Il difensore fiduciario che resti inerte per l’intero procedimento non può esercitare il proprio mandato in fase esecutiva…

La Cassazione torna ad esprimersi sull’esecuzione penale, intrattenendosi sulla distinzione esistente tra azione per la restituzione nel termine per impugnare e contestazione della validità del titolo. Lo fa, in relazione ad un atto introduttivo particolarmente articolato, che involge anche profili riguardanti la notificazione degli atti, sul presupposto della mancata conoscenza della condanna – formale e sostanziale – da parte dell’imputato, rimasto assente meglio contumace, ratione temporis al processo.

Al contempo, si impegna a chiarire in modo puntuale le condizioni per una valida successione nella difesa tra legale fiduciario e, in sua mancanza, designato dall’Ufficio procedente, quando il primo non abbia mai concretamente praticato il proprio mandato. Così con sentenza n. 15885/19, depositata l’11 aprile. Il caso. Il giudizio a quo nasce in Lombardia, in seguito ad un’inchiesta che traeva a giudizio il prevenuto per numerose ipotesi delittuose, tutte connesse al delitto di riduzione in schiavitù. Ad esito del dibattimento, la Corte di assise di Milano, nel 1997, lo condannava alla pena di anni sedici di reclusione, oltre alla multa. Nell’incidentale procedimento cautelare il reo veniva prima sottoposto alla massima restrizione, poi scarcerato per decorrenza dei termini e vincolato all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria misura della quale disattendeva le prescrizioni, con l’emissione di nuovo provvedimento custodiale, rimasto ineseguito a causa della sua irreperibilità con correlata dichiarazione di latitanza . Nel processo di cognizione, tuttavia, non era presentato nessun gravame e, pertanto, la prima decisione diveniva esecutiva. Il condannato presentava quindi istanza alla stessa Corte ambrosiana, quale giudice dell’esecuzione, lamentando l’invalidità della notifica dell’estratto contumaciale, con conseguente restituzione nel termine e immediata liberazione. Istanze che veniva nuovamente rigettata, reputando, per un verso, infondati i profili afferenti la validità del titolo esecutivo e, per l’altro, totalmente da confermare le ragioni di diniego delle due successive istanze di remissione in termini già proposte, con argomentazioni consimili. Ricorreva per Cassazione il condannato, proponendo cinque strutturate doglianze con due distinti motivi, violazione di legge e carenze motivazionali sulle lacune della notificazione dell’estratto contumaciale, recapitato a difensori che nessun ruolo avevano avuto nel processo in questione error in procedendo, circa la nullità del decreto di latitanza, che avrebbe potuto essere eccepita anche esclusivamente in sede esecutiva violazione di legge processuale, per la mancata notifica dell’estratto presso il domicilio eletto, rimasto immutato omessa motivazione circa l’effettiva conoscenza della condanna da parte dell’imputato, oggetto di specifiche garanzie, costituzionali e convenzionali, che sarebbero state pretermesse dall’operato dei giudici. La sentenza. La I Sezione – su parere conforme del Procuratore generale – dichiara inammissibile l’impugnazione e condanna il deducente al pagamento delle spese processuali, nonché della somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende. L’Estensore, pur in presenza di argomenti statuiti irrilevanti, fatica a contenere le dimensione dell’iter motivo, dovendo fornire un pur minimo inquadramento delle molteplici questioni dedotte, tutte coinvolgenti molteplici istituti. Riesce nell’intento, tuttavia privilegiando condivisibilmente l’esaustività, a scapito della sintesi e chiarendo sin dalla premessa come non si ravvisi alcuna carenza logica nella motivazione dell’ordinanza impugnata, restando quest’ultima immune, dunque, per limiti rituali, al sindacato di ultima istanza. Ci si concentrerà, dunque, unicamente sui restanti aspetti sottoposti allo scrutinio di legittimità. La sanatoria delle nullità e la restituzione nel termine. Ed invero, un primo assorbente profilo concerne il termine entro il quale sarebbe stato necessario far valere tanto l’invalidità del domicilio quanto il correlato vizio dell’estratto contumaciale. In proposito, non c’è alcun dubbio trattandosi di nullità da ritenersi, al più, a regime intermedio, il momento processuale utile