Il condannato può invocare il legittimo impedimento a comparire in camera di consiglio?

L’istanza di rinvio dell’udienza in camera di consiglio per legittimo impedimento del condannato può essere accolta solo se egli abbia tempestivamente manifestato la volontà di parteciparvi e di essere sentito personalmente.

Così la sentenza della Corte di Cassazione con la sentenza n. 14617/19, depositata il 3 aprile. La vicenda. La Corte d’Appello de L’Aquila, quale giudice dell’esecuzione, aveva revocato il beneficio dell’indulto per aver l’imputato commesso due delitti non colposi riuniti in continuazione per i quali era stato condannato in via definitiva. Con il ricorso in Cassazione, l’imputato deduce la violazione del diritto di difesa per aver la Corte territoriale negato il rinvio dell’udienza chiesto per legittimo impedimento dell’imputato stesso, tempestivamente comunicato a mezzo PEC alla cancelleria ed in assenza di una sua rinunzia alla partecipazione. L’impedimento del condannato a comparire in camera di consiglio. La Corte di legittimità ricorda in primo luogo che l’udienza in camera di consiglio può essere rinviata per legittimo impedimento del condannato a comparire solo laddove egli abbia espressamente manifestato la volontà di parteciparvi e di essere sentito personalmente, così ottenendo di trasformare l’eventualità in necessarietà, in riconoscimento di un vero e proprio diritto di partecipare all’udienza camerale . Nel caso di specie, tale volontà non risulta essere stata manifestata dal ricorrente secondo le forme previste dal codice di rito. Infatti la richiesta deve essere proposta, a pena di decadenza, nei 5 giorni antecedenti l’udienza, in difetto di tale onere non può dunque ipotizzarsi una lesione del diritto di difesa. Istanza a mezzo PEC. Ricorda inoltre il Collegio che non può comunque essere utilizzato lo strumento della PEC per presentare l’istanza al giudice, non essendovi nell’ordinamento penale una norma autorizzativa di tal tipo. Alla parte privata, nel processo penale, non è infatti consentito l’uso di tale mezzo informatico di trasmissione quale forma di comunicazione o notificazione. L’uso della posta elettronica certificata è infatti consentito solo per le notificazioni da parte delle cancellerie a persona diversa dall’imputato. Per questi motivi la Corte dichiara infondato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 novembre 2018 – 3 aprile 2019, n. 14617 Presidente Tardio – Relatore Fiordalisi Ritenuto in fatto 1. B.N. ricorre avverso l’ordinanza della Corte di appello dell’Aquila del 31/05/2018 che, quale giudice dell’esecuzione, ha revocato il beneficio dell’indulto concesso al ricorrente nella misura di anni 1, mesi 4 di reclusione ed Euro 2.880,00 di multa, con riferimento alle pene di cui alla sentenza del Tribunale di Lagonegro del 24 maggio 2005 e della Corte di appello di Potenza del 24 settembre 2009. Il giudice dell’esecuzione, nel motivare il provvedimento di revoca, ha rilevato che B. , successivamente alla concessione del beneficio dell’inulto, aveva commesso due delitti non colposi, riuniti in continuazione, il 14 e il 29 luglio 2008, per i quali era stato condannato con sentenza della Corte di appello dell’Aquila del 16 febbraio 2015, definitiva il 4 ottobre 2016, alla pena di anni 3, mesi 6 di reclusione ed Euro 500,00 di multa. 2. Denuncia il ricorrente l’inosservanza degli artt. 420 e 420 bis c.p.p., a pena di nullità stabilita dall’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c , relativamente alla violazione del diritto di difesa, perché la Corte di appello non avrebbe rinviato l’udienza già fissata, nonostante l’assenza dell’imputato giustificata da legittimo impedimento tempestivamente comunicato e in assenza di una sua espressa rinuncia a presenziare. In effetti, in data 29 maggio 2018, B. trasmetteva a mezzo P.E.C., all’indirizzo destinatario omissis , un’istanza con la quale chiedeva il rinvio dell’udienza del 31 maggio 2018, stante l’assoluto impedimento a comparire per gravi problemi di salute, come dinostrato dall’allegato certificato medico a firma del Dott. F.O. . Considerato in diritto 1. La Corte, condividendo la richiesta del Procuratore Generale, ritiene che, ai sensi del disposto di cui all’art. 