Ordinanza di mancata convalida dell’arresto: sussiste l’interesse del Pubblico Ministero

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso proposto dal Pubblico Ministero, appoggiato dal Procuratore Generale, annullando senza rinvio l’ordinanza di mancata convalida dell’arresto poiché risulta evidente la natura meramente formale di un eventuale giudizio rescissorio.

Così si esprime la Suprema Corte con la sentenza n. 23126/19, depositata il 24 maggio. La vicenda. Il Tribunale di Rimini non convalidava l’arresto dell’indagata, colta il flagranza del reato di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p., ritenendolo illegittimo poiché eseguito per il diverso reato di oltraggio a pubblico ufficiale per il quale non è consentito l’arresto , considerando che la condotta violenta tenuta in seguito presso la Questura, nonostante integrasse il reato di resistenza, costituiva un fatto successivo, irrilevante ai fini della convalida. Avverso il suddetto provvedimento, propone ricorso per cassazione il P.M., denunciando un travisamento dei fatti da parte del giudice, dato che l’arresto era stato eseguito solo dopo l’accompagnamento in Questura, previsto dall’art. 349 c.p.p. ai fini dell’identificazione. A tali ragioni aderisce anche il Procuratore Generale presso la Suprema Corte, il quale chiede l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata a causa dell’inutilità di un eventuale giudizio rescissorio. L’interesse del Pubblico Ministero I Giudici ermellini dichiarano il ricorso fondato, premettendo che, in base alla costante giurisprudenza di legittimità, l’interesse per il ricorso in Cassazione da parte del Pubblico Ministero contro l’ordinanza di mancata convalida dell’arresto esiste sotto diversi profili, tra cui quello relativo all’interesse a vedere riconosciuta la correttezza dell’operato della polizia giudiziaria che ha eseguito l’arresto con un intervento che l’ufficio del P.M. ha condiviso e fatto proprio, non disponendone l’immediata liberazione . Ciò premesso, la Corte ravvisa non solo il palese travisamento dei fatti da parte del Giudice, il quale ha ritenuto come arresto illegittimo il semplice accompagnamento in Questura a fini identificativi, ma anche il vizio della carenza di motivazione del provvedimento emesso, non avendo il Giudice fornito alcuna spiegazione per giustificare la diversa ricostruzione dei fatti da lui operata, contrastante con quella oggetto del verbale di arresto. Per questi motivi, in ossequio al principio in base al quale l’annullamento dell’impugnata decisione va disposto senza rinvio in presenza di una situazione dove appare superfluo lo svolgimento di un giudizio rescissorio in cui il Giudice dovrebbe limitarsi a confermare formalmente il corretto operato della polizia giudiziaria, la Suprema Corte annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 aprile – 24 maggio 2019, n. 23126 Presidente Paoloni – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Rimini non ha convalidato l’arresto di C.R. eseguito in data 15/08/2017 in flagranza del reato di resistenza a pubblico ufficiale di cui all’art. 337 c.p., ritenendo che l’arresto fosse stato eseguito illegittimamente per il diverso reato di oltraggio a pubblico ufficiale, per il quale non è consentito, e considerato che la condotta violenta, tenuta successivamente all’arresto presso la Questura, sebbene integrante il reato di resistenza, costituiva un post factum irrilevante ai fini della convalida dell’arresto. Più precisamente, il Tribunale ha dato atto che dal verbale di arresto emergeva che la C. si era opposta alla sua identificazione sferrando un calcio ed una testata nei confronti degli agenti operanti quando però la stessa già si trovava all’interno della camera di sicurezza della Questura, pertanto, ritenendo che tale condotta fosse successiva all’esecuzione dell’arresto e che quindi non potesse costituirne il legittimo presupposto, e, rilevando altresì che prima del suo arresto la stessa non aveva opposto alcuna reazione violenta, ma si era limitata ad oltraggiare gli agenti con frasi ingiuriose, non disponeva la convalida ordinando la restituzione degli atti al pubblico ministero, essendo il delitto di oltraggio a p.u. escluso dal novero dei reati per i quali è consentito l’arresto in flagranza. 