per lamentarsene sarebbe stato – come correttamente evidenziato dallo stesso Procuratore generale – il periodo decorrente dalla notifica dell’ordine di esecuzione della condanna si cita, sul punto, Cass., Sez. I Pen., 4.4.2014, n. 19981, RV. 260538 termine ormai perento e del tutto trascurato dal prevenuto, che non se n’è preoccupato sino alla prima richiesta di restituzione nel termine, proposta quindici anni dopo. A nessuna remissione in termini, peraltro, avrebbe avuto diritto il ricorrente, stante il principio per il quale se il difensore si è determinato a non impugnare la sentenza, nemmeno per il secondo grado di merito [] ha esercitato in tal senso l’opzione, insindacabile in questa sede, afferente al suo ministero”. La successione nel mandato difensivo. Esito analogo ottiene la censura inerente la corretta individuazione dei difensori fiduciari, considerata priva di pregio. Più in dettaglio, la tesi per la quale non sarebbe mai stata espressamente revocata la prima nomina fiduciaria del difensore che si trova patrocinare il grado di ultima istanza, al quale erano subentrati numerosi altri legali nelle successive fasi, non si confronta adeguatamente con la circostanza che questo professionista non ha mai assunto, di fatto, la difesa e ha comunque lasciato definitivamente sguarnito [] il corrispondente munus defensionale”. Rimane perciò valida ed efficace la notificazione, sull’assunto che il giudice ha motivatamente ritenuto l’implicito abbandono della difesa per il mancato svolgimento di qualunque incombente a ciò correlato conformi tra le tante, in parte qua, Cass., Sez. I Pen., 19.12.2012, n. 4928, RV. 254606 e Cass., Sez. I Pen., 26.11.2008, n. 48161, RV. 242436 . Conclusioni. La pronuncia in commento è lineare nella spiegazione del ragionamento condotto e condivisibile nelle conclusioni. Sebbene interpreti disposizioni che devono essere connotati da un’impostazione massimamente garantista, riguardando la possibilità di esplicare un’effettiva difesa nelle varie fasi del procedimento, tiene in debito conto l’esigenza di evitare di legittimare tardivi interventi defensionali, che, diversamente opinando, potrebbero trovare diffusione, pregiudicando la certezza del diritto e, secondariamente, incidendo sul carico giudiziale .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 30 ottobre 2018 – 11 aprile 2019, n. 15885 Presidente Carcano – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, emesso in data 31 gennaio - 21 febbraio 2018, la Corte di assise di Milano, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza tesa alla declaratoria di inefficacia del titolo esecutivo costituito dalla sentenza emessa a carico di D.F. o F. dalla Corte di assise di Milano del 15 luglio 1997, non impugnata e dichiarata irrevocabile il 12 gennaio 1998, istanza con cui era stata dedotta l’invalidità della notificazione dell’estratto contumaciale, con conseguente rinnovazione della notifica, nuova decorrenza del termini per l’impugnazione e immediata liberazione del condannato. La Corte di assise - premesso che D. era stato condannato alla pena di anni sedici di reclusione, oltre alla multa, per vari reati tra cui quello di riduzione in schiavitù, dopo essere stato arrestato il 10 luglio 1996, successivamente scarcerato per decorrenza termini, sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, inosservato, con conseguente sua nuova sottoposizione alla misura custodiate, peraltro non eseguita per la sua irreperibilità, con conseguente emissione del decreto di latitanza - ha osservato che in precedenza il condannato aveva proposto due progressive istanze di restituzione nel termine per impugnare, la prima dichiarata inammissibile e la seconda rigettata e che con questa nuova istanza, invece, era contestata la validità del titolo esecutivo sotto cinque profili l’analisi dei cinque profili progressivamente svolta ha condotto il giudice dell’esecuzione a concludere per l’infondatezza dei medesimi. 