In caso di confisca il terzo creditore in buona fede deve dimostrare la propria diligenza anche sotto l’aspetto colposo

Per ottenere il riconoscimento del proprio diritto correlato ad un bene confiscato in via definitiva, il soggetto terzo deve allegare elementi idonei a rappresentare non solo la sua estraneità all’illecito pregresso, ma anche l’affidamento incolpevole inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di diligenza teso ad escludere rimproverabilità anche di natura colposa.

I Giudici della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23115/2019, depositata il 24 maggio u.s., tornano ad occuparsi di misure di prevenzione reali, questa volta con particolare attenzione al profilo della condizione di buona fede del terzo creditore. La quaestio. Con ordinanza emessa in data 18 giugno 2018, il Tribunale di Roma – Sezione Specializzata Misure di Prevenzione – respingeva la domanda introdotta da Banca Popolare di Puglia e Basilicata volta ad ottenere l’ammissione al pagamento di un credito ipotecario per oltre 1 milione di euro relativo ad un bene immobile oggetto di confisca definitiva. In particolare, era accaduto che dopo la stipula del mutuo ipotecario da parte di una società – con conferimento di fidejussione personale da parte dell’amministratore – veniva posto in essere un sequestro di prevenzione sebbene anticipato da un sequestro preventivo penale. La Banca istante aveva, pertanto, instaurato l’azione civilistica per il recupero del credito nel novembre 2012 a fronte del provvedimento di confisca emesso il 3 marzo 2012. Il rigetto dell’istanza di ammissione al pagamento del credito ipotecario opposto dal Tribunale di Roma si fonda sul sospetto di collusione tra l’amministratore della società e alcuni funzionari dell’istituto bancario. Secondo il Decidente, vi sarebbero profili di alta anomalia nell’istruttoria creditizia della pratica di mutuo documentazione incompleta dei redditi dell’amministratore, mancata acquisizione del titolo di compravendita dell’immobile, ecc. , idonei a sostenere, quantomeno, un giudizio colposo di responsabilità in capo alla Banca. Avverso tale ordinanza propone ricorso per Cassazione l’ente bancario, articolando diversi motivi di censura, tra i quali l’insufficienza motivazionale del provvedimento con riguardo alla dimostrata condizione soggettiva di buona fede del creditore. Spetta sempre al creditore l’onere probatorio delle condizioni di ammissione al passivo del proprio credito. Gli Ermellini della Prima Sezione accolgono le doglianze proposte con l’atto di gravame. Più segnatamente, nella pronuncia in commento, si parte dal presupposto che spetta sempre al creditore l’onere probatorio delle condizioni di ammissione al passivo del proprio credito. Siffatto onere comprende anche la capacità di fugare ogni dubbio circa il rapporto di strumentalità tra il credito concesso e l’operazione illecita posta in essere dal soggetto socialmente pericoloso. In tale difficoltosa prospettiva, il creditore ha il preciso onere di confrontarsi con le risultanze della procedura di prevenzione che ha dato luogo alla confisca, allo stesso nota in virtù dell’avvenuta estinzione del diritto di credito. Nel caso concreto, il Tribunale ha posto a fondamento del proprio diniego il giudizio di pericolosità dell’amministratore e la oggettiva strumentalità dell’operazione finanziaria volta a realizzare un reimpiego di capitali di provenienza illecita. Tuttavia, nulla è stato argomentato circa la condizione soggettiva di buona fede del creditore. Invero, secondo la giurisprudenza ormai consolidata, il terzo estraneo alla condotta illecita non può veder leso il proprio diritto vantato sulla res. Dunque, secondo i principi già enucleati da tempo in subiecta materia, per ottenere il riconoscimento del proprio diritto correlato ad un bene confiscato in via definitiva, il soggetto terzo deve allegare elementi idonei a rappresentare non solo la sua estraneità all’illecito pregresso, ma anche l’affidamento incolpevole inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di diligenza teso ad escludere rimproverabilità anche di natura colposa. Sulla scorta di siffatti rilievi, la Corte di Cassazione annulla l’ordinanza impugnata e rinvia gli atti per nuovo esame al Tribunale di Roma.