Il giudice può sospendere il procedimento se sospetta che le dichiarazioni dell’imputato siano inattendibili

La ratio della sospensione del procedimento di cui all’art. 371-bis c.p. è quella di garantire la genuinità delle dichiarazioni rese in fase di indagine. Dunque, allorquando il giudice sospetti che il soggetto possa rendere dichiarazioni compiacenti verso le intimidazioni del PM, può disporre detta sospensione in qualsiasi momento in cui si rilevi necessaria.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10908/19, depositata il 12 marzo. Fatti. Il Tribunale di Brescia disponeva la sospensione del procedimento, con il quale era stato citato l’imputato per aver reso false informazioni al PM, ai sensi dell’art. 371 -bis , comma 2, c.p. fino alla pronuncia della sentenza di primo grado nei confronti dei terzi soggetti imputati. Il difensore dell’imputato propone ricorso in Cassazione per abnormità sostenendo che il Tribunale avrebbe esercitato un potere che spetta al PM . In particolare il difensore sostiene che la sospensione di cui all’art. 371 -bis c.p., realizzando una stasi del procedimento, dovrebbe essere esercitata nella fase del procedimento antecedente l’esercizio dell’azione penale. Inattendibilità. Sul punto, gli Ermellini ricordano che la Corte Costituzionale, attraverso la sentenza n. 61/1998, affermava che la ratio della disciplina di cui all’art. 371 -bis c.p. è ravvisabile nell’esigenza di garantire la libertà morale e di autodeterminazione della persona indagata per il reato di false informazioni da forme di condizionamento psicologico esercitabili dal Pubblico ministero nel momento in cui nel procedimento penale l’organo dell’accusa è processualmente” interessato alla formazione della prova . Detta sospensione, dunque, è volta a impedire che la genuinità delle dichiarazioni in fase di indagine possa essere condizionata dalla soggezione psicologica del soggetto sentito fuori dal contradditorio . Nella specie, la decisone adottata nel corso del procedimento in cui è stata resa la dichiarazione non fa di per sé stato nel procedimento ex art. 371 -bis c.p. , potendo, di conseguenza, il giudice disporre la sospensione del procedimento in qualsiasi momento, quindi anche nel corso del dibattimento, in cui si rilevi l’inattendibilità della dichiarazione che si pone come pregiudiziale per la decisione, inattendibilità che, non rappresentando di per sé un’adeguata prova del mendacio , potrebbe derivare da pressioni esercitate dal PM. In conclusione, escludendo che la sospensione del procedimento in esame rappresenti una mancanza, sia pure temporanea, di una condizione dell’esercizio dell’azione penale , e dunque non rappresenta una questione di pregiudizialità sostanziale , la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 dicembre 2018 – 12 marzo 2019, n. 10908 Presidente Petitti - Relatore Di Stefano Ritenuto in fatto T.D. è stato citato a giudizio innanzi al Tribunale di Brescia per il reato di false informazioni al pubblico ministero unitamente ai soggetti, imputati di reati in materia di rifiuti, in favore dei quali avrebbe dichiarato il falso. In occasione della prima udienza dell’11 maggio 2018, su specifica eccezione del difensore, il Tribunale disponeva lo stralcio della posizione di T. e sospendeva il procedimento ai sensi dell’art. 371 bis c.p., comma 2, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado nei confronti degli altri due imputati. Contro tale decisione il difensore ha proposto ricorso per abnormità ritenendo che sia stato esercitato dal giudice un potere che spetta al pubblico ministero, dovendo essere esercitato nella fase del procedimento antecedente l’esercizio dell’azione penale e che, comunque, si realizzi una stasi del procedimento. Svolge anche osservazioni sulle conseguenze anomale di una sospensione disposta dal Tribunale. Chiede quindi che venga ordinato al Tribunale di trasmettere gli atti al pubblico ministero. Il procuratore generale con requisitoria scritta ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso in quanto è stato adottato un provvedimento pienamente corrispondente alla norma invocata secondo la quale non vi è alcuna ragione di limitazione alla fase precedente l’esercizio dell’azione penale. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Secondo il ricorrente, la previsione di cui all’art. 371 bis c.p., comma 2, secondo la quale Ferma l’immediata procedibilità nel caso di rifiuto di informazioni, il procedimento penale, negli altri casi, resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere va letta nel senso che tale sospensione vada disposta necessariamente in fase di indagini, su iniziativa esclusiva del PM, individuando peraltro delle conseguenze negative sulla regolarità del processo laddove tale sospensione risulti disposta in una fase successiva. Tale interpretazione non è condivisibile per cui né l’atto in questione ha le caratteristiche di abnormità che ne consentirebbero l’impugnazione non prevista in via ordinaria né, comunque, è irregolare. La ratio della