Maltrattamenti in famiglia alla presenza del minore: reato non ostativo alla sospensione dell’esecuzione

In tema di maltrattamenti in famiglia non vi è continuità normativa tra l’aggravante di aver commesso il fatto in danno di un minore e l’aggravante comune di aver commesso il fatto alla presenza di un minore che è fattispecie più severa, dunque inapplicabile retroattivamente in caso di maltrattamento commesso alla presenza del minore, dunque, è possibile sospendere l’esecuzione della pena.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12653/19, depositata il 21 marzo. Il caso. Nei confronti di un uomo che aveva patteggiato una pena per maltrattamenti in famiglia commessi in danno della moglie e alla presenza del figlio minore veniva emesso l’ordine di esecuzione per la carcerazione. L’interessato aveva proposto istanza diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità dell’ordine di carcerazione senza contestuale decreto di sospensione, ma il giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza. La disposizione processuale che disciplina l’esecuzione delle pene prevede la possibilità di sospensione dell’ordine di esecuzione, salvo che per una serie di reati tassativamente individuati mediante il rinvio alle fattispecie incriminatrici. Tra queste rientra il reato di maltrattamento in famiglia aggravato per essere stato commesso in danno di minore di anni 14. Sulla base di una erronea interpretazione, il giudice dell’esecuzione ha rigettato l’incidente di esecuzione proposto dal condannato che è stato costretto a ricorrere in cassazione. Il punto di vista del giudice dell’esecuzione c’è continuità normativa. Il giudice dell’esecuzione rilevava che tra il reato di maltrattamenti in famiglia aggravato”, indicato dall’elenco di cui alla disposizione processuale come ostativo alla sospensione dell’ordine di esecuzione e l’attuale formulazione dell’ipotesi aggravata sulla base di una circostanza comune dell’aver commesso il reato di maltrattamenti in famiglia o altri indicati in presenza o in danno” di un minore degli anni 18, vi sia continuità normativa limitatamente alle ipotesi del fatto commesso in danno o alla presenza di minore degli anni 14. Secondo il giudice, poiché il fatto contestato si collocava nel periodo in cui il figlio era infraquattordicenne, si integrava la forma aggravata oggetto del rinvio mobile formulato dalla disposizione processuale, dunque fattispecie ostativa alla sospensione dell’ordine di esecuzione. Cosa si intende per continuità normativa nelle fattispecie in esame. La Corte di Cassazione in primis chiarisce che la continuità normativa tra l’originaria forma aggravata del reato di maltrattamenti in famiglia aggravato e contemplato come ostativo alla sospensione dell’esecuzione e quella introdotta dalla combinazione tra la fattispecie incriminatrice e la nuova circostanza aggravante di cui si è detto, deve intendersi limitata alle condotte commesse in danno dei minori di anni 14, perché è questa la fascia di età comune ad entrambe le aggravanti. Non rientrano, invece, nell’originaria previsione né possono intendersi richiamate le ulteriori forme di aggravamento della condotta introdotte nel corpo della disposizione sulle aggravanti comuni, perché si tratta, in sostanza, di nuove ipotesi di responsabilità aggravata alla presenza” , che sono dunque soggette ai principi di tassatività e di irretroattività della legge penale. Rinvio mobile o formale. La Suprema Corte precisa che il rinvio a determinati titoli di reato ostativi alla concessione dei benefici esecutivi, contenuto nella disposizione processuale, ha natura mobile” o formale”. Lo scopo della disposizione processuale è di prescindere dalla formulazione linguistica delle fattispecie incriminatrici, così da poterne incorporare le evoluzioni. La tecnica legislativa del rinvio mobile o formale, si è affermato, è quella più coerente con il carattere permanente del potere del legislatore di compiere mutevoli scelte punitive. Ma il rinvio deve coordinarsi con il principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli è allora il ricorso al criterio di continuità normativa che consente di espungere da un generalizzato rinvio le disposizioni che non si pongono in linea di continuità con le norme non più vigenti ma che costituiscono un novum legislativo. L’ordinanza è da annullare con rinvio. Il