Come si determina la durata delle pene accessorie alla condanna per bancarotta dopo la Corte Costituzionale?

La regola dettata dall’art. 37 c.p. diventa una dei criteri per la determinazione della durata delle pene accessorie alla bancarotta. Ma non l’unico, in ossequio ai principi di proporzionalità e individualizzazione del trattamento sanzionatorio, nei quali si estrinseca la ratio decidendi della scelta manipolativa operata dalla Corte Costituzionale. Occorre infatti consentire al giudice, nel rispetto del principio di proporzionalità, di determinare con valutazione caso per caso disgiunta da quella che presiede alla commisurazione della pena detentiva, la durata delle pene accessorie anche sulla base dei parametri di cui all’art. 133 c.p

La Quinta Sezione della Cassazione Penale, chiamata a pronunciarsi in tema di bancarotta documentale rileva, d’ufficio, il mancato rispetto dei nuovi limiti edittali derivanti dalla sentenza n. 222/18 della Corte Costituzionale per le pene accessorie alla bancarotta e si preoccupa di fornire al giudice del rinvio i criteri cui attenersi nel rideterminare la durata delle pene accessorie. Gli effetti della sentenza n. 222/18 Corte Costituzionale. Adita nel caso di specie al solo fine di pronunciarsi sul ricorso del condannato che, seppur sulla base di distinti ed articolati motivi, si doleva nella sostanza della sola circostanza di esser stato condannato per bancarotta documentale fraudolenta anziché per la leviore ipotesi di bancarotta documentale semplice, la Quinta Sezione Penale rileva, d’ufficio, come la pronuncia oggetto di ricorso non paia in linea con il nuovo testo dell’art. 216 u.c. l. fall Tuttavia, prima di annullare con rinvio, ovviamente limitatamente a questo aspetto, la pronuncia si interroga su quali siano le linee guida e di indirizzo cui il giudice del merito dovrà attenersi per determinare, fra massimo e minimo edittale la durata delle sanzioni accessorie. Osservano infatti gli Ermellini coma la sentenza impugnata si fosse limitata ad applicare la durata fissa prevista dalla legge 10 anni , per le sanziona accessoria, con conseguente dovere di ufficio della Corte di rilevare la illegalità della pena dopo la pronuncia n. 222/18 della Corte Costituzionale. Il criterio di cui all’art. 37 c.p Osserva la Corte di Cassazione come sia dunque necessario indicare al giudice del rinvio il criterio cui attenersi nel determinare la durata della pena accessoria, non più fissa 10 anni , ma indicata, per effetto della pronuncia della Corte Costituzionale, solo nel massimo fino a 10 anni . Ricordano gli Ermellini come le Sezioni Unite abbiano chiarito che sent. n. 6240/14 in linea generale per determinare le pene accessorie, per le quali il legislatore indica solo un massimo e un minimo edittale, debba farsi riferimento al criterio dell’art. 37 c.p., in forza del quale la durata della pena accessoria temporanea, che non sia espressamente determinata, è uguale a quella della pena principale inflitta nel caso di specie. Appare allora evidente come anche nel caso di specie parrebbe dovuto farsi ricorso a tale criterio. Osserva tuttavia la Corte come nel corpo della motivazione della sentenza n. 222/18 il Giudice delle Leggi abbia rimarcato che ancorare la durata della pena accessoria in concreto a quella della pena principale in concreto inflitta finirebbe per sostituire l’originario automatismo legale con un diverso automatismo, che rischierebbe altresì di risultare distonico rispetto al legittimo intento del legislatore storico di colpire in modo severo gli autori dei delitti di bancarotta fraudolenta, considerati a buon diritto gravemente lesivi di interessi individuali e collettivi, vitali per il buon funzionamento del sistema economico . La necessità di individuare un altro criterio. Nella motivazione, prosegue la Corte, occorre considerare che se gli automatismi paiono contrastare con i principi di proporzionalità della pena e individualizzazione del trattamento sanzionatorio anche il dettato dell’art. 37 c.p. diventa costituzionalmente sospetto”. Ciò soprattutto alla luce della ratio della legge fallimentare del 1942 che intervenne a inasprire nettamente il trattamento sanzionatorio per il soggetto condannato per bancarotta fraudolenta attraverso la previsione di due sanzioni accessorie, autonome e complementari, volte ad allontanarlo dall’ambito imprenditoriale per un lungo periodo successivo alla esecuzione della pena detentiva. Concludono gli Ermellini, che appare dunque necessario adottare una soluzione capace di garantire quella elasticità necessaria a consentire al giudice, nel rispetto del principio di proporzionalità, di determinare, con valutazione caso per caso e disgiunta da quella che presiede alla commisurazione della pena detentiva, la durata delle sanzioni accessorie previste dalla disposizione censurata, sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 c.p., durata, che nel caso concreto, potrebbe anche risultare maggiore rispetto alla pena detentiva contestualmente inflitta, purchè sempre nel limite del massimo edittale pari a 10 anni. La regola di cui all’art. 37 c.p. è dunque uno, ma non l’unico, dei criteri cui deve attenersi il giudice nel determinare la durata delle sanzioni accessorie alla condanna per bancarotta fraudolenta, una diversa interpretazione fonderebbe di sospetti di contrasto con il dettato della Costituzione proprio il combinato disposto risultante dalla applicazione dell’art. 216 u.c. l. fall. e 37 c.p

