La confisca di prevenzione non può fondarsi sui proventi da evasione fiscale

In materia di confisca a fini di prevenzione, non possono considerarsi i proventi da evasione fiscale nel giudizio di proporzione tra i beni posseduti dall’imputato e le attività economiche da lui svolte.

Questa la decisione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 22892/19, depositata il 23 maggio. La vicenda. La Corte d’Appello di Bari revocava il sequestro di un’autovettura e di un’abitazione ex art. 20 d.lgs. n. 159/2011, appartenenti a due imputati, a causa della mancanza del requisito della sproporzione tra il valore economico di tali beni ed i redditi leciti del nucleo famigliare. Avverso detto decreto, ricorre per cassazione il Procuratore Generale, deducendo, tra i motivi di impugnazione, la violazione dell’art. 24, comma 1, d.lgs. n. 159/2011, per avere la Corte d’Appello tenuto in considerazione anche i redditi fiscalmente non dichiarati ai fini della valutazione di proporzionalità. I proventi da evasione fiscale. La Corte di Cassazione dichiara fondato il motivo di ricorso, osservando che la giurisprudenza di legittimità è univoca nel ritenere che, in tema di confisca a fini preventivi, la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del sottoposto non può giustificarsi adducendo proventi frutto di evasione fiscale, poiché la confisca è finalizzata a sottrarre alla disponibilità del soggetto beni provenienti da attività illecite. Nel caso concreto, tale principio è stato disatteso, conseguendone l’annullamento del decreto e la restituzione degli atti alla Corte d’Appello per un nuovo esame, conformando la decisione al seguente principio di diritto in tema di confisca di prevenzione, la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non può essere da questi giustificata, anche soltanto in parte, adducendo proventi da evasione fiscale .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 – 23 maggio 2019, n. 22892 Presidente Petruzzellis – Relatore Rosati Ritenuto in fatto 1. Con decreto del 22 novembre 2018, la Corte di appello di Bari, riformando il decreto del Tribunale di Bari del 7 marzo precedente, ha revocato il sequestro di un’abitazione ed un’autovettura, disposto, a norma del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 20, nei confronti di C.F.D. , già sottoposto a misura di prevenzione personale, e di sua moglie P.M. . Ha ritenuto quella Corte che non risultasse dimostrato il requisito della sproporzione del valore economico di tali beni rispetto ai redditi leciti del nucleo familiare. 2. Ricorre per cassazione il Procuratore generale presso la stessa Corte territoriale, sulla base di due motivi di doglianza. 2.1. Con il primo, deduce la violazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, comma 2, in riferimento all’art. 125, c.p.p., denunciando come meramente apparente la motivazione di tale decreto, in ordine alla valenza dimostrativa degli elementi giustificativi addotti dagli interessati, e lamentando come la Corte abbia valutato soltanto la posizione reddituale della P. e non dell’intero suo nucleo familiare. 2.2. Con il secondo, lamenta la violazione del D.Lgs. n. 159 cit., art. 24, comma 1, per avere la Corte tenuto in considerazione, ai fini del giudizio di proporzionalità, anche redditi fiscalmente non dichiarati. 3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, condividendo le argomentazioni addotte a sostegno del ricorso, e perciò chiedendo l’annullamento con rinvio dell’impugnato decreto. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3, poiché proposto per motivi non consentiti. A norma del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, comma 3, richiamato dal successivo art. 27, il ricorso per cassazione avverso tal specie di provvedimenti è consentito solamente per violazione di legge. È esclusa, dunque, dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e , potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente. S’intende per motivazione apparente , però, quella affetta da vizi così radicali, da rendere l’apparato argomentativo, anche quando non del tutto mancante, comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice per tutte, Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 . Non è tale, invece, la sottovalutazione di argomenti, che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o, comunque, risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 . Un siffatto contenuto minimo ed indispensabile, invece, nel provvedimento impugnato si ravvisa. La stessa autorità giudiziaria ricorrente, infatti, pur evocando una violazione delle norma generale sull’obbligo di motivazione, denunciando quest’ultima come meramente apparente, propone tuttavia, in concreto, censure attinenti, semmai, alla valutazione degli elementi istruttori e, quindi, alla logicità della trama giustificativa della decisione. 2. È fondato, invece, il secondo motivo di ricorso. Già prima che la relativa previsione venisse trasfusa in legge, con la modifica del D.Lgs. n. 159 cit., art. 24, comma 1, introdotta con la L. 17 ottobre 2017, n. 161, la giurisprudenza di legittimità era ormai univoca nel ritenere che, in tema di confisca di prevenzione, la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non potesse essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, atteso che le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità dell’interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego Sez. U, 2015, Repaci, cit., Rv. 260244 . Nell’ipotesi in rassegna, invece, la Corte ha compiuto un’operazione di tal fatta, laddove, ai fini del giudizio di proporzionalità dei beni in sequestro rispetto ai redditi degli interessati, ha tenuto in considerazione redditi non dichiarati e quindi non emergenti da documentazione fiscale , assumendo che gli stessi fossero comunque cristallizzati in fatture , senza, peraltro, specificare alcunché in ordine nemmeno alla genuinità ed alla veridicità di tale documentazione. 3. L’impugnato decreto, pertanto, dev’essere annullato e gli atti debbono essere restituiti alla Corte emittente per un nuovo esame, al fine di verificare la proporzione tra il valore dei beni oggetto di sequestro e le capacità reddituali lecite del C.F. e dei suoi familiari, conformandosi al seguente principio di diritto in tema di confisca di prevenzione, la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non può essere da questi giustificata, anche soltanto in parte, adducendo proventi da evasione fiscale . P.Q.M. Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Bari.