2. Avverso il provvedimento è stato proposto ricorso nell’interesse di D. con cui è stato chiesto il suo annullamento mediante la formulazione di cinque motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamentano violazione della legge penale e mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’omesso rilievo della carenza della notificazione dell’estratto contumaciale al difensore di fiducia. In effetti, la nomina fiduciaria dell’Avv. Scaglia del 15 luglio 1996 non era stata revocata, nè espressamente e nemmeno implicitamente, essendo restato D. privo di difesa sin dall’udienza preliminare, irrilevante essendo la nomina degli avv. Ghilardoni e Kolakoska, che non avevano svolto attività difensiva a prescindere dalla procedura incidentale di riesame, sicché l’indicazione dei loro nominativi nel decreto dispositivo del giudizio era da ascriversi a un mero errore del cancelliere che non si era avveduto della precedente nomina dell’avv. Scaglia. La motivazione dell’ordinanza era carente e contraddittoria, perché non aveva specificato quale attività difensiva avessero effettivamente svolto gli avv. Ghilardoni e Kolakoska, desumendola dai soli avvisi di cancelleria. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 295 e 296 c.p.p. in ordine alla nullità del decreto di latitanza. Era necessario evidenziare che tale nullità, pur se non dedotta nel corso del giudizio, poteva essere eccepita in sede esecutiva al fine di evidenziare la nullità della notifica dell’estratto contumaciale. Viceversa il giudice dell’esecuzione si era limitato ad affermare che in sede di incidente di esecuzione non poteva dare rilievo a nullità verificate nel processo di cognizione che non fossero state recepite in quella sede. 2.3. Con il terzo motivo si evidenzia erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata notifica dell’estratto contumaciale nel domicilio eletto. D. aveva eletto domicilio presso lo studio dell’avv. Kolakoska e non l’aveva mai revocato il fatto che fosse stato dichiarato latitante non faceva venir meno tale domicilio eletto, sicché, contrariamente all’erroneo ragionamento sviluppato dalla Corte di assise, l’estratto contumaciale avrebbe dovuto essere notificato presso il domicilio eletto dell’imputato come risultante in atti. 2.4. Con il quarto motivo viene prospettata erronea applicazione della legge penale in relazione alla notifica dell’estratto contumaciale presso il difensore d’ufficio tale notificazione, effettuata in data 26 novembre 2017 , a mani di D.C. , non indicava nulla più, nemmeno quale mansione egli svolgesse, e la barratura sulla parte prestampata non lasciava intendere se era avvenuta per escludere le altre diciture, sicché mancava la prova certa della ricezione dell’atto da parte del difensore o di un suo addetto o del portiere e, in tal senso, non si riscontrava l’invio successivo della raccomandata della comunicazione della consegna a persona diversa al destinatario, per cui la conoscenza legale non poteva ritenersi perfezionata. 2.5. Con il quinto motivo si deducono violazione dell’art. 111 Cost., artt. 6 e 13 CEDU, 2 del Protocollo 7 CEDU nonché mancanza della motivazione sul punto della mancata conoscenza formale e sostanziale della condanna da parte dell’imputato. Le vicende processuali precedenti si erano concluse con la reiezione delle due istanze di restituzione nel termine, mentre l’incidente di esecuzione aveva lo scopo di verificare se fosse maturata la conoscenza legale del provvedimento che aveva definito il processo e tale conoscenza legale per le ragioni già spiegate non si era determinata nel caso in esame, sicché se fosse stata negata a D. la possibilità di una nuova valutazione nel merito si sarebbe concretizzata la violazione dell’art. 13 CEDU per l’evidente assenza di rimedi interni effettivi e azionabili. 3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso in quanto il condannato, con le precedenti iniziative processuali, aveva chiaramente dimostrato di aver prestato acquiescenza alla sentenza che ora contestava, dovendo, in ogni caso, segnalarsi che la Corte di assise aveva risposto puntualmente su ogni punto, ivi compreso il primo, in relazione al quale appariva del tutto illogico rivendicare la sussistenza del mandato con riferimento a professionista l’avv. Scaglia che non aveva espletato alcuna attività difensiva, in relazione a posizione per la quale solo dopo pochi giorni erano stati nominati gli avv. Ghilardoni e Kolakoska, per cui non sorgeva alcun dubbio circa l’interpretazione della volontà di D. di essere assistito dai nuovi difensori che soltanto in tempo successivo avevano rinunziato al mandato. Considerato in diritto 1. L’impugnazione, per come articolata, è da ritenersi inammissibile. Impregiudicato il rilievo dirimente che si svolgerà in premessa, su ciascuna delle questioni poste da D. con il ricorso il giudice dell’esecuzione ha fornito risposte precise, giuridicamente corrette e prive di vizi logici con le quali il ricorrente, reiterando le deduzioni svolte nel corso dell’incidente, non appare essersi confrontato in modo effettivo e, in ogni caso, giuridicamente persuasivo. 