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 gennaio – 3 aprile 2019, n. 14643 Presidente Vessichelli – Relatore Morosini Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce ha confermato la condanna di M.O. per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, a lui ascritto, nella qualità di legale rappresentante e liquidatore della omissis s.a.s., società dichiarata fallita il 23 dicembre 2008. 2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, tramite il difensore, articolando tre motivi. 2.1 Con il primo deduce violazione di legge processuale per difetto di correlazione tra accusa e sentenza. Secondo il ricorrente la contestazione riguarderebbe la distruzione o l’occultamento delle scritture contabili mentre la condanna sarebbe stata pronunciata per il diverso fatto della mancata istituzione delle scritture contabili. 2.2 Con il secondo motivo denuncia violazione di legge processuale e sostanziale, in quanto non sarebbe provata la prosecuzione di attività d’impresa dopo il furto del 2002. 2.3 Con il terzo motivo il ricorrente si duole della omessa motivazione sulla riqualificazione del fatto in quello di bancarotta semplice. L’ipotesi di reato in contestazione sarebbe caratterizzata da dolo generico e quindi dalla consapevolezza di recare pregiudizio ai creditori , mentre la bancarotta semplice sarebbe una ipotesi di reato per la sussistenza del quale è sufficiente la mera colpa . La sentenza impugnata conterrebbe un mero e acritico richiamo alla finalità di recare pregiudizio ai creditori non ulteriormente argomentata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, tuttavia deve essere rilevata di ufficio l’illegalità delle pene accessorie applicate L. Fall., ex art. 216, u.c 2. Il primo motivo è inammissibile. Il vizio - che, in ipotesi, atterrebbe alla sentenza di condanna di primo grado - risulta denunciato per la prima volta con il ricorso per cassazione. La violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo ne consegue che detta violazione non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità tra le ultime Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 269886 . 3. Il secondo e il terzo motivo risultano in parte generici e in parte manifestamente infondati. L’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili deve essere ricondotta, sotto il profilo dell’elemento materiale, nell’alveo di tipicità della L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2, atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d’affari, a fortiori ha inteso punire anche l’imprenditore che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell’impresa. La condotta omissiva deve essere sorretta da dolo specifico. Occorre accertare che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori, perché altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella analoga sotto il profilo materiale, prevista dalla L. Fall., art. 217 e punita a titolo di bancarotta semplice documentale Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, De Mitri, Rv. 252992 . 3.2 Nella specie i giudici di merito hanno ritenuto dimostrato che l’imputato ha omesso, per un lungo periodo, di tenere la contabilità, mai consegnata al curatore, nonostante la società avesse proseguito nell’attività, come dimostrato dalle numerose operazioni imponibili negli anni dal 2002 al 2005 cfr. pagina 2 della motivazione . A fronte di tanto il ricorrente non può limitarsi a opporre il proprio convincimento soggettivo circa l’assenza di prova sulla prosecuzione di attività di impresa, sottoponendo alla Corte di cassazione questioni di merito attinenti al significato e agli esiti, pretesi, dell’istruttoria. 3.3 Allo stesso modo, la Corte di appello ha ritenuto provato il dolo specifico, desunto dalla valutazione complessiva del comportamento tenuto dall’imputato pagina 3 della sentenza . Il che esclude, in via automatica, la configurabilità del reato di bancarotta semplice. 4. Il collegio deve rilevare di ufficio l’illegalità delle pene accessorie L. Fall., ex art. 216, u.c., applicate ex lege come effetto penale della pronuncia di condanna impugnata art. 20 c.p. . 4.1 Con sentenza n. 222 del 05/12/2018 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 216, u.c. nella parte in cui dispone la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa , anziché la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni . Si tratta di pronuncia rientrante nel genere genus proximum delle decisioni manipolative , riconducibile alla specie differentia specifica di quelle sostitutive , che si caratterizzano per mantenere in piedi la disposizione denunciata soltanto sul presupposto di una modificazione del precetto in essa contenuto. Le decisioni sostitutive si compongono di una parte demolitoria dichiarazione di illegittimità parziale della norma nella parte in cui prevede e di una parte ricostruttiva anziché prevedere , così che la Corte crea un vuoto legislativo e contestualmente lo colma, sostituendo al precetto incostituzionale quello conforme a Costituzione. 