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 febbraio – 24 maggio 2019, n. 23115 Presidente Mazzei – Relatore Magi In fatto e in diritto 1. Con ordinanza emessa in data 18 giugno 2018 il Tribunale di Roma - Sezione Specializzata Misure di Prevenzione - ha respinto la domanda introdotta da Banca Popolare di Puglia e Basilicata S.C.P.A., tesa ad ottenere l’ammissione al pagamento di un credito ipotecario per Euro 1.388.352,78 relativo a bene immobile oggetto di confisca definitiva. 1.1 In sintesi, i dati di interesse indicati nella decisione sono i seguenti a in data 31 maggio 2010 la Banca istante ha stipulato il contratto di mutuo con la società Le Due Torri srl, il cui legale rappresentante era M.F. , con iscrizione di ipoteca sull’immobile sito in omissis , di proprietà della società medesima b la società Le Due Torri era stata iscritta nel registro delle imprese il 2 novembre del 2009 c in sede di erogazione del mutuo era stata sottoscritta fidejuissione personale dal M. , i cui redditi erano pari a circa 130mila Euro netti per anno d il sequestro di prevenzione è intervenuto nel mese di ottobre dell’anno 2011, mentre già nel dicembre del 2010 i beni del M. erano stati oggetto di un sequestro preventivo penale e in data 30 novembre 2012 la Banca istante si era attivata per il recupero, in sede civile, del proprio credito f il decreto di confisca è stato emesso il 3 marzo del 2012. 1.2 Nel valutare la ricorrenza o meno dei presupposti di legge per la tutela del credito, il Tribunale rileva taluni elementi definibili in termini di indizi di collusione tra il M. e i funzionari dell’ente bancario. In particolare viene osservato che le dichiarazioni dei redditi prodotte dal M. erano incomplete e relative solo agli ultimi due anni antecedenti alla erogazione che i medesimi funzionari in epoca posteriore avevano effettuato una ulteriore operazione di finanziamento nei confronti del M. definita anomala che stranamente non venne acquisita copia del contratto di acquisto dell’immobile che la valutazione del consulente di parte relativa al valore dell’immobile offerto in garanzia era corrispondente a quella del perito della banca che in epoca successiva il mutuo era stato concesso anche alla società venditrice. Ciò porta a ritenere sussistente un profilo - quantomeno - colposo in capo all’ente bancario, posto che emergevano indicatori di anomalia di questa e di altre operazioni similari poste in essere dal M. , soggetto poi risultato in contatto - per quanto emerso nella procedura di prevenzione - con trafficanti di sostanza stupefacente appartenenti alla ‘ndrangheta. Si ritiene ulteriore indicatore negativo la mancata escussione del fidejussore M. nonostante la morosità fosse emersa prima del sequestro penale. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il terzo creditore Banca Popolare di Puglia e Basilicata S.C.P.A., articolando distinti motivi. 2.1 Al primo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al profilo della accertata strumentalità del credito rispetto alla prosecuzione della condotta illecita. Si afferma che tale presupposto è stato ritenuto coperto da presunzione assoluta, senza alcuna argomentazione concreta, in violazione degli orientamenti interpretativi di questa Corte di legittimità. Si contesta, altresì la complessiva operazione ricostruttiva, posto che gli accadimenti posteriori non potrebbero influire sulla verifica della correttezza della prima istruttoria posta in essere dall’ente creditizio. In particolare, si rappresenta l’errore percettivo circa una pretesa duplicazione del contratto di mutuo, posto che si tratta di un dato smentito dagli atti e dalla produzione documentale. In realtà, l’atto di finanziamento è stato realizzato il 31 maggio del 2010 e solo rettificato - per errore materiale - il 23 luglio del 2010. L’operazione oggetto del finanziamento non risulta, peraltro, similare ad altre operazioni anomale, come ritenuto dal Tribunale. Tutto ciò che è emerso in epoca posteriore illegittimamente è stato - si afferma utilizzato dal Tribunale, posto che la Banca non poteva conoscere, all’epoca, i collegamenti del M. con esponenti della criminalità calabrese. 