2. Peraltro, nel senso della corretta segnalazione dell’Autorità requirente, va in via pregiudiziale rilevato che nessuna deduzione risulta svolta da D. per condurre a ritenere utilmente esclusa la sua acquiescenza scaturente dall’avere proposto, per due volte, precedenti istanze volte a ottenere la restituzione nel termine per impugnare, sul certo presupposto dell’intervenuta, piena conoscenza da parte sua della sentenza costituente il titolo esecutivo. In prima analisi, assodata la differenza logica e ontologica fra azione per la restituzione nel termine per impugnare e azione per la contestazione di validità del titolo esecutivo, è da ritenere che la nullità dell’ordine di esecuzione vada fatta valere mediante incidente di esecuzione che, in assenza di termini per la proposizione, può essere azionato in ogni tempo, salva però la preclusione derivante dalla mera reiterazione di istanza già proposta o dall’acquiescenza al provvedimento suscettibile di contestazione, dovendosi escludere - in considerazione della specifica procedura prevista nell’art. 666 c.p.p. l’applicabilità in questo settore del termine perentorio di sessanta giorni dalla conoscenza dell’atto, in forza di estensione analogica della disciplina stabilita per i ricorsi nella sede giurisdizionale amministrativa contro provvedimenti illegittimi Sez. 1, n. 2727 del 30/11/2005, dep. 2006, Gallego Guerra, Rv. 235095 . L’avere instato per la restituzione nel termine per impugnazione avverso una sentenza contumaciale non implica, in ogni caso, la necessità di ordinare una nuova notifica del relativo estratto, giacché essa avrebbe la funzione di informare l’interessato circa l’esistenza e il contenuto di un provvedimento di cui egli ha già effettiva conoscenza, tanto da averlo indicato al giudice in questo caso dell’esecuzione come oggetto dell’impugnazione che si intende proporre Sez. 2, n. 14783 del 20/01/2017, Tudor, Rv. 269741 . Nella prospettiva segnalata, si è specificamente chiarito che l’invalidità dell’elezione di domicilio e la conseguente nullità della notifica dell’estratto contumaciale, sono sanate se la parte è decaduta dal diritto di farle valere nei termini di cui all’art. 182 c.p.p., comma 3, sicché, in applicazione di questo principio, sarebbero comunque da ritenersi sanate le nullità della elezione di domicilio e quella, dipendente, della notifica dell’estratto contumaciale, per non averle - il condannato - eccepite immediatamente dopo la rituale notificazione dell’ordine di esecuzione della sentenza di condanna Sez. 1, n. 19981 del 04/04/2014, Hu, Rv. 260538 e nel caso in esame è pacifico che l’ordine di esecuzione della sentenza di condanna sia stato notificato a D. in epoca antecedente al primo procedimento incardinato per la restituzione nel termine per impugnare risalente al 16 marzo 2012, a seguito dell’avvenuta acquisizione della corrispondente conoscenza della sentenza emessa a suo carico avvenuta in data 21 febbraio 2012. 3. A parte questa dirimente questione emersa dal rilievo di ufficio sollecitato dall’indicazione del Procuratore generale, passando a delibare, in ogni caso, le singole doglianze formulate del ricorrente e, per prima, quella relativa alla retta individuazione del difensore di fiducia dell’imputato nel corso del processo di cognizione, con effetto sulla verifica della ritualità della susseguente nomina del difensore di ufficio, si osserva che sull’argomento le notazioni della Corte di assise appaiono congrue e logicamente corrette. Il giudice dell’esecuzione, affrontando la questione, inerente alla prospettata come erronea - notificazione dell’estratto contumaciale al difensore di ufficio avv. Maris , in quanto da ritenersi erroneamente nominato dal momento che avevano rinunciato al mandato due difensori di fiducia avv. Kolakoska e avv. Ghilardoni , ma non l’avv. Scaglia, destinatario della prima nomina fiduciaria, mai revocata, ha rilevato che ai sensi dell’art. 96 c.p.p. doveva ritenersi intervenuta revoca implicita