Indirizzo del difensore non inserito nel ReGIndE: valida la notifica effettuata mediante deposito in cancelleria

Se la notificazione al difensore dell’imputato non risulta possibile per mancato inserimento da parte del legale dell’indirizzo PEC nel registro generale degli indirizzi elettronici, la comunicazione o la notificazione mediante deposito in cancelleria deve considerarsi regolarmente perfezionata.

Così si è pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 13729/19, depositata il 29 marzo. Il fatto. In un contezioso relativo a violenza sessuale sui minori, in via preliminare la Corte osserva che non è stato possibile notificare via PEC l’avviso di fissazione dell’udienza alla parte civile costituita presso il domicilio del difensore poiché quest’ultimo non ha inserito il proprio indirizzo nel ReGIndE il registro generale degli indirizzi elettronici . Conseguentemente, la notifica è avvenuta con deposito dell’atto in cancelleria. A tal proposito i Giudici ricordano il disposto dell’art. 16 del d.l. n. 179/2012 ai sensi del quale le notificazioni e comunicazioni effettuate verso soggetti obbligati a munirsi di indirizzo PEC, che non hanno comunicato l’indirizzo, sono effettuate mediante deposito in cancelleria. Il principio affermato. In linea con quanto già affermato nel caso di mancata ricezione dell’atto notificato via PEC per saturazione dello spazio disco nella casella di posta, nel caso di specie la Cassazione chiarisce che in tema di notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certifica c.d. PEC , deve considerarsi regolarmente perfezionata la comunicazione o la notificazione mediante deposito in cancelleria, ai sensi dell’art. 16, comma 6, d.l. 16 ottobre 2012, n. 179 nel caso in cui detta notificazione non risulti possibile per mancato inserimento dell’indirizzo PEC nel registro generale degli indirizzi di cui all’art. 7 d. m. 21 febbraio 2011, n. 44 . Sul merito della questione. Invece, in merito ai motivi sollevati dal ricorrente, rigettando il ricorso, la Corte afferma il seguente principio in tema di reati sessuali, non osta al riconoscimento dell’attenuante speciale della minore gravità, di cui all’art. 609- bis , terzo comma, e 609- quater c.p., il compimento di singole condotte illecite in danno a plurime persone offese, né la occasionale e non significativa reiterazione delle condotte nei riguardi dello stesso soggetto passivo, quando la stessa non sia tale da compromettere maggiormente in danno del medesimo l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 novembre 2018 – 29 marzo 2019, n. 13729 Presidente Aceto – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17 gennaio 2018, la Corte d’appello di Catanzaro, decidendo il gravame proposto dall’odierno ricorrente, ha confermato la decisione con cui il medesimo era stato condannato alla pena di anni otto e mesi dieci di reclusione per plurimi reati, commessi in danno di diversi minorenni e riuniti nel vincolo della continuazione, di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenne, oltre che per il delitto di minaccia grave e la contravvenzione di porto ingiustificato di oggetto atto ad offendere. 2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 3. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta vizio di motivazione e violazione dell’art. 499 c.p.p., comma 2, per avere la corte territoriale eluso le doglianze difensive rappresentate nel gravame circa la valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni rese nei verbali di s.i.t. dalle persone offese minorenni - utilizzate in sede di incidente probatorio per le contestazioni - e per non aver rilevato la violazione della citata disposizione processuale, che vieta le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte. Si lamenta, in particolare - allegandosi al ricorso i suddetti verbali di s.i.t. - che il Dott. R. , neuropsichiatra infantile che, quale ausiliario della polizia giudiziaria, ebbe ad escutere i minori nella fase delle indagini preliminari, abbia articolato le domande in forma chiusa , con ciò irrimediabilmente incidendo sulla genuinità delle risposte. Avendo il neuropsichiatra riferito di essere già a conoscenza dei fatti di indagine prima di assumere le s.i.t., le suggestive