provvedimento impugnato ha cercato di assimilare situazioni diverse per forzare la portata della continuità normativa. Tra fattispecie in danno e alla presenza del minore non c’è parificazione. La Corte ha censurato l’interpretazione fatta dal giudice dell’esecuzione secondo cui poteva essere parificato il maltrattamento compiuto in danno del minore e quello alla presenza dello stesso si tratta infatti di situazioni ontologicamente diverse, tant’è che sono previste in modo distinto e alternativo. Vero è che l’intenzione del legislatore, nel formulare la nuova aggravante, risponde alla ratio di maggiore rigore punitivo per contrastare condotte ritenute di particolare disvalore alla stregua della acuita sensibilità sociale per fenomeni di violenza all’interno delle mura domestiche. Ma altrettanto vero è che se questa è la chiara intenzione del legislatore, siamo di fronte ad una norma peggiorativa che dunque potrà trovare applicazione soltanto per fatti successivi alla sua entrata in vigore. In definitiva l’aggravante di aver commesso il fatto alla presenza di minore non combacia con l’aggravante ostativa richiamata dalla norma processuale, dunque non costituisce un limite alla sospensione dell’esecuzione. La Corte aggiunge che l’equivalenza formulata dal giudice dell’esecuzione è errata, salvo che la materialità del reato si sostanzi nell’infliggere al minore un danno diretto derivante dall’assistere ad atti di violenza nei confronti di altri familiari o conviventi c.d. violenza assistita . Nel provvedimento impugnato, però, il giudice dell’esecuzione ha traslato il concetto nell’ambito dell’elemento circostanziale, ravvisando una continuità normativa che non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 24 gennaio – 21 marzo 2019, n. 12653 Presidente Iasillo – Relatore Liuni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 30/5/2018 del giudice dell’esecuzione del Tribunale di Oristano, è stata rigettata l’istanza proposta nell’interesse di S.R. , diretta alla declaratoria di illegittimità dell’ordine di esecuzione per la carcerazione emesso - senza contestuale decreto di sospensione - dal Pubblico ministero in sede in relazione alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione riportata dal condannato per il reato di cui all’art. 572, aggravato ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11, con specificazione testuale che tale aggravante deve intendersi quella ex art. 61 c.p., n. 11 quinquies. Il Giudice dell’esecuzione ha rilevato che tra il reato di maltrattamenti in famiglia, come indicato nell’elenco dei titoli ostativi di cui all’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a - art. 572 c.p., comma 2, - e l’attuale formulazione dell’ipotesi aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11 quinquies, introdotta con L. 15 ottobre 2013, n. 119, esiste continuità normativa, limitatamente alle ipotesi di fatto commesso in danno o alla presenza di minore infra-quattordicenne. Nel caso in esame, a tenore della contestazione di reato, il segmento di condotta tenuta dal S. dal 2012 al 22/4/2016 si collocava nel periodo in cui il figlio del medesimo non aveva ancora compiuto i quattordici anni, e pertanto integrava la forma di reato aggravata nei termini da risultare oggetto del rinvio mobile o formale che deve riconoscersi all’elenco dei titoli ostativi contenuto nella citata disposizione esecutiva. Pertanto, il GE ha rigettato l’incidente di esecuzione proposto dal condannato. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del S. , avv. Pier Luigi Meloni, censurando - ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e - l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a , in rapporto all’art. 572 c.p., quanto all’abrogata forma aggravata, nonché a quella introdotta con l’art. 61 c.p., n. 11 quinquies, per contrasto con l’art. 25 Cost., art. 2 c.p., artt. 12 e 14 preleggi. Si censura inoltre la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 656 c.p.p., commi 1, 5 e 9. 