127 c.p.p., comma 4, l’udienza in camera di consiglio viene rinviata solo quando, sussistendo un legittimo impedimento del condannato a comparire, questi abbia espressamente manifestato la volontà di essere presente all’udienza in camera di consiglio e di essere sentito personalmente Sez. 6, n. 17068 del 14/04/2011, Musicò, Rv. 250057 . Nel caso di specie, tale volontà non risulta essere stata manifestata espressamente nelle forme previste dal codice di rito. Secondo il procedimento di cui all’art. 127 c.p.p., la partecipazione dell’imputato/indagato è meramente eventuale, sicché egli deve essere sentito unicamente quando abbia formulato apposita istanza in tal senso. Il rinvio dell’udienza motivato da legittimo impedimento dell’imputato a parteciparvi, è reso conseguentemente possibile nel solo caso in cui costui abbia espresso precisa volontà di essere sentito, così ottenendo di trasformare l’eventualità in necessarietà, in riconoscimento di un vero e proprio diritto di partecipare all’udienza camerale. Alla stregua dell’art. 127 c.p.p., l’anzidetta richiesta non soltanto deve essere proposta preventivamente ma, anche, ed a pena di decadenza, con l’osservanza del termine di cui al comma 2, dell’articolo e, cioè, nei cinque giorni antecedenti l’udienza Sez. 5, n. 5358 del 06/04/1999, Giordano Sez. 4, n. 11029 del 26/11/1996, Vinzi Sez. 3, n. 11116 del 04/11/1994, imp. Albano in difetto, il mancato assolvimento di un simile onere non rileva ai fini del contraddittorio, pur sempre assicurato dalla rituale effettuazione delle prescritte comunicazioni e notifiche, e dalla facoltà della parte di presentare memorie nel detto termine. Né può essere condiviso l’orientamento della giurisprudenza che ha escluso la suddetta necessità della previa richiesta dell’interessato in riferimento all’impedimento dell’imputato detenuto che abbia comunque manifestato la volontà di comparire all’udienza camerale d’appello di cui all’art. 599 c.p.p., versandosi qui, all’evidenza, in una ipotesi particolare, e specialmente disciplinata, di procedimento camerale, coinvolgente lo status libertatis e l’accertamento della responsabilità dell’imputato. Nel caso di specie, invece, si tratta di un’udienza del giudice dell’esecuzione e B.N. era in detenzione domiciliare ed avrebbe dovuto chiedere al magistrato di sorveglianza l’autorizzazione a potersi recare presso la Corte di appello dell’Aquila a presenziare all’udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione. 2. In ogni caso, non può essere utilizzato lo strumento della pec , per presentare l’istanza al giudice, in difetto di una norma autorizzativa di tipo generale nel procedimento penale. A questo proposito, è opportuno premettere che la posta elettronica certificata PEC è un tipo particolare di posta elettronica, disciplinata dalla legge italiana, che permette di dare a un messaggio di posta elettronica lo stesso valore legale di una raccomandata con avviso di ricevimento tradizionale garantendo così il non ripudio. Anche il contenuto può essere certificato e firmato elettronicamente oppure criptato garantendo, quindi, autenticazione, integrità dei dati e riservatezza. La disciplina normativa è principalmente contenuta nel D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, e nel D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 cosiddetto codice dell’amministrazione digitale . Per quanto riguarda l’Amministrazione giudiziaria, regole diverse valgono nel processo civile ed in quello penale. Nel processo civile, infatti, l’utilizzo della PEC per le notifiche è previsto dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, che ha modificato la L. n. 53 del 1994, introducendo espressamente la PEC quale strumento utile per le notifiche degli avvocati autorizzati. In caso di impossibilità la notifica deve essere effettuata a mezzo fax, come previsto dall’art. 136 c.p.c., comma 3. Già il Decreto ministeriale n. 44/2011 aveva disciplinato con maggiore attenzione l’invio delle comunicazioni e delle notifiche in via telematica dagli uffici giudiziari agli avvocati e agli ausiliari del giudice nel processo civile, in attuazione della L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 51. In tale contesto assume rilevanza la