domande da lui rivolte ai minori contenevano già in sé la risposta. Se tali domande sono vietate nei confronti di chiunque - osserva il ricorrente - a maggior ragione la regola vale, anche alla luce delle cautele previste dall’art. 498 c.p.p., comma 4, laddove si escuta un soggetto minorenne, maggiormente influenzabile, senza che possa valere in contrario la giustificazione data nell’esame dall’ausiliario, e recepita dalla sentenza impugnata, secondo cui si sarebbe trattato di minori adultomorfi . L’impiego, a fini di contestazione, di tali dichiarazioni nell’incidente probatorio avrebbe quindi irrimediabilmente inquinato, rendendola inutilizzabile o quantomeno inattendibile, la prova a carico in tale contesto formatasi, senza che la corte territoriale abbia al proposito soddisfatto quel rigoroso onere di motivazione richiesto dalla giurisprudenza di legittimità. 4. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 609 bis c.p., comma 3, e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di minore gravità sul solo rilievo della ripetitività dei comportamenti, senza considerare che gli stessi erano stati compiuti nei riguardi di soggetti diversi e senza valutare gli elementi favorevoli al proposito addotti nel gravame. 5. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche sul mero rilievo che l’imputato non avrebbe manifestato resipiscenza, condotta osserva il ricorrente - incompatibile con l’esercizio del diritto di difesa, avendo egli contestato la sussistenza dei fatti. 6. Con l’ultimo motivo si lamenta violazione dell’art. 99 c.p. e vizio di motivazione per essere stata applicata - peraltro con aumento eccessivo - la contestata recidiva specifica, reiterata, infraquinquennale pur essendo la stessa fondata su condanne relative a fatti risalenti. Considerato in diritto 1. Va preliminarmente osservato che il ricorso è stato trattato benché non sia stato possibile effettuare a mezzo p.e.c. la notifica dell’avviso di fissazione di udienza alla parte civile costituita, presso il domicilio legale del difensore, essendo detta notifica conseguentemente avvenuta mediante deposito dell’atto in cancelleria. Risulta, infatti, che l’utilizzo della posta elettronica certificata non è stato possibile perché il difensore domiciliatario non è inserito nel c.d. Reglnd, il registro generale degli indirizzo di posta elettronica al quale gli avvocati sono tenuti ad iscriversi a norma del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, art. 7, comma 2, Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, commi 1 e 2, convertito nella L. 22 febbraio 2010 n. 24 . A norma del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, conv., con modiff., in L. 17 dicembre 2012, n. 221, le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario . Con riguardo a tale ultima ipotesi, in un caso in cui il destinatario dell’atto non aveva ricevuto la notifica via pec per saturazione dello spazio disco, questa Corte ha già affermato il principio di diritto secondo cui deve considerarsi regolarmente perfezionata la comunicazione o la notificazione mediante deposito in cancelleria, ai sensi del D.L. 16 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 6, nel caso in cui la mancata consegna del messaggio di PEC sia imputabile al destinatario Sez. 3, n. 54141 del 24/11/2017, Mariani e a., Rv. 271834 . Nella fattispecie in esame deve pertanto affermarsi analogo principio in tema di notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata c. d. pec , deve considerarsi regolarmente perfezionata la comunicazione o la notificazione mediante deposito in cancelleria, ai sensi del D.L. 16 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 6, nel caso in cui detta notificazione non risulti possibile per mancato inserimento dell’indirizzo pec nel registro generale degli indirizzi di cui all’art. 7. 2. Passando all’esame del merito, il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e generico. Va premesso che, in linea generale, in tema di esame testimoniale, la violazione del divieto di porre domande suggestive non dà luogo nè alla sanzione di inutilizzabilità prevista dall’art. 191 c.p.p., nè a quella di nullità, atteso che l’inosservanza delle disposizioni fissate dall’art. 498 c.p.p., comma 1, e art. 499 c.p.p. non determina nè l’assunzione di prove in violazione dei divieti di legge, nè la inosservanza di alcuna delle previsioni dettate dall’art. 178 c.p.p. Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2013, dep. 2014, Rossi, Rv. 259728 Sez. 1, n. 39996 del 14/07/2005, Grancini e aa., Rv. 232941 . Detta violazione rileva soltanto sul piano della valutazione della genuinità della prova, che può risultare compromessa esclusivamente se inficia l’intera dichiarazione e non semplicemente la singola risposta fornita alla domanda suggestiva, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato sulle risposte alle altre domande Sez. 3, n. 4672 del 22/10/2014, dep. 2015, L., Rv. 262468 . Deve poi aggiungersi che il divieto di porre domande suggestive di cui all’art. 499 c.p.p. non si applica alle dichiarazioni rese dalla persona offesa al P.M. durante le indagini preliminari in quanto la norma riguarda il dibattimento e non le indagini preliminari Sez. 3, n. 43837 del 29/10/2008, Garbellini, Rv. 241686 Sez. 3, n. 984 del 05/12/2003, dep. 2004, Menna, Rv. 227679 , sicché non trova applicazione neppure se le s.i.t. siano - come nella specie - acquisite dalla polizia giudiziaria. Quest’ultimo rilievo mostra come la disposizione processuale sulla cui violazione il ricorrente ha articolato il motivo di ricorso non trovi nella specie applicazione. Ciò nondimeno, deve osservarsi come i giudici di merito - con valutazione conforme - abbiano ritenuto che le dichiarazioni rese dai minori erano pienamente attendibili, riscontrandosi reciprocamente e trovando conferma in ulteriori elementi di prova quali il materiale pedopornografico, riguardante gli stessi dichiaranti, rinvenuto in possesso dell’imputato e, come si ricava dalla sentenza di primo grado, nelle stesse ammissioni di quest’ultimo . La motivazione sull’attendibilità delle dichiarazioni, dunque, è esistente e non illogica e l’allegazione dei verbali di s.i.t. al ricorso rivela, peraltro, come nessuna delle domande rivolte ai minori sia propriamente qualificabile come suggestiva , per tale dovendo intendersi quella domanda che contenga in sé la risposta. Rispetto alle numerose domande uguali per tutti rivolte dall’ausiliario ai minori soltanto due sono state formulate in modo improprio la prima potrebbe riferire il tipo di abuso subito compiuto da C.A. , quante volte è accaduto e dove con che modalità lo stesso compiva tali abusi? e quella con cui è stato chiesto lei sapeva che C. avesse precedenti per pedofilia? . Se quest’ultima è irrilevante ai fini della ricostruzione del fatto, la prima, per il suo carattere comunque aperto , non era idonea a viziare la risposta o ad influenzare il narrato dei dichiaranti, i quali, proprio a seguito di tale domanda e nonostante la sua obiettivamente impropria formulazione hanno iniziato un racconto lungo e dettagliato circa i rapporti da ciascuno intrattenuti con l’imputato. Del resto - tenendo anche conto del fatto che tali verbali di s.i.t., secondo quanto riferisce il ricorrente, sono stati utilizzati soltanto per le contestazioni mosse ai minori allorquando gli stessi sono stati escussi in incidente probatorio senza che sulle modalità di conduzione dell’esame in sede di assunzione della prova siano state mosse censure - in ricorso, che sul punto è pertanto irrimediabilmente generico, non si indicano quali dichiarazioni testimoniali, poi utilizzate per la decisione, siano state condizionate dalla contestazione di dichiarazioni acquisite in sede di s.i.t. e viziate per le modalità con cui le domande erano state poste. 3. Il secondo motivo di ricorso non è fondato. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all’art. 609-quater c.p., comma 4, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità Sez. 4, n. 16122 del 12/10/2016, Rv. 269600 , dovendosi per contro escludere che la sola tipologia dell’atto possa essere sufficiente per ravvisare tale attenuante Sez. 3, n. 39445 del 01/07/2014 . Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha rigettato il motivo di gravame sul punto - che faceva riferimento al fatto che si trattasse di condotte non particolarmente invasive e non connotate da atteggiamenti di prevaricazione - osservando che la circostanza attenuante non poteva essere riconosciuta in considerazione della ripetitività dei comportamenti e del numero di soggetti . Tale motivazione, nella sua assolutezza, appare insufficiente e manifestamente illogica rispetto alla stessa descrizione dei fatti operata in imputazione. Ed invero, quanto alla reiterazione della condotte, il Collegio condivide il principio secondo cui, in tema di atti sessuali con minore infraquattordicenne, l’attenuante speciale della minore gravità, di cui all’art. 609 quater c.p., comma 4 - ma lo stesso vale per l’identica circostanza di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, non può essere concessa quando gli abusi in danno della vittima sono stati reiterati nel tempo Sez. 3, n. 42738 del 07/07/2016, M., Rv. 268063 Sez. 4, n. 16122 del 12/10/2016, L., Rv. 269600 Sez. 3, n. 21458 del 29/01/2015, T., Rv. 263749 Sez. 3, n. 24250 del 13/05/2010, D. e aa., Rv. 247286 . La conclusione, tuttavia, poggia sul rilievo secondo cui, in tali casi, il fatto non può ritenersi di minore gravità perché la reiterazione degli abusi nel tempo approfondisce il tipo di illecito e compromette maggiormente l’interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 2016, D., Rv. 266272 . Tale essendo la ratio decidendi - anche valutando le concrete situazioni oggetto delle vicende giudicate nei procedimenti in cui il principio è stato affermato - si comprende, quindi, come, da un lato, occorra una reiterazione che appaia significativa nel senso indicato sicché, ad es., tale potrebbe non essere ritenuta la ripetizione dell’atto illecito per una o pochissime volte e, soprattutto, che la reiterazione del reato incide sulla gravità del fatto soltanto quando sia commessa nei confronti del medesimo soggetto passivo. Nel caso di specie, essendo stato ritenuto più grave il reato di cui al capo A di imputazione, osserva il Collegio come il medesimo abbia ad oggettà due singoli episodi di atti sessuali con minori di anni quattordici, l’uno commesso in danno di U.G. concretizzatosi nell’avergli sfiorato il costume da bagno all’altezza dei genitali e l’altro nei confronti di G.A. indotto a spogliarsi e mostrare il pene all’imputato, con successivo incitamento di altro minore, tuttavia ultraquattordicenne, S.N. , a colpire con un pugno i testicoli del giovane G. . Nessun’altra condotta di carattere sessuale viene contestata, al capo B , in danno di U.G. e G.A. . Quanto a S.N. - il quale non è persona offesa del reato di cui al capo A , come specifica la sentenza di primo grado e la ragione è evidente, trattandosi di soggetto che al momento dei fatti aveva compiuto quattordici anni - il medesimo viene indicato come soggetto passivo del reato di violenza sessuale contestato al capo B per essere stato vittima, in un’occasione di palpeggiamento dei genitali nel corso di un bagno in mare e, in un’altra occasione, di toccamenti al petto anche sotto la maglietta ed all’altezza dei genitali sopra i vestiti mentre l’imputato lo faceva guidare la propria auto. Tali ultime condotte - correttamente considerate violente, perché repentine - sono state effettuate nei confronti di altri quattro minorenni di età superiore ai quattordici anni, con fatti verificatesi in una sola occasione nei confronti di taluno ed al massimo in due occasioni nei confronti di altri. In una tale situazione, reputa il Collegio che il mero - e non altrimenti motivato - richiamo della giurisprudenza più sopra indicata circa la non compatibilità della diminuente della minore gravità del fatto con la reiterazione della condotte non valga, da sola, a logicamente giustificare la reiezione del motivo d’appello rassegnato sul punto, essendo al proposito formulabile il seguente principio di diritto in tema di reati sessuali, non osta al riconoscimento dell’attenuante speciale della minore gravità, di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, e art. 609 quater c.p., comma 4, il compimento di singole condotte illecite in danno di plurime persone offese, nè la occasionale e non significativa reiterazione delle condotte nei riguardi dello stesso soggetto passivo, quando la stessa non sia tale da compromettere maggiormente in danno del medesimo l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice. 