Droga e rapporti sessuali davanti alla figlia: madre snaturata e condannata

Evidenti le sofferenze fisiche e morali subite dalla ragazza a causa del regime di vita impostole dalla madre. Confermata la sanzione per la donna due anni e due mesi di reclusione. A inchiodarla le parole della figlia, che si è prima sfogata con l’ex marito della madre e poi ha raccontato tutto alle forze dell’ordine.

Madre snaturata ha percosso la figlia, ha fatto uso di sostanze stupefacenti davanti ai suoi occhi – sostanze che le ha anche proposto di consumare –, l’ha costretta infine ad assistere ai rapporti sessuali che lei aveva a casa con altri uomini. Evidenti le sofferenze fisiche e morali subite dalla ragazza, e che valgono una condanna a due anni e due mesi di reclusione per la madre, colpevole del reato di maltrattamenti in famiglia” Cassazione, sentenza n. 16855/19, sez. VI Penale, depositata oggi . Confidenze. Scenario della delicata vicenda è un paese in Abruzzo. A far emergere la triste vita domestica della ragazza è l’ex marito della madre. Lui la accoglie in casa, raccoglie le sue confidenze e segnala tutto alle forze dell’ordine. Passo successivo è il processo a carico della donna, sotto accusa per i maltrattamenti fisici e morali perpetrati ai danni della figlia. Quest’ultima, viene appurato, è stata ingiuriata, minacciata, percossa fatta oggetto di offerta di sostanza stupefacente, di cui la madre faceva ampio e frequente uso al cospetto della figlia , costretta ad assistere alla alterazione psico-fisica subita dalla donna. Per chiudere il cerchio, infine, viene anche accertato, grazie ai drammatici racconti fatti dalla ragazza, che ella ha anche dovuto assistere ripetutamente ai rapporti sessuali della madre con diversi uomini . Regime. Evidenti le sofferenze fisiche e morali subite dalla ragazza, osservano i giudici, che così, prima in Tribunale e poi in Appello, condannano la madre a due anni e due mesi di reclusione . Tale pronuncia è condivisa e fatta propria anche dalla Cassazione, che respinge il ricorso proposto dal legale della donna, ritenendo quest’ultima colpevole, senza alcun dubbio, del reato di maltrattamenti in famiglia . A inchiodare la donna è il regime di vita imposto alla figlia, costretta ad assumere droga e ad assistere ai rapporti sessuali avuti dalla madre con altri uomini tra le mura domestiche. Non trascurabile, poi, aggiungono i giudici, la condotta violenta della donna, condotta determinata dalla gelosia per i complimenti rivolti alla figlia dagli occasionali accompagnatori presenti a casa.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 febbraio – 17 aprile 2019, n. 16855 Presidente Fidelbo – Relatore Costantini Ritenuto in fatto 1. Ga. Ba. Ew., per mezzo del proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di L'Aquila che ha confermato la decisione dei Tribunale di Avezzano del 19 luglio 2016 - che aveva condannato la ricorrente alla pena anni due e mesi due di reclusione, ritenuto il delitto di cui al capo b di minacce, assorbito in quello di cui al capo a ex art. 572 cod. pen. ai danni della figlia minore. La ricorrente risponde dell'accusa di aver maltrattato la figlia minore che veniva ingiuriata, minacciata e percossa, fatta oggetto di offerta di sostanza stupefacente di cui la madre faceva ampio e frequente uso al cospetto della figlia che poteva assistere alla alterazione psico-fisica potendo la minore assistere ripetutamente ai rapporti sessuali della madre con diversi uomini , così infliggendo alla minore sofferenze fisiche e morali tali da rendere abitualmente dolorosa e intollerabile la convivenza, in Celano fino al 30 maggio 2010. 2. La ricorrente deduce i motivi di seguito indicati. 2.1. Violazione di legge in ordine all'omessa citazione della Ga. davanti al Tribunale di Avezzano nonché alla omessa notifica dell'avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. 2.2. Violazione degli artt. 423 e 516 con riferimento all'art. 178 cod. proc. pen. laddove la Corte d'appello ha affermato, errando, che la modifica in udienza della contestazione attraverso l'aggiunta del termine minacciandola era da ritenersi assorbita nell'esplicazione della condotta di maltrattamenti. 2.3. Violazione dell'art. 157 cod. pen. nella parte in cui non è stata dichiarata la prescrizione del reato di maltrattamenti anche in considerazione della non intervenuta rinuncia alla causa estintiva del reato ed in assenza di elementi da cui desumere che la condotta fosse proseguita sino al maggio del 2010. 2.4. Vizi di motivazione ed erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta responsabilità sulla base delle sole dichiarazioni della parte offesa, che non possono essere ritenute sufficiente, tenuto conto che la minore era solita consumare droghe insieme alla madre prima di andare in discoteca e che la stessa volesse semplicemente sottrarsi alle incombenze domestiche, circostanze che facevano emergere l'esistenza di un conflitto tra la figlia e la genitrice. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato e generico, rilevandosi anche motivi non consentiti ex art. art. 606, comma 3, cod. proc. pen. 2. Generico è il primo motivo per mezzo del quale la ricorrente deduce la omessa corretta citazione dell'imputato , senza esplicitare le ragioni in fatto o in diritto da sottoporre a verifica Sez. 3, n. 16851 del 02/03/2010, Cecco, Rv. 246980 . Deve comunque rilevarsi la regolarità della notifica della citazione all'udienza effettuata alla ricorrente presso la Casa Circondariale di Modena in data 7 novembre 2013, con conseguente dichiarazione di rinuncia a comparire del 10 gennaio del 2014. La contestuale ed egualmente generica censura in ordine all'omessa notifica dell'avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. non consente, inoltre, di comprendere se si deduca la nullità ex se della citazione a giudizio, ovvero se la stessa sia conseguenza dell'omessa citazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis cod. proc. pen., rilievo, quest'ultimo, non tempestivo. In tal senso, infatti, milita costante giurisprudenza di questa Corte a mente della quale la nullità del decreto che dispone il giudizio per omessa notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari è di natura relativa e, pertanto, deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all'art. 491 cod. proc. pen., subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti Sez. 5, n. 44825 del 14/05/2014, Restucci, Rv. 262104 . Anche in ordine a tale profilo deve osservarsi che alla prima udienza celebrata il 13 gennaio 2014, nonché in quella successiva del 1 luglio 2014, il difensore d'ufficio nominato ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen. non ebbe a formulare alcuna eccezione in ordine alla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis cod. proc. pen. 3. Manifestamente infondata oltre che generica, in quanto reiterativa di analoga deduzione formulata in sede di gravame a cui la Corte territoriale ha fornito pertinente risposta, risulta il secondo motivo di ricorso secondo cui la modifica all'udienza del 17 luglio 2016 del capo di imputazione avrebbe comportato la contestazione di un fatto diverso. Al riguardo la Corte di merito ha avuto modo di rilevare come la condotta minacciosa fosse già inclusa nell'imputazione di cui al capo b , che prevedeva la contestazione della reiterata grave minaccia da parte della ricorrente, ritenuta assorbita dal primo giudice nella fattispecie di maltrattamenti di cui al capo a di cui costituiva una semplice esplicitazione. Sotto tale profilo, risulta evidente che se il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce anche gravi Sez. 2, n. 15571 del 13/12/2012, dep. 2013, Di Blasi, Rv. 255780 Sez. 6, n. 13898 del 28/03/2012, S., Rv. 252585 , la condotta minacciosa costituisce una particolare modalità attraverso cui viene a realizzarsi la fattispecie di maltrattamento. A maggior ragione ciò è vero allorché, come nel caso di specie, le contestate minacce, originariamente previste in un'autonoma imputazione, siano finalizzate proprio al maltrattamento Sez. 1, n. 7043 del 09/11/2005, dep. 24/02/2006, Taheri, Rv. 234047 , evenienza chiaramente evincibile laddove era stata anche contestata l'aggravante della connessione teleologica ex art. 61, n. 2 cod. pen. 4. Generico e non consentito risulta il quarto motivo di ricorso a mezzo del quale il ricorrente contesta la ritenuta responsabilità sulla base delle dichiarazioni della parte offesa, figlia della ricorrente, la cui attendibilità non risulterebbe essere stata adeguatamente valutata. Identico motivo era stato posto in sede di gravame ed ha ricevuto soddisfacente risposta dalla Corte territoriale che ha ritenuto le dichiarazioni disinteressate, lineari e prive di aporie, ciò enunciando sulla base di un'accurata disamina delle stesse, ritenute attendibili e, quindi, sufficienti per inferirne la responsabilità. La motivazione della Corte territoriale risulta, quindi, fedele al consolidato principio di diritto a mente del quale le regole dettate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214 . La Corte di merito ha analizzato le dichiarazioni della minore valorizzando quanto dalla medesima riferito in ordine al regime di vita impostole dalla genitrice, che la costringeva ad assistere ai rapporti sessuali avuti con diversi uomini - anche contemporaneamente - ed ad assumere droga è stata anche apprezzata la condotta violenta determinata dalla gelosia della madre per i complimenti rivoltale dagli occasionali accompagnatori. Comportamenti, quelli descritti, che si erano protratti sino alla sera del 30 maggio del 2010, durante la quale era stata picchiata e minacciata con un coltello, trovando soccorso presso l'abitazione dell'ex marito della ricorrente che l'aveva soccorsa ed accompagnata presso le forze di polizia per la proposizione della denuncia. Dichiarazioni confermate, oltre che da altri soggetti, da quanto direttamente percepito dall'ex marito della ricorrente a cui la minore era legato, già affidatario del figlio avuto con Ga., che aveva subito analoga sorte in considerazione della condotta della donna che era solita sedare il minore con sonniferi, per poter uscire indisturbata la sera. Motivazione quella della Corte di merito che, in risposta all'identica deduzione formulata in sede di gravame, ha dato adeguatamente conto della ritenuta attendibilità assegnata alle dichiarazioni rese dalla figlia della ricorrente che, apprezzandosi, inoltre, la circostanza che costei, nonostante i prospettati maltrattamenti, non aveva manifestato alcuna acrimonia o intento di vendetta. 5. Manifestamente infondata risulta altresì la dedotta prescrizione sulla base di un solo enunciato differente momento consumativo del delitto. La data del 30 maggio del 2010, invero, coincidente proprio con l'ultimo episodio che ha dato spunto alla denuncia della minore evenienza che non sortisce, alla luce della rilevata inammissibilità del ricorso, alcun effetto neppure in questa sede. L'inammissibilità del ricorso per cassazione, infatti, preclude ogni possibilità, sia di far valere sia di rilevare d'ufficio, ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., l'estinzione del reato per prescrizione, maturata in data posteriore alla pronunzia della sentenza di appello Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164 . 6. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si stima adeguata, di Euro duemila in favore della cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall'art. 616, comma 1, cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.