2.2 Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla verifica della buona fede. Si evidenzia come tale aspetto deve essere oggetto di vautazione in riferimento al momento della pattuizione. Da ciò la avvertita necessità di verifica della correttezza della istruttoria preliminare posta in essere in occasione della erogazione del finanziamento. E su tale aspetto si contesta la logicità del percorso argomentativo seguito dal Tribunale. In riferimento alla mancata escussione del M. si fornisce prova contraria in riferimento alla morosità si rappresenta che la stessa è venuta in essere poco prima del sequestro penale. Si ribadisce che nel maggio del 2010 - momento di erogazione del mutuo - alcun indizio a carico del M. era emerso o conoscibile. Inoltre, si evidenzia che a il contratto di compravendita era stato acquisito e viene allegato b non può ritenersi indice di anomalia la corrispondenza tra la valutazione del consulente di parte e quella del perito della banca, essendo entrambe corrispondenti alla valutazione di mercato le restanti acquisizioni operate dalla Banca - riportate in allegato-dimostravano la correttezza commerciale della operazione, essendo il canone di locazione corrisposto all’epoca alla società Le Due Torri ampiamente sufficiente a sostenere il pagamento delle rate di mutuo. 3. Il ricorso è fondato, per le ragioni che seguono. 3.1 Quanto al primo motivo, è fondata la doglianza relativa alla scelta degli indicatori tesi a sostenere le conclusioni cui il Tribunale perviene in termini di anomalia dell’operazione creditizia. Va qui ribadito che - in via generale - la procedura che la parte privata va ad instaurare per ottenere il riconoscimento della opponibilità del credito alla confisca è di natura essenzialmente civilistica, pur inserendosi in un contesto che a monte ha dato luogo alla applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale. Da ciò deriva che la parte istante ha un onere dimostrativo della fondatezza della sua pretesa, come ribadito da questa Corte in numerose e recenti decisioni. Il legislatore, in virtù della accertata nel procedimento che ha dato luogo alla confisca pericolosità soggettiva del soggetto cui è riferibile il bene confiscato, realizza infatti una presunzione relativa di strumentalità del credito ricevuto da tale soggetto, credito che lì dove abbia consentito come nel caso in esame, l’acquisto di un immobile ha reso possibile - di fatto - una operazione di tendenziale reimmissione nel circuito economico attraverso il pagamento del mutuo di capitali di provenienza illecita con ciò assicurando il frutto di tale attività o comunque il rempiego di detti capitali, caratteri evidenziati dal legislatore nel D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52 . Si tratta di una conseguenza legale del procedimento che ha dato luogo alla confisca come del resto si è ritenuto in costanza delle norme previgenti ed in virtù della richiamata elaborazione giurisprudenziale sul tema, di recente ribadita da Sez. Un. Civili n. 10532 del 7.5.2013, che conferma la lettura della nuova norma nel senso di permanenza dell’onere probatorio in capo al creditore delle condizioni per l’ammissione al passivo del suo credito e determina ex lege il trasferimento sul creditore di un onere dimostrativo, teso ad invertire la presunzione di cui sopra, che verte o sulla dimostrazione di assenza di tale condizione di strumentalità dimostrazione resa obiettivamente difficile dall’intervenuto accertamento di pericolosità soggettiva del debitore, pur se possono rilevare i tempi della contrattazione rispetto alla insorgenza di tale condizione o sulla condizione soggettiva di ignoranza scusabile di tale nesso. Ciò posto, nella selezione e articolazione dei dati conoscitivi da porre a sostegno della propria pretesa, la parte privata ha il preciso onere di confrontarsi con le risultanze della procedura di prevenzione che ha dato luogo alla confisca, a lei nota proprio in virtù della avvenuta estinzione del diritto di credito. 3.2 Nel caso in esame, pur con motivazione sintetica, il Tribunale ha richiamato il giudizio di pericolosità del M. e la oggettiva strumentalità della operazione finanziaria a realizzare - di fatto - una forma di reimpiego di capitali di provenienza illecita. Ciò rende immune da vizi, limitatatamente al profilo della oggettiva strumentalità, il provvedimento di diniego della tutela del credito. Tuttavia, come si è anticipato, la parte motiva del provvedimento impugnato risulta carente sul punto della esclusione della condizione soggettiva di buona fede del creditore. 