di quel difensore per la nomina degli altri difensori, che effettivamente hanno agito come tali, nel rispetto del numero massimo previsto dalla legge. Nel caso di specie, D. , assistito all’udienza di convalida del 13 luglio 1996 dall’avv. Silvestri, aveva poi nominato di fiducia altri quattro avvocati l’avv. Scaglia il 15 luglio 1996, l’avv. Silvestri il 21 luglio 1996, l’avv. Ghilardoni il 26 luglio 1996 e l’avv. Kolakoska il 4 novembre 1996. Però, i primi due avvocati non avevano svolto in concreto attività difensiva di nessun tipo, mentre contro la seconda ordinanza custodiale del 23 dicembre 1996 a proporre istanza di riesame erano stati gli avv. Ghilardoni e Kolakoska. In coerenza con tale situazione defensionale, scarcerato il 21 gennaio 1997, D. aveva eletto domicilio presso lo studio dell’avv. Kolakoska. In virtù dell’attività difensiva da loro esclusivamente compiuta, pertanto, gli avv. Ghilardoni e Kolakoska erano stati individuati come difensori di fiducia dell’imputato e tale erano stati indicati nel decreto che aveva disposto il giudizio del 30 gennaio 1997 e poi nel decreto di latitanza del 27 marzo 1997. Nel corso del giudizio, prima l’avv. Kolakoska, il 12 giugno 1997, e poi l’avv. Ghilardoni avevano rinunciato al mandato. A questo punto l’imputato era restato privo di difesa fiduciaria. Pertanto rettamente era stato nominato il difensore d’ufficio nella persona dell’avv. Gianluca Maris, il cui munus difensivo era proseguito per l’intero processo di primo grado e a cui era stato alfine notificato l’estratto contumaciale. La tesi svolta dal ricorrente circa la persistente efficacia della nomina quale difensore di fiducia dell’avv. Scaglia non si confronta con lo specifico asserto del provvedimento impugnato inerente alla constatazione che questo professionista non ha mai assunto, di fatto, la difesa e ha comunque lasciato definitivamente sguarnito, al pari dell’avv. Silvestri, il corrispondente munus defensionale. È, in effetti, da ribadire che deve ritenersi legittima la notificazione all’imputato dell’estratto contumaciale della sentenza eseguita presso il difensore nominato d’ufficio in sostituzione di quelli di fiducia che il giudice abbia motivatamente ritenuto aver abbandonato la difesa per mancato svolgimento di qualsiasi attività defensionale Sez. 1, n. 4928 del 19/12/2012, dep. 2013, Falanga, Rv. 254606 Sez. 1, n. 48161 del 26/11/2008, Maglione, Rv. 242436 . Sul tema, si dà per assodata l’operatività del principio generale di immutabilità della difesa, che si riferisce al difensore di fiducia nominato dall’imputato e anche al difensore nominato di ufficio dal giudice o dal p.m. questi è l’unico titolare dell’ufficio e, quindi, è l’unico destinatario della notificazione degli atti rilevanti per la difesa, compresi i provvedimenti assoggettabili a impugnazione, senza che sulla permanenza dal rapporto determinato dalla suindicata nomina possa interferire la nomina del difensore di ufficio quale sostituto del titolare, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, resa necessaria da situazioni contingenti e, per loro natura, temporanee. Posta questa cornice, deve peraltro aggiungersi - nel solco di un orientamento consolidato Sez. 1, n. 24582 del 28/05/2009, Adil, Rv. 243820 finalizzato ad assicurare l’effettività del diritto di difesa - che il principio di immutabilità della difesa, anche di genesi ufficiosa, può operare se e fino s quando la sostituzione del titolare sia determinata dalle specifiche situazioni temporanee per cui opera la succitata sostituzione, situazioni, per loro stessa natura, venute meno o comunque destinate a venir meno. Esso, invece, non può operare se e quando il difensore attributario della nomina non sia stato reperito o abbia palesato un totale disinteresse per l’incarico ricevuto situazione che per la sua durata indeterminata e per la sua incidenza negativa sul diritto di difesa - rende legittimo il subingresso di un nuovo difensore. In questa precisa prospettiva si è ritenuta legittima la sostituzione del difensore di ufficio, siccome il difensore designato non aveva svolto alcuna incombenza difensiva e non si era attivato in favore del proprio assistito, non operando, in tal caso, il principio dell’immutabilità della difesa sino all’eventuale dispensa dall’incarico o nomina fiduciaria Sez. 1, n. 3444 del 21/11/2017, dep. 2018, Buhai, Rv. 