2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il pubblico ministero, deducendo il vizio di violazione di legge e il vizio di motivazione apparente, chiedendone l’annullamento, sul rilievo che il giudice avrebbe travisato i fatti, poiché l’arresto era stato eseguito dopo l’accompagnamento in Questura, disposto ex art. 349 c.p.p., legittimamente prima del suo arresto ai fini dell’identificazione. Alle ragioni del ricorso ha aderito anche il Procuratore Generale della Corte di cassazione che nella sua memoria scritta, ha richiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, evidenziando la superfluità di un giudizio rescissorio che avrebbe solo una valenza formale, trattandosi di un procedimento che ha già esaurito i suoi effetti, residuando solo la verifica della legittimità dell’operato degli agenti che hanno proceduto all’arresto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. Va premesso che, secondo la constante giurisprudenza di legittimità, l’interesse del pubblico ministero per il ricorso in cassazione avverso l’ordinanza di mancata convalida dell’arresto sussiste sotto plurimi aspetti, tra cui quello evitare che, in sede di fungibilità della detenzione art. 657 c.p.p. , l’indagato possa costituirsi, per eventuali reati in precedenza commessi, un titolo per fruire di una detrazione di pena derivante da una privazione della libertà personale senza titolo, oltre all’interesse a rimuovere le condizioni per una potenziale domanda di riparazione per ingiusta detenzione da parte dell’indagato ed all’interesse a vedere riconosciuta la correttezza dell’operato della polizia giudiziaria che ha eseguito l’arresto con un intervento che l’ufficio del p.m. ha condiviso e fatto proprio, non disponendone l’immediata liberazione. 2. Ciò premesso, risulta palese il travisamento operato dal giudice che ha qualificato come arresto illegittimo, l’accompagnamento in questura disposto ai fini dell’identificazione, senza evidenziare neppure profili di arbitrarietà nell’esercizio del relativo potere regolato e previsto dall’art. 349 c.p.p., così che neppure potesse ravvisarsi in ipotesi l’esimente della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale, di cui all’art. 393 bis c.p., per la condotta tenuta dagli agenti operanti, ed escludere la legittimità del successivo arresto eseguito a causa della reazione del privato ad un atto arbitrario del pubblico ufficiale. Il P.M. ricorrente ha richiamato il verbale di arresto del 15/08/17, da cui si evince che a fronte delle minacce verbali e fisiche, la C. veniva accompagnata in Questura per l’identificazione e che una volta entrati nell’ufficio, la predetta reagiva sferrando un calcio ed una testata che colpiva uno degli agenti. Il giudice fa, invece, riferimento ad una reazione violenta che si sarebbe svolta all’interno della camera di sicurezza, il cui impiego presuppone effettivamente un provvedimento restrittivo già in esecuzione, non potendo essere utilizzata per trattenere la persona per il tempo massimo di 12 ore necessario al disbrigo della procedura di identificazione, perché l’art. 349 c.p.p. testualmente prevede solo il trattenimento in ufficio . Ma è un dato conoscitivo che il giudice desume unicamente dall’interrogatorio reso in fase di convalida dalla arrestata come dalla predetta allegato nell’interrogatorio reso in fase di convalida , senza fornire una adeguata motivazione della superiore credibilità dell’arrestata rispetto al diverso contenuto del verbale, e quindi della implicita ravvisata inattendibilità degli agenti che lo hanno redatto. Pertanto, l’ordinanza impugnata appare viziata per motivazione carente, non essendo stata fornita una adeguata e coerente spiegazione della diversa ricostruzione delle modalità dell’arresto recepita dal giudice in conformità alla versione resa dall’arrestata, in contrasto a quella emergente dal verbale di arresto, senza evidenziare elementi di contraddizione nel contenuto degli atti a firma degli agenti operanti, o altri indici di inattendibilità degli stessi. 3. In adesione all’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità ex multis, Sez. 2, n. 21389 del 11/03/2015, Morelli, Rv. 264026 , l’annullamento va disposto senza rinvio, trattandosi di situazione in cui appare superfluo lo svolgimento di un giudizio di rinvio con riferimento ad una fase oramai esauritasi, nella quale il giudice di merito dovrebbe limitarsi a statuire formalmente la correttezza dell’operato della polizia giudiziaria e, perciò, l’esistenza dei presupposti che avrebbero giustificato la relativa convalida, già riconosciuti con la presente decisione. P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata perché l’arresto di C.R. è stato legittimamente eseguito.