3.3 Va compiuta, sul tema, una breve premessa circa il rapporto esistente tra la formalizzazione normativa dei criteri di riconoscimento giuridico della tutelabilità del credito in ipotesi di confisca di beni già oggetto di ipoteca volontaria D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 52 e gli orientamenti giurisprudenziali maturati in costanza della L. n. 575 del 1965 e successive modificazioni . Sul punto, va notato che sull’argomento vi è stata - nel corso del tempo - ampia stratificazione giurisprudenziale, stante la necessità di contemperare due posizioni teoriche tra loro apparentemente inconciliabili da un lato la natura della confisca speciale prevista dalla normativa antimafia ritenuta, in prevalenza, come modo di acquisto della proprietà a titolo originario in capo allo Stato dall’altro la tutela del diritto di credito assistito da garanzia reale sulla res confiscata, con sacrificio della condizione di un ‘terzò formalmente estraneo alla attività illecita. L’evoluzione giurisprudenziale ha portato, nel corso del tempo, a ritenere che la devoluzione del bene alla mano pubblica non comporta di per sé la totale cancellazione della storia del bene medesimo e non comporta la automatica estinzione dei diritti dei terzi gravanti sull’oggetto, a condizione che il terzo, pur se creditore garantito da ipoteca, dimostri in concreto la sua posizione di buona fede e di affidamento incolpevole nei momenti essenziali della intervenuta contrattazione civilistica. 3.4 Sin dalla nota decisione Sez. U. n. 9 del 28.4.1999 ric. Bacherotti, si è affermato infatti che il sacrificio dei diritti vantati da terzi su res oggetto di confisca non può essere ritenuto conforme ai principi generali dell’ordinamento lì dove il terzo sia da ritenersi estraneo alla condotta illecita altrui l’orientamento è ribadito, tra le molte, da Sez. I n. 32648 del 16.6.2009, rv 244816, Sez. I n. 34039 del 27.2.2014, rv 261192 . Si è altresì precisato che l’essere la confisca un modo autoritativo di acquisto del diritto di proprietà non comporta che il trasferimento stesso possa avere un contenuto diverso e più ampio di quello che faceva capo al precedente titolare del bene, lì dove insistano diritti - non estinti - di terzi estranei. Ciò che rileva è pertanto l’attenta qualificazione della particolare condizione fattuale e giuridica del terzo che deve connotarsi - per evitare di ricadere nella condizione di soggetto colpevolmente avvantaggiato dall’altrui azione illecita - in termini di buona fede, intesa nella non conoscibilità - con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta - del rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dall’attività illecita commessa dal soggetto poi espropriato dei beni a seguito della procedura di prevenzione. Il Collegio condivide - in proposito - l’orientamento espresso - tra le molte - da Sez. I, 29.4.2011, n. 30326, circa l’identificazione delle condizioni che portano al riconoscimento del diritto del terzo estraneo all’illecito , nel senso che va di certo esclusa una accezione della buona fede che, facendo leva sulla necessità di un atteggiamento doloso del terzo, finisca per attribuire alla relativa nozione un ambito estremamente restrittivo, al punto da configurare la posizione soggettiva del detto terzo come necessaria adesione consapevole e volontaria alla altrui attività illecita. Per rendersi conto della insostenibilità di una simile tesi basta considerare che rappresenta un principio fondamentale dell’ordinamento, che trascende la ripartizione tra diritto civile e diritto penale, quello per cui la nozione di colpevolezza o di volontà colpevole abbraccia sia il dolo che la colpa e che, conseguentemente, un comportamento non può classificarsi come incolpevole non soltanto quando esso sia qualificato dal dolo vale a dire, dalla consapevolezza e dalla volontà della condotta e dell’evento , ma anche quando tale consapevolezza e tale volontà siano mancate in dipendenza di un atteggiamento colposo dovuto ad imprudenza, negligenza ed imperizia sicché non può parlarsi di comportamento incolpevole qualora il fatto, pur non essendo stato conosciuto, sia tuttavia conoscibile con l’uso della ordinaria diligenza e prudenza . In buona sostanza, deve ritenersi esistente un nesso di alternatività e di reciproca esclusione tra buona fede e affidamento incolpevole, da un canto, e addebitabilità della mancata conoscenza dovuta a colpa, dall’altro, di guisa che l’esistenza dell’un requisito deve reputarsi incompatibile con l’altro con l’ulteriore conseguenza che non può certamente ipotizzarsi una condizione di buona fede e di affidamento incolpevole allorquando un dato fatto illecito non sia stato conosciuto ma risultasse pur sempre conoscibile , se non avesse spiegato incidenza sulla rappresentazione del reale uno stato soggettivo addebitabile a condotta colposa. 