3.1. Benché l’unica argomentazione spesa dalla Corte territoriale per respingere il motivo d’appello proposto sul punto non sia dunque sufficiente, deve osservarsi come la sentenza impugnata - che ha integralmente condiviso le valutazioni effettuate dal tribunale - si saldi con quella di primo grado, trattandosi, appunto, di una c.d. doppia conforme . Il primo giudice aveva negato la circostanza attenuante del fatto di minore gravità - oltre che per il medesimo motivo sopra esaminato, di per sé non dirimente - per la negativa valutazione, in termini di gravità della condotta, dei mezzi e delle modalità esecutive con cui l’imputato ha commesso le azioni delittuose a lui ascritte, vale a dire la predisposizione di espedienti di vario tipo con i quali lo stesso mirava a carpire la fiducia o, quantomeno, ad assicurarsi la costante frequentazione dei minori sentenza di primo grado pag. 12 . Sul piano processuale, deve rilevarsi come il cennato principio dell’integrazione delle argomentazioni contenute nelle sentenze di merito sia in particolare valido quando la motivazione del primo giudice è autosufficiente rispetto alle censure che le sono mosse con i motivi di gravame, risolvendosi questi ultimi nella mera riproposizione di questioni già esaurientemente valutate e decise, senza che venga richiesto un concreto vaglio critico sulla ratio decidendi della sentenza impugnata. Nel caso di specie v. dichiarazione d’appello, pag. 18 , l’odierno ricorrente non si era in alcun modo confrontato con le ragioni della sentenza appellata e, in particolare, con quella appena descritta, limitandosi a rilevare che la circostanza attenuante si giustificava per essere la condotta non invasiva e non connotata da atteggiamenti di prevaricazione ed in relazione al fatto che i minori avevano riferito di essere andati in auto con l’imputato anche dopo che questi aveva manifestano le sue intenzioni. Essendo tale ultima affermazione non conferente rispetto alla valutazione in esame, per il resto si trattava di una generica doglianza a fronte della quale non può in questa sede lamentarsi un vizio di motivazione, posto che, rispetto ad una motivata decisione del giudice di prime cure, l’appellante non può limitarsi a riproporre al giudice d’appello, puramente e semplicemente, le istanze disattese, senza specificamente dolersi delle ragioni spese nella sentenza impugnata o senza prospettare nuovi profili di valutazione laddove si limiti a questo, ben può la Corte d’appello limitarsi, a sua volta, a condividere la soluzione adottata che integralmente condivida senza obbligo di aggiungere ulteriori motivazioni cfr. Sez. 3, n. 27416 del 01/04/2014, Rv. 259666 . In tali casi, di fatti, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615 . Sul piano sostanziale, reputa il Collegio che il concorde giudizio dato in primo e secondo grado sia giuridicamente corretto e logicamente motivato con riguardo alla gravità delle modalità della condotta poste in essere dall’imputato, il quale - hanno accertato i giudici di merito - adescava ragazzini di 14/15 anni allettandoli con la promessa di far loro guidare la macchina o la moto e offrendo merendine, coca-cola, birre e sigarette o regalando ricariche telefoniche in tal modo cercava di guadagnarsi la loro amicizia per affrontare discorsi a sfondo sessuale e avere con i minori un contatto fisico spesso si intratteneva con i minori in zone isolate con la scusa di far loro guidare la macchina, li sollecitava a non portare il cellulare durante i loro incontri, arrabbiandosi quando i ragazzi ricevevano telefonate dai genitori mentre erano in sua compagnia e cercava di sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine quando si trovava con i ragazzi minorenni sent. tribunale, pag. 5 . A questa Corte sono precluse la rilettura degli elementi di fatto - peraltro non contestati - posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti stessi Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 , sicché la doglianza circa il mancato riconoscimento della circostanza attenuante speciale non può essere accolta. 