disposizione di cui all’art. 4 che prevede l’adozione di un servizio di posta elettronica certificata da parte del Ministero della Giustizia, in quanto,ai sensi di quanto disposto dalla L. n. 24 del 2010 nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica devono effettuarsi, mediante posta elettronica certificata. Quest’ultima disposizione è stata rinnovata anche dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese , in GU n. 245 del 19-10-2012 - Suppl. Ordinario n. 194 , entrato in vigore il 20/10/2012 e convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 c.d. Decreto crescItalia 2.0 dove all’art. 16 viene sancito, al comma 4, che Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148, comma 2 bis, artt. 149 e 150 c.p.p., e art. 151 c.p.p., comma 2. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria . Alla parte privata, dunque, nel processo penale, non è consentito l’uso di tale mezzo informatico di trasmissione, quale forma di comunicazione e/o notificazione. L’utilizzo della PEC è stato consentito, ma a partire dal 15/12/2014, solo per le notificazioni per via telematica da parte delle cancellerie nei procedimenti penali a persona diversa dall’imputato - a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis – artt. 149 e 150 c.p.p., e art. 151 c.p.p., comma 2, L. n. 228 del 2012 art. 1 comma 19 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, commi 9 e 10 . Allo stato, la forma della notifica via PEC è deputata a sostituire forme derogatorie dell’ordinario regime delle notifiche, ponendosi come alternativa privilegiata rispetto alle comunicazioni telefoniche, telematiche e via telefax attualmente consentite in casi determinati e nei confronti di specifiche categorie di destinatari. Si tratta in particolare a delle comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p. b delle notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall’Autorità giudiziaria giudice o pubblico ministero , con mezzi tecnici idonei , secondo il dettato dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis c degli avvisi e le convocazioni urgenti disposte dal giudice nei confronti di persona diversa dall’imputato, per le quali è stata finora consentita la notifica a mezzo del telefono confermata da telegramma ovvero, in caso di impossibilità, mediante mera comunicazione telegrafica dell’estratto , da eseguirsi ai recapiti corrispondenti ai luoghi di cui all’art. 157, commi 1 e 2, e nei confronti del destinatario o di suo convivente art. 149, c.p.p. d delle notificazioni di altri atti disposte dal giudice sempre nei confronti di persona diversa dall’imputato, mediante l’impiego di mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell’atto art. 150 c.p.p. . Nel caso in esame, l’istanza era stata presentata dal difensore a mezzo PEC. E la giurisprudenza di legittimità Sez. 3, n. 7058 del 13/02/2014, Rv. 258443 e Sez. 2 n. 18235 del 28/01/2015 Rv. 263189 , ha ribadito che alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni e notificazioni nel processo penale mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata. Anche nelle posizioni più permissive nella giurisprudenza della Cassazione, si è affermato che la richiesta di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento del difensore, inviata a mezzo posta elettronica in cancelleria, pur non essendo irricevibile né inammissibile, ma irregolare, comporta l’onere, per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell’omesso esame della sua istanza, di accertarsi del regolare arrivo della mail in cancelleria e della sua tempestiva sottoposizione all’attenzione del giudice procedente Sez. 2, n. 47427 del 18/11/2014, Pigionanti, Rv. 260963 accertamento che nel caso di specie non risulta effettuato, sicché deve presumersi che tale istanza non fosse giunta nemmeno a conoscenza della Corte di appello dell’Aquila la quale, nel provvedimento impugnato, non ne fa menzione. 3. Alla luce di quanto sopra, il ricorso appare manifestamente infondato e, come tale, inammissibile. 4. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma determinata, equamente, in Euro 3.000,00, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. n. 186 del 13/06/2000 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.