2.1 Il ricorrente denuncia che l’impugnata ordinanza abbia erroneamente ritenuto esservi continuità normativa tra due aggravanti di cui la prima, Ora abrogata, era circoscritta alla commissione del fatto in danno di persona minore degli anni quattordici, mentre quella di recente introduzione ricomprende anche le condotte alla presenza, oltre che in danno, di un minore di anni diciotto. Pertanto, nel caso di specie non si registra alcuna continuità normativa, essendo stata la condotta dell’imputato diretta contro la moglie, sia pure alla presenza del figlio infraquattordicenne. Questo profilo non era contemplato nella precedente formulazione dell’art. 572 c.p., comma 2, e non può nemmeno ricavarsi dall’esegesi giurisprudenziale, cui pure si è riferita la motivazione dell’impugnata ordinanza. Invero, non può sussistere continuità normativa tra disposizioni susseguitesi nel tempo, che prevedono fattispecie differenti, pena la violazione del principio di legalità sancito dall’art. 25 Cost., del principio di irretroattività ex art. 2 c.p., e del divieto di interpretazione analogica in materia penale, previsto dagli artt. 12 e 14 preleggi. 2.2 I secondo profilo di censura riguarda il dato, messo in risalto dal S. , che nessuna aggravante risulta applicata nella sentenza ex art. 444 c.p.p. della cui esecuzione trattasi, in quanto non vi è traccia della considerazione dell’aggravante in parola, nè nel corpo della motivazione nè nel dispositivo della citata sentenza. A detta del ricorrente, il giudice dell’esecuzione sarebbe incorso nel vizio di illogicità della motivazione nello sforzo di fare scaturire dal silenzio del giudice di cognizione la considerazione dell’aggravante per il sol fatto che la quantificazione della pena non sia partita dal minimo edittale e che il giudice abbia escluso la contestata recidiva. Anzi, proprio l’espressa esclusione della recidiva rende ragione del fatto che il giudice abbia completamente tralasciato l’aggravante ex art. 61 c.p., n. 11 quinquies inoltre la pena concordata di anni due e mesi sei di reclusione, poi ridotta per il rito, viene espressamente definita pena base senza alcuna specificazione dell’operatività di circostanze. 3. Il Procuratore generale, Dott. Ciro Angelillis, ha depositato requisitoria scritta, nella quale chiede l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve trovare accoglimento nei termini che seguono. 1.1 La continuità normativa tra l’originaria forma aggravata del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p., comma 2, e quella introdotta con l’art. 61 c.p., n. 11 quinquies deve intendersi limitata alle condotte commesse in danno dei minori di anni 14, unico terreno comune ad entrambe le aggravanti. Invece, non rientrano nell’originaria previsione nè possono ritenersi richiamate in forma mobile o formale, ai fini di cui all’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a , le ulteriori forme di aggravamento della condotta introdotte con l’art. 61 c.p., n. 11 quinquies, trattandosi di nuove ipotesi di responsabilità aggravata, quindi soggette ai principi di tassatività e di irretroattività della legge penale. 1.2 Tale lettura discende dalla interpretazione letterale e sistematica delle due disposizioni a raffronto, nonché dalla natura mobile o formale del rinvio che opera l’art. 656 c.p.p., comma 9 lett. a a determinati titoli di reato, ostativi alla concessione dei benefici esecutivi. Che si tratti di un rinvio di tale natura, è un dato acquisito da condivisa giurisprudenza di legittimità vedi da ultimo Sez. 1, n. 52181 del 08/11/2016, Rv. 268352 - 01, Brandi, in cui si esplicita la natura mobile del rinvio contenuto nell’art. 656 c.p.p., comma 9, all’art. 572 c.p., comma 2, in quanto conforme allo scopo della disposizione processuale in esame che, richiamando talune fattispecie incriminatrici, prescinde dalla formulazione linguistica delle stesse e consente alla norma richiamante di incorporarne le evoluzioni. Una simile conclusione, non solo è pienamente coerente con il criterio dell’interpretazione letterale di cui all’art. 12 preleggi , ma nel settore penale è la tecnica del rinvio mobile o formale quella che appare più coerente con il carattere permanente del potere del legislatore di compiere le scelte punitive sez. 1, 28 gennaio 2005, n. 6775 . Va precisato che in ogni caso il rinvio deve contemperarsi con il basilare principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli, ed in tal senso soccorre il criterio di continuità normativa, onde espungere da un generalizzato rinvio le disposizioni che per l’appunto non si pongono in linea di continuità con le norme non più vigenti, ma che costituiscono una novità legislativa. 