3.5 In altre parole, per ottenere il riconoscimento del suo diritto correlato ad un bene confiscato in via definitiva, è da ritenersi che il soggetto terzo debba allegare elementi idonei a rappresentare non solo la sua estraneità all’illecito pregresso intesa come assenza di accordi sottostanti che svelino la consapevolezza dell’attività illecita realizzata all’epoca dal contraente poi sottoposto ad ablazione ma anche l’affidamento incolpevole inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di diligenza - da rapportarsi al caso in esame - teso ad escludere rimproverabilità di tipo colposo. Tale assetto risulta sostanzialmente recepito nella articolata disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 159 del 2011, ove si è formalizzato un vero e proprio sub-procedimento art. 52 e ss. D.Lgs. n. 159 teso a regolamentare i criteri di parziale inopponibilità della confisca ai terzi creditori di buona fede, a determinare le condizioni di accesso al riconoscimento di detti crediti, con soddisfazione concessa nei limiti del 70% del valore dei beni sequestrati o confiscati, a tutelare la par condicio creditorum art. 57 e ss. , ad estinguere il contenzioso civilistico eventualmente in atto con affidamento esclusivo al giudice della prevenzione del compito di verificare la posizione creditoria sottostante art. 55 D.Lgs. n. 159 , solo per segnalarne alcuni punti qualificanti. Si tratta di una disciplina particolarmente articolata, mossa dalla esigenza primaria di qualificare in diritto le modalità di acquisto al patrimonio dello Stato dei beni confiscati in via definitiva a titolo originario, come viene espresso nell’art. 45 del D.Lgs. n. 159 al contempo fornendo tutela ai creditori ante-sequestro di accertata buona fede siano essi assistiti o meno da diritti reali di garanzia e ciò allo scopo di ridurre le incertezze manifestatesi in passato sul tema e rendere omogenei e prevedibili nei loro esiti i contenziosi, di notevole impatto economico. L’opzione legislativa di fondo è del tutto chiara l’estinzione di diritto delle garanzie reali all’atto della confisca in tanto è possibile in quanto venga contestualmente fornita al titolare del diritto di credito una adeguata tutela delle sue ragioni. Si tratta di due facce della stessa medaglia, che portano a compimento la lunga elaborazione concettuale di dottrina e giurisprudenza sul tema. Non può dunque ritenersi che la cancellazione della ipoteca sia il reale tema della decisione, posto che la stessa avviene in ogni caso. Il punto è che lì dove vi sia riconoscimento della buona fede il rapporto di credito sottostante non si estingue e l’originario creditore mantiene il diritto al soddisfacimento della pretesa, nei limiti anzidetti. 3.6 Quanto alla descrizione del contenuto normativo del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52 può affermarsi che la formalizzazione dei criteri di riconoscibilità della buona fede del creditore al di là della costituzione del diritto reale di garanzia in epoca anteriore al sequestro, si richiede che il credito non sia strumentale all’attività illecita - o a quella che ne costituisce frutto o reimpiego, a meno che il creditore dimostri di aver ignorato in buona fede il nesso di strumentalità realizza una sostanziale continuità con l’elaborazione giurisprudenziale antecedente alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 159 del 2011, come si è detto espressa da Sez. U. n. 9 del 28.4.1999 in poi, come è stato ben precisato da Sez. U. civili n. 10532 del 7.5.2013, rv 626570. Nessun rilievo - in particolare - può darsi al fatto che il presupposto della buona fede o l’affidamento incolpevole all’atto della conclusione del contratto sia stato sino alla emanazione del D.Lgs. n. 159 del 2011 ritenuto quale condizione di mantenimento del diritto di credito originario e della correlata garanzia reale, in una visione che, nel più avveduto approccio sul tema, tendeva a privilegiare la natura derivativa dell’acquisto del bene da parte dello Stato tra le altre, Sez. I civile n. 5988 del 3.7.1997, rv 505701 mentre in virtù di quanto previsto dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 45 l’acquisizione al patrimonio dello Stato del bene oggetto di confisca è oggi espressamente qualificata come a titolo originario, posto che è la stessa normativa sopravvenuta a recepire la necessità di contestuale tutela dei diritti dei terzi in buona fede assegnando agli stessi lo strumento risarcitorio - in tal caso - della ammissione del credito al pagamento nei confronti dell’erario. Il