disposizione dimostra come il condizionamento logico dell’un procedimento quello in cui fu resa la dichiarazione rispetto all’altro quello che consegue alla falsa dichiarazione non possa ritenersi una pregiudizialità in senso tecnico. Innanzitutto lo esclude la stessa limitazione della sospensione del procedimento ex art. 371 bis c.p., che opera solo per una parte dell’ambito delle condotte sanzionate dalla disposizione. Non opera, difatti, per il caso del rifiuto di riferire informazioni, per il quale la procedibilità è immediata. Poi lo esclude il fatto che una simile regola non opera per il reato di falsa testimonianza che, mutatis mutandis , è certamente simile sotto il profilo della pregiudizialità logica rispetto al processo in cui è resa. La diversa ratio della disposizione, invece, è ben chiarita dalla Corte Costituzionale la quale, con sentenza 61/1998 affermò che la ratio della disciplina è ravvisabile nell’esigenza di garantire la libertà morale e di autodeterminazione della persona indagata per il reato di false informazioni da forme di condizionamento psicologico esercitabili dal pubblico ministero nel momento in cui nel procedimento principale l’organo dell’accusa è processualmente interessato alla formazione della prova . La norma incriminatrice, difatti, era stata introdotta dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356, che colmava la lacuna della sostanziale impunità di chi rendeva false o reticenti dichiarazioni al PM. La successiva L. n. 332 del 1995, introduceva la regola della sospensione del procedimento oltre ad una diminuzione del limite di pena tale da impedire l’arresto in flagranza per la chiara finalità di impedire che la genuinità delle dichiarazioni in fase di indagine possa essere condizionata dalla soggezione psicologica del soggetto sentito fuori del contraddittorio. L’individuazione della ratio della norma, quindi, fa comprendere la ragione della diversa disciplina per il rifiuto non vi è dubbio tra vera/falsa dichiarazione e, anzi, vi è certezza della reticenza e per la falsa testimonianza che interviene nel processo, davanti al giudice ed in contraddittorio. Quindi la sospensione non trova ragione in una regola di pregiudizialità sostanziale né la sua disciplina è equiparata alle pregiudiziali obbligatorie ex art. 3 c.p.p. o facoltative questioni civili od amministrative, art. 479 c.p.p. quanto alla decisione. Del resto, la decisione adottata nel corso del procedimento nel quale fu resa la dichiarazione ritenuta falsa non fa di per sé stato nel procedimento ex art. 371 bis c.p., se non secondo la regola generale desumibile dall’art. 630 c.p.p., in tema di revisione ex art. 630 c.p.p., lett. a , che intende evitare che vi possano essere accertamenti inconciliabili dello stesso fatto nel caso del reato in questione, ad esempio, ben può la sentenza nel processo principale ritenere inattendibile la dichiarazione resa al pm se utilizzata per le contestazioni o quale prova nel giudizio abbreviato ed il giudice del processo ex art. 371 bis c.p., ritenere che la inattendibilità non rappresenti di per sé un’adeguata prova del mendacio. Inoltre è anche possibile che tale sentenza o archiviazione etc. non accerti alcunché sull’oggetto della dichiarazione che si ritiene falsa. Poste queste premesse si può rispondere in termini negativi alla questione posta dal ricorrente secondo il quale la sospensione del procedimento va disposta nel corso delle indagini e, se invece intervenga successivamente, va disposta la regressione del procedimento, affermazione che equivale a dire che vi sia preclusione all’esercizio dell’azione penale. - Si deve confermare la interpretazione secondo cui è escluso che questa sospensione rappresenti una mancanza, sia pure temporanea, di una condizione di esercizio dell’azione penale per cui non è questa una possibile ragione perché debba collocarsi necessariamente nella fase delle indagini ovvero prima dell’esercizio dell’azione penale. Una tale condizione non è del resto una regola neanche nel caso della pregiudizialità sostanziale, come si rileva nell’art. 3 c.p.p., che, per le questioni che siano pregiudiziali per la decisione, prevede una sospensione da disporre in qualsiasi momento in cui si rileva tale questione, quindi anche nel corso del dibattimento. - La regola, per la sua ratio sopra ricostruita, è mirata all’effetto sostanziale della non decisione, per cui non si richiede il rispetto di un determinato momento per la sospensione, purché non inizi il dibattimento. - Non è rilevante che la disposizione usi il termine procedimento . Nel contesto della disposizione citata, il termine è utilizzato quale espressione generale e non per individuare un momento diverso da quello del processo . Il dato è chiaro all’interno della stessa norma che definisce procedimento anche quello destinato a concludersi con la sentenza di primo grado, venendo quindi utilizzato con il significato di processo . Questo smentisce l’argomento testuale sostenuto dalla difesa. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.