272052, che ha conseguentemente ritenuto valida la notificazione dell’estratto contumaciale della sentenza effettuata al condannato latitante presso il difensore di ufficio che aveva assunto la difesa nel procedimento, sebbene in precedenza fosse intervenuta la designazione di altro difensore di ufficio, che era stato implicitamente revocato per effetto della nomina del secondo, giacché il primo non aveva svolto alcuna attività durante il periodo di formale titolarità del ministero defensionale . La situazione determinatasi nel caso di specie si inscrive nello stesso perimetro illustrato e, di conseguenza, correttamente la Corte di assise ha individuato nei due difensori nominati in via fiduciaria che si erano attivati nello svolgimento dell’attività difensiva, i titolari della difesa sicché, quando questi sono venuti progressivamente meno con altrettanti atti di rinuncia, la nomina del difensore di ufficio ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 1, è stata necessaria e conseguenziale. Pertanto, la prima doglianza è manifestamente infondata. 4. Il secondo motivo si profila generico. Alla deduzione di nullità del decreto di latitanza per l’assenza del verbale di vane ricerche e per la genericità delle ricerche stesse, con conseguente nullità degli atti consequenziali, il giudice dell’esecuzione ha risposto con un duplice ordine di argomenti. Ha in primo luogo obiettato che nel corso del giudizio non risultava affatto essere stata eccepita l’invalidità del decreto di latitanza, nè era possibile sindacare ora le indagini compiute dal giudice di merito onde pervenire all’emissione del decreto stesso. In secondo luogo ha, in ogni caso, rilevato che il giudice del merito aveva promosso le ricerche previste dalla legge con la conseguente redazione del verbale di vane ricerche in data 26 marzo 1997 a cui era seguita l’emissione del decreto di latitanza, con la valutazione delle indagini svolte con riferimento a D. dalla Squadra Mobile di Milano. Orbene, sul primo versante la posizione espressa dalla Corte territoriale nella sua assolutezza va ritenuta non in linea con il principio operante in materia, dal momento che in fase esecutiva può essere sollevata la questione della validità del decreto di latitanza ma all’esclusivo fine di contestare la validità della notifica dell’estratto contumaciale e, di conseguenza, l’avvenuta formazione del titolo esecutivo cfr. sull’argomento Sez. 1, n. 17201 del 26/09/2017, dep. 2018, Qerimaj, n. m. Sez. 1, n. 44988 del 10/06/2014, Buzi, Rv. 261129 più in generale, infatti, il vizio determinante nella instaurazione del contraddittorio verificatosi nel giudizio di cognizione rileva in executivis soltanto nella misura in cui determini l’invalidità della notifica dell’estratto contumaciale, la quale non subisce alcuna preclusione collegata al giudicato arg. ex Sez. 1, n. 7430 del 17/01/2017, Canalini, Rv. 269228 . Precisato ciò, però, sul secondo versante va rilevato che la Corte di assise ha comunque accertato che le ricerche sono state compiute alla stregua delle previsioni di cui all’art. 295 c.p.p. con l’attivazione delle forze di polizia, il conseguente accertamento dell’inanità del loro esito e l’emanazione del provvedimento regolato dall’art. 296 c.p.p Le contestazioni della ritualità del relativo procedimento non si sono estrinsecate in alcuna critica specifica, sicché deve concludersi che il motivo non censura in modo effettivo la parte dell’ordinanza impugnata che richiama, affermandone l’adeguatezza, le ricerche effettuate. D’altro canto va rimarcato che, ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella dell’irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 295 c.p.p. - pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo all’esecuzione della misura emessa nei suoi confronti - non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma 4, dello stesso codice Sez. U, n. 18822 del 27/03/2014, Avram, Rv. 258792 Sez. 6, n. 31285 del 23/03/2017, Lleshaj, Rv. 270569 . Per il resto, nella valutazione di ritualità dell’avvenuta dichiarazione di latitanza, il giudice dell’esecuzione ha tenuto conto del principio di diritto secondo cui, ai fini dell’accertamento della volontarietà della sottrazione al provvedimento restrittivo, non occorre dimostrare che l’interessato era a conoscenza dell’avvenuta emissione a suo carico di tale provvedimento, essendo invece sufficiente che egli si fosse posto in condizione di irreperibilità sapendo che un ordine o un mandato poteva essere emesso nei suoi confronti evenienza che, una volta positivamente apprezzata con provvedimento del giudice, legittimava l’esecuzione delle notificazioni mediante consegna al difensore Sez. 2, n. 47852 del 23/09/2016, Kennedy, Rv. 268174 . 