Atti vandalici contro i vicini di casa: moglie e marito condannati per stalking

Inequivocabili i comportamenti dei due coniugi, registrati da un sistema di video sorveglianza. La coppia presa di mira si è ritrovata il campanello smontato, la cassetta della posta distrutta e l’immondizia nel cortile di casa. Tutte azioni idonee, secondo i Giudici, a provocare ansia e paura.

I pessimi rapporti di vicinato possono arrivare a costare addirittura una condanna. Soprattutto se si concretizzano in veri e propri danneggiamenti. Esemplare, a questo proposito, la vicenda che ha visto moglie e marito ritenuti colpevoli di stalking ai danni della coppia che vive nell’appartamento di fianco al loro Cassazione, sentenza n. 22843/19, sez. V Penale, depositata oggi . Vandalismi. Scenario dell’assurda vicenda è la zona di Cagliari. Lì due coniugi Antonio e Barbara, nomi di fantasia finiscono sotto processo per una serie di atti vandalici nei confronti dei loro vicini di casa, Enzo e Carla altri nomi di fantasia . L’accusa è grave stalking. E per i Giudici, prima in Tribunale e poi in Appello, il quadro probatorio a disposizione è sufficiente per arrivare alla condanna di Antonio e Barbara, puniti rispettivamente con due anni e sei mesi di reclusione e un anno e sei mesi di reclusione . A corredo, poi, anche la misura di sicurezza della libertà vigilata per tre anni e l’obbligo di versare un adeguato risarcimento del danno ad Enzo e Carla. Timore. Nessun dubbio, in sostanza, per i giudici di merito sul fatto che gli atti vandalici in discussione, consistiti anche nel distruggere la cassetta della posta , nello smontare il campanello dell’abitazione , nel lanciare l’immondizia nel cortile della coppia presa di mira, abbiano causato un perdurante stato di ansia e di paura, tale da ingenerare in Enzo e Carla un fondato timore per la propria incolumità e per quella dei figli . Questa visione è condivisa anche dai giudici della Cassazione, che difatti confermano in toto le condanne così come stabilite in appello. In sostanza, la sussistenza dello stato d’ansia nella coppia presa di mira è desumibile dalla valutazione dei comportamenti tenuti da Antonio e Barbara e ripresi dall’impianto di videosorveglianza . A questo proposito, viene ricordato che Antonio è stato visto smontare il campanello dell’abitazione di Enzo e Carla ed è stato ripreso mentre distruggeva con un calcio la loro cassetta della posta e lanciava immondizia nel loro cortile , mentre Barbara è stata ripresa mentre imbrattava con il fango il cancello dell’abitazione dei vicini.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 aprile 23 maggio 2019, n. 22843 Presidente Palla Relatore Romano Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza del 12 luglio 2016 del Tribunale di Cagliari che ha condannato Be. Or. e Al. De. per i delitti di atti persecutori di cui agli artt. 110 e 612-bis cod. pen. ai danni di Cristian So. ed Elisabetta Serra, esclusa la recidiva contestata all'Or. ed applicate alla De. le circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, quanto all'Or., e di anno uno e mesi sei di reclusione, quanto alla De., oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili. Gli imputati venivano anche sottoposti alla misura di sicurezza della libertà vigilata per almeno tre anni. Agli imputati si contesta di avere, mediante una serie di atti vandalici, minacce ed ingiurie, provocato ai coniugi So. e Serra un perdurante stato di ansia e di paura tale da ingenerare in essi un fondato timore per la propria incolumità e per quella dei figli. 2. Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione Be. Or. e Al. De., a mezzo dei loro comuni difensori, affidandosi a due motivi. 2.1. Con il primo articolato motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., violazione dell'art. 612-bis cod. pen. e, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c , cod. proc. pen., violazione di norme processuali ed in particolare dell'art. 546, comma 1, lett. c , cod. proc. pen. nonché, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quanto alla qualificazione giuridica del fatto o alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 612-bis cod. proc. pen Sostengono i ricorrenti che la Corte di appello ha affermato la loro penale responsabilità per condotte che le stesse persone offese avevano attribuito a soggetti diversi da loro. Gli imputati avevano ammesso di avere ripetutamente tagliato i cavi del telefono dell'utenza relativa all'abitazione delle persone offese perché la società telefonica aveva fatto passare i fili sulla proprietà degli stessi ricorrenti senza aver previamente ottenuto il loro consenso, ma tale condotta era volta esclusivamente a tutelare il loro diritto e poteva semmai integrare il diverso delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle cose. La Corte di appello, alla quale era stata chiesta la riqualificazione del reato con i motivi di gravame, aveva rigettato la richiesta affermando che le condotte vessatorie erano reiterate, senza tuttavia motivare in ordine alla sussistenza di tutti gli altri elementi costitutivi del delitto di atti persecutori. Era pur vero che l'Or. aveva sputato nei pressi del cancello dell'abitazione delle persone offese, ma anche tale condotta non era finalizzata alla causazione di uno degli eventi contemplati dall'art. 612-ò/s cod. pen., essendo dovuta