2. La motivazione dell’impugnata ordinanza non ha fatto buon governo degli indicati principi, cercando da un lato di assimilare situazioni diverse per forzare la portata della continuità normativa, e dall’altro individuando sponde per questa costruzione in pronunce di legittimità che in effetti recavano insegnamenti di differente lettura. Sotto il primo profilo, e ponendo l’accento sull’interpretazione della legge secondo i canoni dettati dagli artt. 12 e 14 preleggi, che indirizzano ad attribuire alla norma il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, non può accedersi all’interpretazione che parifica la fattispecie aggravata in danno del minore con quella alla presenza del minore, poiché trattasi all’evidenza di situazioni ontologicamente diverse, e tale dualità è insita nella stessa necessità di prevederle distintamente, nonché in modo alternativo grazie alla congiunzione o , pur nel contesto della medesima aggravante invero l’art. 61, n. 11-quinquies sancisce l’aggravamento di pena per chi abbia commesso il fatto in presenza o in danno di un minore degli anni diciotto. Quanto all’altro criterio, pure dettato dal citato art. 12 preleggi, che impone di considerare nell’operazione ermeneutica l’intenzione del legislatore, la nuova aggravante, si è detto, risponde ad una ratio di maggior rigore punitivo per contrastare condotte ritenute di particolare disvalore alla stregua della acuita sensibilità sociale per i fenomeni di violenza all’interno delle mura domestiche. Orbene, se questa è la chiara intenzione del legislatore, è evidente che l’introduzione della nuova aggravante, sviluppata in tale maggiore portata, costituisce una norma peggiorativa che quindi deve trovare applicazione soltanto per i fatti successivi alla sua introduzione, a tenore dell’art. 2 c.p. e in primis dell’art. 25 Cost., comma 2, Sez. 6, sentenza n. 22530 del 18/3/2015 . 2.2 L’aggravante di avere commesso il fatto alla presenza di minore non combacia con la forma aggravata del reato ex art. 570 c.p. indicata nell’elenco dei reati ostativi di cui all’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a , e pertanto non costituisce limite alla sospensione dell’esecuzione prevista al comma 5 della citata disposizione. Nè può concordarsi con la lettura del giudice dell’esecuzione, secondo il quale la commissione del reato alla presenza del minore equivale alla commissione in danno del medesimo. O meglio, tale impostazione ben può ritenersi legittima quando la materialità stessa del reato si sostanzia nell’infliggere al minore un danno diretto, derivante proprio dall’assistere agli atti di violenza nei confronti di altri familiari o conviventi, e così parlandosi di violenza assistita in tali termini, Sez. 6, Sentenza n. 18833 del 23/02/2018, Rv. 272985 - 01 Il delitto di maltrattamenti è configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all’interno delle mura domestiche c.d. violenza assistita , sempre che sia stata accertata l’abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi. . Ma nell’impugnata ordinanza il giudice dell’esecuzione ha traslato il concetto nell’ambito dell’elemento circostanziale, onde ravvisare la continuità normativa anche laddove non vi può essere, per le ragioni sopra esplicitate. 3. Anche il secondo motivo di impugnazione risulta fondato. Il giudice dell’esecuzione ha ritenuto che l’aggravante - se pure non espressamente citata nella motivazione, nè richiamata nel dispositivo della sentenza in data 1/12/2017 - sia stata applicata nel conteggio della pena, poiché la sanzione è stata fissata al di sopra del minimo edittale ed inoltre è stata esclusa la contestata recidiva. 3.2 Tali argomentazioni sono inconferenti e peraltro smentite per tabulas, considerato che la sentenza, sia nel paragrafo conclusioni che nel corpo motivazionale definisce la pena di anni due e mesi 6 di reclusione come pena base inoltre l’espressa esclusione della recidiva a fronte del silenzio serbato sulla circostanza aggravante pure contestata, non autorizza a ritenere quest’ultima come applicata, quanto piuttosto conduce a ritenerla implicitamente esclusa, data l’assenza di riflessi sulla determinazione del trattamento sanzionatorio. 4. Conclusivamente, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al giudice dell’esecuzione perché proceda a nuovo esame attenendosi ai principi sopra enunciati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Oristano.