5. In ordine alla questione relativa alla mancata notifica dell’estratto contumaciale presso il domicilio eletto dall’imputato, posta con il terzo motivo, la corrispondente deduzione, una volta preso atto dell’incontestabile condizione di latitanza in cui versava D. nel corso del processo di cognizione, è da reputarsi manifestamente infondata. Essa è stata correttamente disattesa dalla Corte di assise laddove ha ritenuto che con l’emissione del decreto di latitanza l’imputato era rappresentato ad ogni effetto dal difensore, posto che l’art. 165 c.p.p. disciplina in modo specifico la modalità di notificazione degli atti all’imputato latitante. Occorre, pertanto, ribadire che la notificazione all’imputato latitante può essere effettuata soltanto mediante consegna di copia dell’atto al difensore, non essendo ammesse forme equipollenti a tale modalità di notificazione, nemmeno rilevando che, prima di divenire tale, il latitante aveva eletto domicilio Sez. 2, n. 31548 del 09/06/2017, Pashkaj, Rv. 270553 Sez. 4, n. 23590 del 05/02/2009, Arango Mesa, Rv. 244212 . 6. Manifestamente infondato si rivela anche il quarto motivo, inerente alla deduzione di nullità della notificazione dell’estratto contumaciale in ragione delle modalità con le quali l’atto è stato in concreto consegnato al destinatario. In ordine a tale questione, con cui il ricorrente ha lamentato la mancata individuazione della qualifica della persona che aveva ricevuto l’atto, la Corte ha obiettato in contrario che la relazione di notificazione dell’atto aveva specificato chiaramente che la consegna dell’estratto della sentenza contumaciale presso il difensore dell’imputato era avvenuta nelle mani dell’impiegato suo dipendente, incaricato dal medesimo a ricevere l’atto, dunque a una persona abilitata a tanto ai sensi dell’art. 168 c.p.p Pertanto, la doglianza in esame risulta neutralizzata dalle specifiche indicazioni fornite dal giudice dell’esecuzione, confermative della sussistenza degli elementi necessari per la validità della formalità notificatoria, come attestata alla stregua del disposto ora citato. Lo stesso ricorrente indica il cognome del soggetto deputato alla ricezione dell’atto presente presso lo studio del difensore. La prospettazione, poi, del carattere equivoco della barratura della corrispondente casella del relativo modulo non presenta affatto le caratteristiche di equivocità genericamente adombrate dalla difesa. Deve, inoltre, puntualizzarsi che, con riferimento alla notificazione, non ne causa la nullità la difficoltà di lettura della corrispondente relazione per la parte in cui sono indicate le generalità della persona che ha ricevuto la copia, quando di tale persona sia per di più precisata la qualifica, che attesta la relazione con il luogo in cui la notifica è stata eseguita e con il destinatario della stessa, essendo rilevante, in particolare, l’indicazione della qualità di incaricata di ricevere le notifiche riferita a persona presente nello studio professionale di un avvocato e che ivi svolga quelle specifiche mansioni, giacché tale indicazione ne permette, in modo agevole, la pronta identificazione Sez. F, n. 29453 del 08/08/2006, Sgarbi, Rv. 235068 in tale alveo e con le svolte precisazioni, nella sussistenza di un’adeguata e formale attestazione da parte dell’ufficiale giudiziario di aver consegnato l’atto a persona avente i requisiti specificamente previsti dalla legge, non sono da considerarsi adempimenti necessari ai fini della validità e del perfezionamento dell’atto quelli relativi alla completa indicazione dei dati anagrafici del ricevente, alla cui identificazione sia comunque possibile ordinariamente e agevolmente pervenire v. anche Sez. 2, n. 28081 del 12/06/2015, Corvo, Rv. 264287, in tema di consegna dell’atto a persona capace e convivente, ai sensi dell’art. 157 c.p.p. . 