esclusivamente ad un eccesso di salivazione di cui soffriva l'imputato. Il lancio di oggetti nel cortile delle persone offese o davanti alla loro abitazione era stato compiuto dai figli dei ricorrenti e non da questi ultimi. In relazione ad un bicchiere di plastica che, in data 5 giugno 2012, dopo essere stato riposto nel cestino dei rifiuti, aveva colpito in testa il So. mentre lo stesso si trovava nel suo giardino quando il camion della ditta De Vi., incaricata della nettezza urbana e datrice di lavoro dell'Or., si trovava davanti all'abitazione del So., era stato accertato che l'Or. non era in servizio in quella zona, ma la Corte di appello non aveva affatto preso in considerazione detta circostanza. Il Tribunale sul punto aveva evidenziato che nemmeno in querela le persone offese avevano esplicitamente attribuito tale condotta all'Or In realtà la querela, menzionando l'episodio, lo aveva implicitamente ma chiaramente attribuito all'Or L'accertamento della infondatezza dell'accusa doveva far ritenere non credibili i due accusatori. Le due persone offese avevano anche prodotto una fotografia che riproduceva l'Or. alla guida del camion della nettezza urbana ed avevano sostenuto che in data 5 giugno 2014 egli aveva invitato un suo collega a non ritirare la loro spazzatura, mentre quella di tutto il vicinato era stata prelevata, ma sul punto erano state smentite dal teste Al. Pu Quest'ultimo, oltre a negare che l'Or. avesse prestato servizio in zona in data 5 giugno 2012, aveva asserito che il 5 giugno 2014 non vi erano sacchetti di %& lt %& lt umido& gt & gt davanti alla abitazione dei coniugi So. e Serra. La deposizione del Pu. non era stata affatto valutata dal Tribunale e dalla Corte di appello, in violazione dell'art. 546 cod. proc. pen. che impone al giudice di indicare le ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie. Nella motivazione della sentenza di secondo grado si affermava che le videoriprese avevano consentito di riprendere innumerevoli condotte attribuibili con certezza agli imputati, ma non si specificava per ciascuna esse il nome del file, così come nella sentenza del Tribunale, che aveva costretto gli imputati a proporre appello con motivi altrettanto generici. Nella sentenza di secondo grado si sosteneva che l'Or. era stato ripreso in diverse occasioni intento a commettere danneggiamenti, mentre in realtà dalla visione dei filmati non emergeva alcuna condotta di danneggiamento. Peraltro i filmati erano così tanti e spesso assolutamente irrilevanti da non consentire un controllo accurato sul loro contenuto. Talune condotte, come quella di spazzare spostando i rifiuti verso l'abitazione delle due persone offese, erano del tutto prive di rilevanza. L'unica condotta ascrivibile agli imputati era la recisione dei cavi telefonici. inidonea ad integrare il delitto contestato. La sentenza di appello era motivata in modo estremamente generico e, laddove non avessero trascurato le prove a vantaggio dei ricorrenti e non avessero travisato le altre prove, i giudici di secondo grado sarebbero pervenuti ad un'assoluzione. In particolare, neppure si motivava in ordine all'evento del delitto di atti persecutori. Si afferma nella sentenza di appello che lo stato di ansia e di paura risulta dai certificati medici prodotti, ma i certificati non indicavano quale fosse la causa del predetto stato ed a che data questo risalisse. In realtà la Serra aveva iniziato a soffrire di una forte depressione a seguito del parto e tale patologia si era aggravata in conseguenza della morte del padre. La Corte di appello aveva affermato nella sentenza che il So. aveva avuto un malore a seguito di un sasso scagliatogli contro dall'Or. e che i medici del pronto soccorso gli avevano consigliato il ricovero perché a rischio di infarto, ma egli aveva rifiutato il consiglio tuttavia, non si comprendeva da quale atto emergesse che il So. avesse collegato il malore ad un sasso lanciatogli contro dall'Or. e comunque era inverosimile che il malore descritto dal So. - che lamentava da quattro giorni dolore retrosternale irradiato alla spalla, al braccio e fino al polso - potesse trovare giustificazione nel lancio di un sasso inoltre la scelta del So. di rifiutare il ricovero era giustificata dalla sua necessità di recarsi al lavoro e dalle precarie condizioni di salute della moglie e non dal timore che i ricorrenti potessero ulteriormente vessare la Serra. Il timore provato dai querelanti per l'incolumità dei figli trovava ragione esclusivamente nei loro disturbi psicologici e non certo nelle condotte ascritte ai ricorrenti, le quali, sulla base dell'imputazione loro contestata, erano dirette esclusivamente contro i beni e mai contro le persone. Neppure la Corte di appello motivava circa una modificazione delle abitudini di vita del Serra e del So., che a detta di questi aveva riguardato solo la possibilità di collocare la propria spazzatura all'esterno della loro abitazione già dalla sera prima del passaggio dell'automezzo della nettezza urbana. 2.2. Con il secondo motivo lamentano violazione dell'art. 133 cod. pen. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena, in relazione ai motivi di doglianza sottoposti alla Corte di appello. La pena appare chiaramente eccessiva, in violazione dei criteri fissati dall'art. 133 cod. pen., soprattutto in relazione all'imputata De Difatti la Corte di appello ha individuato nell'Or. l'autore della massima parte delle condotte contestate ai due imputati e tuttavia la pena irrogata alla De. è di poco inferiore a quella inflitta all'Or La difesa dell'imputata ha lamentato con l'atto di appello che alla De. sono state attribuite tutte le condotte oggetto di contestazione, pur in mancanza di prova della loro commissione ad opera della stessa o di un qualche profilo concorsuale, ma la Corte di appello ha del tutto ignorato la doglianza. Anche la condanna relativa al risarcimento del danno appare immotivata ed eccessiva. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono inammissibili. 2. Il primo motivo è inammissibile. 2.1. Nella parte in cui i ricorrenti lamentano il travisamento delle prove il motivo è inammissibile per genericità. In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 26505301 . Nel caso di specie il ricorrente non ha riprodotto integralmente nel ricorso o allegato a questo la trascrizione del verbale di udienza nella parte riportante la deposizione del teste Pu 2.2. Il motivo di ricorso è peraltro inammissibile nella parte in cui si lamenta difetto di motivazione o contraddittorietà o illogicità della motivazione. Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 25759501 . Nelle due sentenze si afferma che le persone offese hanno riferito di ripetuti atti vandalici commessi dagli odierni ricorrenti e che questi sono stati ripresi dall'impianto di videosorveglianza nell'atto di commettere tali danneggiamenti. In particolare e a puro titolo esemplificativo, l'Or. è stato visto smontare il campanello della abitazione dei querelanti ed è stato ripreso mentre distruggeva con un calcio la loro cassetta della posta o manometteva il contatore dell'elettricità o lanciava immondizia nel cortile delle persone offese la De. è stata ripresa mentre imbrattava con il fango il cancello dei querelanti. L'Or. e la De., nei loro ricorsi, non si confrontano con le ragioni poste dalla Corte di appello e dal Tribunale a fondamento della loro decisione. È inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c cod. proc. pen., all'inammissibilità Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997 - dep. 1998, Ahmetovic, Rv. 210157 Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 . Anche in relazione all'evento del reato, la motivazione appare del tutto logica ed adeguata ed è comunque rispettosa dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di atti persecutori, secondo la quale la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017, S, Rv. 26962101 in particolare, neppure, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P, Rv. 27208601 soprattutto, la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante Sez. 5, n. 24135 del 09/05/2012, G., Rv. 25376401 . Correttamente, quindi, i giudici del merito hanno desunto la sussistenza dello stato di ansia, oltre che dalle dichiarazioni dei due querelanti, anche dalla idoneità dei comportamenti ascritti agli odierni ricorrenti a cagionare l'evento del reato. Nel resto, le censure, nei termini prospettati dal ricorrente, attengono al merito, perché tendono, implicitamente, ad ottenere una inammissibile rivisitazione ed una differente interpretazione del materiale probatorio, già sottoposto al vaglio dei giudici di appello, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri. Tale richiesta non è consentita, in quanto nel giudizio di cassazione le censure poste a fondamento del ricorso non possono risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito o investire la ricostruzione della fattispecie concreta o, comunque, riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito. Va, al riguardo, ricordato, quanto ai limiti del controllo del giudice di legittimità sulla motivazione, che il controllo di logicità del giudizio di fatto non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità. La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, illogicità o contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile una evidente illogicità o contraddittorietà, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Nel caso di specie la sentenza del giudice di pace non presenta contraddizioni o illogicità evidenti ed in essa si evidenzia che quanto riferito dai querelanti ha trovato conferma nelle registrazioni dell'impianto di sorveglianza e nella documentazione in atti. 2.3. Manifestamente inammissibile è pure il motivo di ricorso nella parte in cui si lamenta violazione dell'art. 612-bis cod. pen. in quanto esso poggia su una ricostruzione del fatto diversa da quella operata dai giudici del merito. 3. Anche il secondo motivo è inammissibile. E' manifestamente infondato nella parte in cui si lamenta l'omessa considerazione della commissione da parte della De. di un numero di atti persecutori inferiore a quello dell'Or., poiché tale circostanza è stata presa in considerazione dal Tribunale, che in ragione di essa ha applicato all'imputata le circostanze attenuanti generiche, negate all'Or Nel resto il motivo di ricorso è estremamente generico. 4. All'inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3.000,00 per ciascuno di essi. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende, nonché in solido alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate in complessivi Euro 3.200,00 oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.