4.2 La sostituzione della cornice edittale, operata dalla sentenza n. 222 del 2018, determina l’illegalità delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente applicate rientrino comunque nel nuovo parametro, posto che il procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata incostituzionale. Detto principio, elaborato in relazione alle pene principali Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon , vale certamente anche per quelle accessorie non essendo consentita dall’ordinamento l’esecuzione di una pena sia essa principale o accessoria non conforme, in tutto o in parte, ai parametri legali. Il principio di legalità della pena si applica, invero, anche con riferimento alle pene accessorie Sez. U. n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., in motivazione . 4.3 Sorge allora la necessità di indicare al giudice del rinvio il criterio cui attenersi nella rideterminazione della durata della pena accessoria non più fissa dieci anni , ma indicata solo nel massimo fino a dieci anni . 4.3.1 Deve, invero, darsi atto che la giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite sent. n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., Rv. 262328 , risolvendo un più ampio contrasto giurisprudenziale, era giunta a indicare, come regola valida in linea generale, quella dell’art. 37 c.p., in forza del quale la durata della pena accessoria temporanea, che non sia espressamente determinata, è eguale a quella della pena principale inflitta anche per le pene accessorie per le quali fosse previsto un minimo e un massimo edittale ovvero - come nel caso che ci occupa uno soltanto dei suddetti limiti. Si tratta di un criterio commisurativo, quello dell’art. 37 c.p., che anche dopo la pronuncia di illegittimità costituzionale concernente la L. Fall., art. 216 u.c. potrebbe essere ritenuto dal giudice, nel caso concreto, quello, fra più, utile alla individuazione della entità proporzionata quanto alle pene accessorie da applicare. Infatti la sentenza della Corte costituzionale di cui si tratta - nel far cadere soltanto il carattere fisso della durata della pena accessoria perché non rispondente al principio costituzionale della proporzionalità della pena - non è certo da intendere come vincolante ad una piuttosto che ad altra tesi concernente quello che dovrà essere il nuovo criterio commisurativo della pena accessoria speciale, non rientrando nel novero delle sentenze interpretative di accoglimento che dichiarano la incostituzionalità di una delle interpretazioni possibili. E in tal senso e sotto il profilo appena specificato, non vi sarebbe incompatibilità assoluta tra il risultato normativo della pronuncia di illegittimità costituzionale e i principi posti dalle Sezioni Unite, peraltro ripresi anche recentemente dalla sentenza di questa Sezione, n. 1963 del 07/12/2018, dep. 2019, Piermartiri resa all’indomani della pubblicazione della decisione della Consulta. Quantomeno non in riferimento alla specifica determinazione della pena accessoria della bancarotta fraudolenta, toccata dalla pronuncia di illegittimità. 4.3.2 Deve però aggiungersi, ad avviso di questo Collegio, che il criterio suddetto non possa essere l’unico, non possa cioè esaurire la gamma delle opzioni di cui il giudice del rinvio disponga per l’assolvimento del compito demandatogli. Pur doverosamente rimessa - ex art. 618 c.p.p., comma 1 bis - la questione sulla esaustività o meno del criterio generale individuato dalle Sezioni Unite nel 2014, anche in relazione al novellato L. Fall., art. 216, u.c., occorre rilevare che la perdurante applicabilità del solo art. 37 c.p., per la soluzione della questione che ci occupa - è messa in crisi dalla sentenza della Corte Costituzionale che, nel corpo della motivazione, evidenzia come la scelta di ancorare la durata concreta delle pene accessorie a quella della pena detentiva concretamente inflitta finirebbe per sostituire l’originario automatismo legale con un diverso automatismo, che rischierebbe altresì di risultare distonico rispetto al legittimo intento del legislatore storico di colpire in modo severo gli autori dei delitti di bancarotta fraudolenta, considerati a buon diritto come gravemente lesivi di interessi, individuali e collettivi, vitali per il buon funzionamento del sistema economico . In sostanza se gli automatismi contrastano con i principi costituzionali di proporzionalità della pena e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, diventa sospetta sotto il profilo della compatibilità con la Costituzione, anche la regola dettata dall’art. 37 c.p. - ove intesa come unica soluzione possibile - regola che non lascerebbe al giudice quel margine di discrezionalità ritenuto necessario nella prospettiva di assegnare alle pene accessorie una funzione almeno in parte distinta rispetto a quella delle pene detentive, e marcatamente orientata alla