riconoscimento della estraneità del credito a nessi funzionali di strumentalità con l’attività illecita - cui è equiparata la prova della ignoranza in buona fede di tale strumentalità ex art. 52, comma 1, lett. b - altro non rappresenta, pertanto, che la formalizzazione normativa della pregressa elaborazione giurisprudenziale per cui la estraneità del terzo alla condotta illecita altrui segna il limite al potere statuale di soppressione delle ragioni creditorie, con contestuale riconoscimento di azionabilità della pretesa nei confronti dello Stato, qui con il limite di capienza di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 53. E la successiva norma di cui al comma 3 dell’art. 52 nella valutazione della buona fede il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale, nonché in caso di enti alle dimensioni degli stessi non fa altro che esporre le opportune linee guida in punto di modalità della verifica norma che orienta il giudice nell’esercizio dei poteri ricostruttivi riprendendo ancora una volta i contenuti del fondamentale insegnamento rappresentato da Sez. U. n. 9 del 28.4.1999, nel cui ambito si era ampiamente evidenziata la necessità di evitare approcci generalizzanti, affermandosi che al giudice spetta il compito di valutare l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta in riferimento a quanto allegato dall’istante. 3.7 Va dunque precisato che sul tema qui trattato ad essere oggetto di valutazione è necessariamente la ‘singolà operazione di finanziamento, da apprezzarsi nel suo complesso, in rapporto al corretto assolvimento - da parte dell’ente erogatore - di tutte le verifiche imposte dalla legge di settore e dalle buone prassi bancarie. Se da un lato, pertanto, è evidente che l’ente creditizio non è titolare di autonome prerogative investigative, dall’altro la dimostrazione che deve essere fornita dal creditore concerne il livello di verifica - realizzata sulla base dei dati disponibili all’epoca - delle caratteristiche soggettive del richiedente l’erogazione del mutuo, in punto di affidabilità e solvibilità derivante dallla capacità produttiva di reddito dichiarato. Non può, in ogni caso, la dimostrazione fondarsi sulla idoneità della garanzia reale e dunque sul valore dell’immobile posto che tale dato non assicura affatto che attraverso l’erogazione del mutuo non si realizzi un fenomeno di sostanziale ripulitura di capitali di provenienza illecita utilizzati al fine di sostenere le obbligazioni nascenti dal contratto. Tuttavia, tali principi - che pure il Tribunale ha rettamente inquadrato in astratto impongono, in caso di diniego della domanda, pure a fronte di una produzione documentale ampia e dettagliata come quella fornita dall’attuale ricorrente, la puntuale argomentazione della esistenza - già al momento della pattuizione - di precisi indicatori di anomalia dell’operazione di finanziamento, rappresentati da dati storici obiettivi che l’ente creditizio ha omesso di valutare o di cui non ha colto la effettiva valenza. Ora, la selezione di tali indicatori operata dal Tribunale nella decisione impugnata si fonda su circostanze di fatto in parte erroneamente percepite la mancata acquisizione dell’atto di vendita, la duplicazione del finanziamento, la mancata previa escussione personale del fidejussore ed in parte illogicamente valutate la corrispondenza dei valori tra consulenza e perizia non può di per sé rappresentare una anomalia , oltre a risentire - in maniera eccessiva e non compiutamente argomentata - di accadimenti posteriori alla conclusione del contratto di mutuo. Circa tale aspetto, va - in particolare - affermato che gli accadimenti posteriori ad es. l’esistenza di successive operazioni anomale intercorse tra le medesime parti possono essere ritenuti indicativi di una consapevolezza - in capo all’ente erogatore - dell’agire illecito del cliente dell’istituto bancario - sulla base delle ordinarie coordinate di metodo probatorio - già al momento della prima vicenda contrattuale, solo se ed in quanto si illustri in modo compiuto ed esaustivo l’inferenza probatoria, restando altrimenti incompiuto e scarsamente comprensibile dunque inidoneo il percorso di attribuzione al fatto posteriore del valore indicativo di tale antecedente consapevolezza. Le carenze argomentative sin qui riscontrate conducono, su tale aspetto, all’annullamento della decisione impugnata, con rinvio per nuovo esame, come da dispositivo. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.