4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. Va innanzitutto ricordato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826 Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 . In secondo luogo, osserva il Collegio che, in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315 , sicché quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, Piliero, Rv. 266460 . Nel caso di specie, l’appellante aveva lamentato la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche da parte del giudice di primo grado indicando quale unico motivo l’assolutamente generico scopo di individualizzare una sanzione adeguata al caso concreto . Neppure in ricorso si sottolineano specifici elementi favorevoli di giudizio, sicché la motivazione della sentenza impugnata - che si limitata appunto a rilevare l’assenza di ragioni per la concessione delle circostanze attenuanti generiche - non è in alcun modo censurabile, ed il rilievo aggiuntivo circa il fatto che l’imputato non abbia mostrato resipiscenza vale non già a far ritenere che, secondo il giudice d’appello, ciò fosse necessario per l’accoglimento dell’istanza, quanto, piuttosto, a rilevare come la condotta processuale non potesse essere ritenuta meritevole di positiva valutazione nemmeno su quel piano. Che una sincera, e non utilitaristica, manifestazià ne di rincrescimento per le condotte illecite tenute sia, ex art. 133 c.p., comma 2, motivo per concedere le circostanze attenuati generiche è valutazione logica secondo un diffuso convincimento cfr. Sez. 1, n. 35703 del 05/04/2017, Lucaioli e a., Rv. 271454 Sez. 6, n. 11732 del 27/01/2012, Di Lauro e aa., Rv. 252229 ed in questo senso va interpretato l’accenno contenuto nella sentenza impugnata, non essendo invece corretto ricavarne - come fa il ricorrente - un elemento di valutazione ritenuto ostativo alla concessione pur in presenza di altri favorevoli indici di giudizio. La Corte territoriale, dunque, non ha violato il principio - condiviso dal Collegio - secondo cui, in tema di circostanze attenuanti generiche, mentre la confessione dell’imputato, tanto più se spontanea e indicativa di uno stato di resipiscenza, può essere valutata come elemento favorevole, ai fini della concessione del predetto beneficio, per contro la protesta d’innocenza, pur di fronte all’evidenza delle prove di colpevolezza, non può essere assunta, da sola, come elemento decisivo sfavorevole alla concessione stessa, non esistendo nel vigente ordinamento un principio giuridico per cui le attenuanti generiche debbano essere negate all’imputato che non confessi di aver commesso il fatto, quale che sia l’efficacia delle prove di reità Sez. 3, n. 50565 del 29/10/2015, Rossi, Rv. 265592 . 5. È inammissibile anche l’ultimo motivo di ricorso. Contrariamente a quanto allega il ricorrente, la Corte territoriale non ha affatto riconosciuto che le precedenti condanne riportate dall’imputato e che integrano gli estremi per la contestata, e ritenuta, recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale fossero risalenti nel tempo. Piuttosto, la sentenza impugnata riepiloga tutte le precedenti, numerose, condanne - indicando l’anno del passaggio in giudicato ed il reato ritenuto l’ultima sentenza è del 2014, anno precedente alla commissione dei fatti oggetto di processo, per detenzione di materiale pedopornografico - per poi logicamente concludere per la sussistenza di una maggiore pericolosità sociale dell’imputato anche sul rilievo che la tipologia dei reati commessi atti di libidine violenta, atti osceni, corruzione di minorenni, ratto di persona minore degli anni 14, minacce, lesioni personali, detenzione di materiale pedopornografico, violenza sessuale, violenza sessuale tentata continuata, porto d’armi denotasse la sicura propensione del C. alla commissione di reati della specie di quelli sub iudice, ciò che giustificava il concreto aumento di pena praticato dal tribunale per la recidiva. La motivazione, dunque, è esistente, fondata su presupposti non contestati e non illogica essa sfugge, pertanto, al controllo in sede di legittimità, posto che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 263464 Sez. 6, n. 14550 del 15/03/2011, Bouzid Omar, Rv. 250039 . 6. Con particolare riguardo al secondo motivo di ricorso, in conclusione, lo stesso è complessivamente infondato e va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.