Condannato per rapina impropria consumata per la sottrazione di due flaconi di shampoo dallo scaffale del supermercato

La rapina impropria si configura nel caso in cui l’agente usi violenza sulla cosa, anche dopo l’apprensione della stessa, senza comunuqe conseguirne l'autonoma disponibilità. L’impossessamento costituisce infatti un elemento richiesto per la configurabilità della rapina propria.

Questi i principi ribaditi dalla Suprema Corte con la sentenza n. 10214/19, depositata l’8 marzo. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze confermava la condanna di prime cure per un imputato accusato di rapina impropria e lesioni aggravate. Il difensore ha proposto ricorso per cassazione deducendo inosservanza dell’art. 56 c.p., per non aver la Corte qualificato il fatto come tentata rapina impropria. L’uomo era infatti stato sorpreso dal personale di vigilanza del supermercato dove stava cercando di impossessarsi della merce senza però essere riuscito a conseguire la signoria sui beni sottratti. Qualificazione della condotta. La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condivide l’affermazione dei Giudici di merito circa la sussistenza della fattispecie consumata del furto. Richiamando la giurisprudenza sul punto, la sentenza in commento ricorda che il delitto di rapina impropria si perfeziona se il reo usi violenza anche dopo l’apprensione del bene senza il conseguimento della disponibilità autonoma dello stesso, anche se per breve tempo. Si configura invece l’ipotesi del tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità. La rapina impropria si distingue inoltre da quella propria per il fatto che la consumazione è perfezionata con la sola sottrazione della cosa, senza che occorra anche l’impossessamento, elemento viceversa richiesto per la configurabilità della rapina propria. Nel caso della rapina impropria infatti l’impossessamento rileva come scopo della condotta, in alternativa a quello di procurare a sé o ad altri l’impunità. Tornando al caso di specie, viene sottolineato che il controllo da parte del personale di vigilanza non rileva al fine della sottrazione del bene ma incide solo sul successivo impossessamento, posto che sotto la vigilanza altrui non è impedita l’apprensione del bene ma l’acquisizione di un’autonoma disponibilità dello stesso. Essendosi dunque verificata la sottrazione del bene, correttamente i Giudici di merito hanno riconosciuto la sussistenza del reato consumato di rapina impropria.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 dicembre 2018 8 marzo 2019, n. 10214 Presidente Verga Relatore Pacilli Ritenuto in fatto Con sentenza del 17 marzo 2017 la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa il 5 novembre 2015 dal Tribunale di Prato, con cui K.S. , in atti generalizzato, è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i delitti di rapina impropria e lesioni aggravate. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo l’inosservanza dell’art. 56 c.p., per non avere la Corte d’appello qualificato i fatti come tentata rapina impropria, non avendo l’imputato conseguito la signoria sui beni sottratti al supermercato, stante la concomitante presenza del personale di vigilanza. All’odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, perché proposto per motivo manifestamente infondato. Correttamente, infatti, i giudici di merito hanno sussunto i fatti nell’ambito della fattispecie criminosa della rapina impropria consumata anziché tentata, come invece propugnato dal ricorrente. Dalla sentenza della Corte d’appello e dallo stesso ricorso si evince che l’imputato ha sottratto due flaconi di shampoo dai banchi della Coop di Prato ed ha poi usato violenza nei confronti della guardia giurata, che gli aveva chiesto di restituire il maltolto. In tale situazione non è revocabile in dubbio la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della rapina impropria consumata, che si realizza con la mera sottrazione del bene. Questa Corte v. Sez. U, n. 34952 del 19.4.2012, Rv. 253153 , difatti, ha avuto modo di osservare che, poiché l’art. 628 c.p., comma 2 fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all’impossessamento, deve ritenersi che il delitto di rapina impropria si perfeziona anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per breve tempo, della disponibilità autonoma dello stesso. È configurabile, invece, il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità. La citata pronuncia delle Sezioni Unite assume speciale importanza non solo per il principio appena richiamato, che ammette la configurabilità del tentativo di rapina impropria, ma anche per aver posto in chiaro un’importante differenza quanto alla consumazione del reato - tra la fattispecie della rapina propria art. 628 c.p., comma 1 e quella della rapina impropria art. 628 c.p., comma 2 . Mentre la rapina propria si consuma come il furto solo quando si sono verificati sia la sottrazione della cosa mobile altrui sia l’impossessamento della stessa, la rapina impropria, invece, si consuma con la sola sottrazione della cosa, senza che occorra che si sia verificato anche l’impossessamento, il quale non costituisce elemento materiale della fattispecie criminosa ma è richiesto dalla norma incriminatrice - ai fini della configurabilità del reato di rapina impropria - solo come scopo della condotta, in alternativa a quello di procurare a sé o ad altri l’impunità. Sul punto le Sezioni Unite hanno sottolineato che, ai fini della configurazione della rapina impropria, il legislatore non richiede il vero e proprio impossessamento della cosa da parte dell’agente, ritenendo sufficiente per la consumazione la sola sottrazione, così lasciando spazio per il tentativo ai soli atti idonei diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa altrui . In altri termini, per il perfezionamento della rapina impropria è sufficiente l’apprensione del bene altrui e non è necessario l’impossessamento, che, invece, postula l’acquisto del possesso sulla cosa sottratta ad altri possesso che, secondo la stessa definizione data dall’art. 1140 c.c., consiste in una signoria indipendente ed autonoma, esercitata dall’agente sulla res. Deve precisarsi che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, il controllo del personale di vigilanza non rileva al fine della sussistenza della sottrazione del bene ma incide soltanto sul conseguente momento dell’impossessamento, atteso che sotto la sorveglianza altrui ciò che viene ad essere impedita non è l’apprensione del bene ma l’acquisizione di un’autonoma disponibilità del bene. D’altra parte, questa Corte cfr. Sez. U, n. 52117 del 17.7.2014, Rv 261186 , con riferimento alla fattispecie criminosa del furto, della quale costituiscono elementi costitutivi sia l’impossessamento che la sottrazione del bene, ha affermato che la vigilanza della persona offesa o del personale incaricato della sorveglianza impedisce l’impossessamento e non dunque la sottrazione. Sul punto, infatti, la citata pronuncia ha chiarito che l’impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postula il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente. Sicché, laddove esso è escluso dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo, l’incompiutezza dell’impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell’ambito del tentativo . In tale prospettiva ermeneutica deve quindi affermarsi che, nel caso in esame, essendosi verificata la sottrazione del bene, il reato di rapina impropria era consumato. 2. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186 e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa - della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.