7. Del tutto aspecifico risulta infine il quinto motivo che non deduce autonome ragioni a sostegno della prospettata carenza di conoscenza legale del provvedimento che aveva definito il processo, ma si rifà alle precedenti doglianze ritenendo che la loro fondatezza abbia condotto ad esito tale da violare per la posizione di D. , oltre alla garanzia costituzionale di cui all’art. 111 Cost., quelle apprestate in tema di diritto a un processo equo e di necessaria titolarità di rimedio giurisdizionale effettivo e azionabile assicurati dagli artt. 6 e 13 CEDU e 2 Prot. 7 CDU. La Corte di assise ha, fra l’altro, ritenuto correttamente che la prospettazione di illegittimità costituzionale della disciplina applicata scaturente dal fatto che l’imputato risultava essere stato privato delle garanzie del doppio grado di giudizio in quanto all’epoca della notifica della sentenza di primo grado il suo difensore non poteva presentare appello avverso la sentenza stessa perché privo di specifico mandato, senza che potesse essere chiesta la restituzione nel termine per impugnare, non fosse fondata, in quanto era, al contrario, dal ritenersi che il difensore del latitante fosse titolare di un ampio potere di rappresentanza che lo abilitava l’espletamento di atti in genere riservati dall’ordinamento personalmente all’imputato sicché egli era legittimato a proporre l’impugnazione. Su tale ultimo versante è indubitabile l’assunto che il difensore di D. avesse titolo ad impugnare la sentenza di primo grado. Già con riferimento al tempo in cui era stata emessa la sentenza di primo grado, era affermato il principio secondo cui il difensore del latitante è titolare di un ampio potere di rappresentanza che lo legittima all’espletamento di atti che in genere l’ordinamento riserva personalmente all’imputato, allo scopo di evitare che il concreto esercizio del diritto di difesa soffra limitazioni nel caso di latitanza, sicché deve ritenersi che il difensore del latitante, pur non munito di specifica procura ai sensi dell’art. 571 c.p.p., comma 3, possa proporre impugnazione Sez. 5, n. 9945 del 22/12/1998, dep.1999, Amato, Rv. 213969 . Si aggiunge che, dopo che con la sentenza n. 317 del 2009 la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 24 Cost., art. 111 Cost., comma 1, e art. 117 Cost., comma 1, l’art. 175 c.p.p., comma 2 nel testo allora vigente , nella parte in cui non consente la restituzione dell’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato, si è affermato decisamente il principio di diritto secondo cui il condannato in processo contumaciale, che, pur latitante, che non abbia avuto effettiva conoscenza del processo a suo carico, ha diritto alla restituzione nel termine per l’impugnazione nonostante il difensore di ufficio abbia tempestivamente proposto appello avverso la sentenza di condanna Sez. 6, n. 14743 del 29/01/2018, Tair, Rv. 272654 . Dunque, se il difensore si è determinato a non impugnare la sentenza, nemmeno per il secondo grado di merito in relazione al quale non si sarebbe posta la problematica relativa alla verifica della sua iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, sulla cui necessità e sulla strada per ovviare all’eventuale mancanza v. Sez. U, n. 24486 del 11/07/2006, Lepido, Rv. 233919 , non lo ha fatto - non perché non fosse legittimato a farlo, bensì perché ha esercitato in tal senso l’opzione, insindacabile in questa sede, afferente al suo ministero. D. , dal canto suo, ha esperito, ripetutamente, ma senza esito favorevole, l’azione finalizzata alla restituzione del termine per impugnare e, poi, in questa sede, non ha dimostrato, in ogni caso, la sussistenza della dedotta invalidità della notificazione dell’estratto contumaciale, per gli effetti di cui all’art. 670 c.p.p Su tale ultimo punto, quindi, essendo la premessa risultata del tutto priva di riscontro per le ragioni man mano specificate, consegue che anche questa ulteriore prospettazione e il corollario che D. intende trarne risultano ictu oculi infondati. 8. Queste considerazioni impongono la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, con l’effetto che segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e - per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione Corte Cost., sent. n. 186 del 2000 - di una somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura che, in ragione dell’insieme delle questioni dedotte e valutato il contenuto dei motivi, si stima equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.