltro valutato in maniera del tutto identica, sotto il profilo contenutistico, a quanto fatto dal primo giudice, apprezzandone, tuttavia diversamente il significato probatorio nel rapporto con le altre prove ed in particolare con riguardo alla deposizione testimoniale della persona offesa. Confrontando le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado, di fatti, si apprezza nitidamente come il G.u.p. - con scarna motivazione, contraddittoria rispetto alle dichiarazioni rese dalla persona offesa e riepilogate in sentenza, non essendosi neppure chiaramente sostenuta l'inattendibilità della stessa - sia giunto ad escludere la sussistenza del contestato reato di violenza sessuale continuata ritenendo che dalle dichiarazioni rese dalla Ve. emerge che la stessa ha volontariamente assecondato il marito nelle pratiche sessuali da questo volute non risulta che ella abbia mai opposto alcuna resistenza, se non nell'ultimo periodo della convivenza che è poi coinciso con la conoscenza e l'innamoramento del Bo. , con conseguente esclusione dell'elemento costitutivo della violenza, minaccia o coartazione psicologica. Per contro, dopo aver rinnovato la testimonianza della donna - ritenuta pienamente attendibile -la Corte d'appello stigmatizzando, peraltro, la contraddittoria affermazione del primo giudice quale da ultimo sopra riportata, che avrebbe dovuto indurre lo stesso a ritenere la sussistenza del reato quantomeno con riguardo agli atti sessuali imposti e subiti nell'ultimo periodo di convivenza , ha ritenuto che proprio sulla base della stessa dovesse ritenersi provata la condotta violenta e prevaricatrice con cui l'imputato, a lungo, costrinse la moglie a pratiche sessuali con estranei, di gruppo da lei non volute. Tali essendo la effettive rationes decidendi delle due, difformi, sentenze senza che il ricorrente contesti la mancanza di una motivazione rafforzata nella pronuncia di secondo grado , le dichiarazioni rese dai due testimoni più sopra indicati erano, come ritenuto dalla Corte d'appello, irrilevanti, per le dettagliate e logiche ragioni indicate a pag. 17 della sentenza impugnata, che il ricorrente in alcun modo censura. 4.2. Quanto alle dichiarazioni del medico di famiglia dott. Fa. e dell'assistente sociale dott.ssa Pe. - incaricata dal tribunale per i minorenni di redigere una relazione sulla famiglia delle parti - le stesse non sono state in alcun modo valorizzate per la decisione, né dal giudice di primo grado, né in grado d'appello, sicché non può neppure astrattamente porsi il problema della loro mancata rinnovazione con riguardo alla previsione di cui all'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. 4.3. Esclusa, dunque, la violazione della suddetta disposizione, deve altresì escludersi - a fortiori - la violazione dell'altra norma evocata in ricorso, vale a dire l'art. 603, comma 1, cod. proc. pen. Al proposito, è stato infatti ripetutamente affermato - e deve essere qui ribadito - che in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificatamente motivata, occorrendo dar conto dell'uso del potere discrezionale, derivante dalla acquisita consapevolezza della rilevanza dell'acquisizione probatoria, nella ipotesi di rigetto, viceversa, la decisione può essere sorretta anche da una motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in ordine alla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento Sez. 6, n. 5782/2007 del 18/12/2006, Gagliano, Rv. 236064 Sez. 6, n. 40496 del 21/05/2009, Messina e a., Rv. 245009 Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 247872 . Che le dichiarazioni dei testi Fr. e Bo. fossero irrilevanti, la sentenza impugnata lo argomenta diffusamente che non fosse necessaria l'audizione degli altri due testimoni indicati in ricorso - peraltro espressamente affermato nell'ordinanza istruttoria pronunciata nel giudizio d'appello - lo si ricava implicitamente dal provvedimento, nella parte in cui reputa assolutamente sufficienti per il giudizio gli elementi di prova utilizzati. Ed altrettanto vale per l'ulteriore richiesta istruttoria avanzata dalla difesa dell'imputato al fine di ottenere l'acquisizione dei messaggi sms che la persona offesa aveva mandato al Bo., onde dimostrare il contenuto volgare degli stessi e l'adesione delle donna agli incontri sessuali con il medesimo. Ed invero, la sentenza impugnata pag. 17 dà per provata tale circostanza e rende al proposito non illogica motivazione circa l'inidoneità di essa ad inficiare la deposizione della persona offesa. Gli argomenti sopra evidenziati rendono a maggior ragione insuscettibile di censura la sentenza impugnata se il parametro di riferimento per la rinnovazione istruttoria sia, anziché quello - evocato in ricorso - di cui al primo comma dell'art. 603 cod. proc. pen., quello dell'assoluta necessità ai fini della decisione di cui al successivo terzo comma, ciò che il Collegio reputa corretto trattandosi di un processo in primo grado celebrato con rito abbreviato. Ed invero, in tali casi, in grado di appello all'imputato è consentito unicamente di sollecitare il giudice del gravame all'adozione dei poteri officiosi di integrazione probatoria riconosciuti dall'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., nel giudizio abbreviato d'appello, le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice ex officio nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado Sez. 2, sent. n. 17103 del 24/03/2017, Rv. 270069 . In tali casi, la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello può essere sindacata, in sede di legittimità, ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen., soltanto qualora sussistano, nell'apparato motivazionale posto a base della conclusiva decisione impugnata, lacune, manifeste illogicità o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, Giampà e aa., Rv. 271163 Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher e aa., Rv. 265323 Sez. 6, n. 1400, del 22/10/2014, PR., Rv. 261799 . 5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.