prevenzione speciale negativa - imperniata sull’interdizione del condannato da quelle attività che gli hanno fornito l’occasione per commettere gravi reati . Così da rispettare la ratio della legge fallimentare del 1942 che intervenne a inasprire nuovamente il trattamento sanzionatorio per il condannato a titolo di bancarotta fraudolenta, attraverso la previsione di due distinte pene accessorie, autonome e complementari, volte ad allontanarlo dall’ambito imprenditoriale per un lungo periodo successivo all’esecuzione della pena detentiva. E ciò, all’evidenza, allo scopo di estendere nel tempo l’effetto di prevenzione speciale negativa già esplicato dall’esecuzione della pena detentiva, oltre che di conferire maggiore capacità deterrente all’incriminazione . In tale ottica, più che addentrarsi in una attività di interpretazione , riconosciuta come spettante al giudice comune la valutazione del modo in cui il sistema normativo reagisce ad una sentenza costituzionale di accoglimento spetta al giudice del processo principale, unico competente a definire il giudizio da cui prende le mosse l’incidente di costituzionalità , la Corte Costituzionale sembra rivolgere un richiamo rispetto ai profili di incostituzionalità che, in tema di pene accessorie L. Fall., ex art. 216, u.c., presenterebbe la scelta di sostituire un automatismo con un altro, sia pure con effetti meno gravosi. Un automatismo che, paradossalmente, potrebbe produrre effetti persino in malam partem rispetto alla decisione cui il giudice perverrebbe altrimenti e che comunque viene revocato in dubbio - con osservazioni del giudice delle leggi ad effetto meramente persuasivo ma non per questo meno rilevanti - soltanto in relazione al tema giuridico concretamente posto, laddove la struttura dell’art. 37 non è di per sé censurata essendo sicuramente valida, ad esempio, con riferimento alle fattispecie nelle quali nessun limite per una data pena accessoria sia individuato dal legislatore , nonostante un simile potere fosse dato alla Corte costituzionale dalla L. n. 87 del 1953, art. 27 in tema di decisioni di illegittimità consequenziale. 4.3.3 Occorre dunque adottare una soluzione capace di garantire quella elasticità necessaria a consentire al giudice, nel rispetto del principio di proporzionalità, di determinare, con valutazione caso per caso e disgiunta da quella che presiede alla commisurazione della pena detentiva, la durata delle pene accessorie previste dalla disposizione censurata, sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 c.p. durata che potrebbe dunque risultare, in concreto, anche maggiore di quella della pena detentiva contestualmente inflitta, purché entro il limite massimo di dieci anni. Ciò tenendo conto sia del diverso carico di afflittività, sia della diversa finalità, che caratterizzano le pene accessorie in parola rispetto alla pena detentiva diverse afflittività e finalità che suggeriscono, nell’ottica di una piena attuazione dei principi costituzionali che presiedono alla commisurazione della pena, una determinazione giudiziale autonoma delle due tipologie di pena nel caso concreto . Deve pertanto concludersi ribadendo che in questa prospettiva può ritenersi che la regola dettata dall’art. 37 c.p. divenga uno dei criteri per la determinazione delle pene accessorie della bancarotta. Ma non l’unico, in ossequio ai principi di proporzionalità e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio nei quali si estrinseca la ratio decidendi della peculiare scelta manipolativa operata dalla Corte Costituzionale. Detti principi contrastano con qualsiasi tipo di automatismo, compreso quello della parametrazione obbligata della durata della pena accessoria alla pena principale, che, si ripete, ove rimanesse l’unico criterio commisurativo, potrebbe dare luogo, di nuovo, a sospetto di costituzionalità del combinato disposto art. 37 c.p. e L. Fall., art. 216, u.c 4.4 L’illegalità sopravvenuta della previsione della durata fissa delle pene accessorie impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in punto di trattamento sanzionatorio, al fine di consentire al giudice di merito di stabilire la durata delle pene accessorie in rassegna giudizio che, implicando valutazioni discrezionali, è sottratto al giudice di legittimità. 5. Discende l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al punto delle pene accessorie L. Fall., ex art. 216, u.c., con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Lecce. Nel resto il ricorso deve dichiarato inammissibile. 6. Ai sensi dell’art. 624 c.p.p., dall’annullamento con rinvio circoscritto a tale punto della decisione, deriva l’autorità di cosa giudicata in tutti i restanti punti della sentenza privi di connessione con quello annullato e quindi, nella specie accertamento della responsabilità dell’imputato, quantificazione della pena principale e delle pene accessorie diverse da quelle previste dalla L. Fall., art. 216, u.c P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie L. Fall., ex art. 216, u.c., con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Lecce. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.