Il quantum del sequestro per equivalente prodromico alla confisca

Il valore del sequestro per equivalente prodromico alla confisca, ex art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000, deve essere commisurato a quello dei beni sottratti fraudolentemente alle pretese tributarie dello Stato.

Questo è il nuovo principio affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 8850/19, depositata il 1° marzo. La vicenda. Il GIP presso il Tribunale di Palermo ordinava il sequestro per equivalente prodromico alla confisca nei confronti dell’imputato per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74/2000. La decisione del GIP veniva confermata anche dal Tribunale del riesame adito in secondo grado. Così la difesa dell’imputato propone ricorso in Cassazione lamentando violazione di legge quanto al reato di bancarotta, per cui il suo assistito era indagato ed inoltre per quanto riguarda l’importo del profitto cui è stato commisurato il quantum del sequestro di valore. Il quantum del sequestro per equivalente. Per il Tribunale del riesame, il quantum del profitto del reato deve essere parametrato all’intera pretesa fiscale e non al valore dei beni sottratti alla garanzia nei confronti del Fisco. Ma il Supremo Collegio dissente da tale argomentazione, sostenendo al contrario che il valore del sequestro per equivalente debba essere commisurato a quello dei beni sottratti fraudolentemente alle pretese tributarie del Fisco. Sulla base di tale osservazione, la Suprema Corte di Cassazione annulla il provvedimento impugnato e afferma il principio di diritto secondo cui, il valore del sequestro per equivalente prodromico alla confisca ex art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 in relazione al reato di cui all’art. 11 del medesimo decreto deve essere commisurato a quello dei beni fraudolentemente sottratti alle pretese tributarie dello Stato e non già al valore dell’intera pretesa fiscale .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 1 febbraio – 1 marzo 2019, n. 8850 Presidente Morelli – Relatore Borrelli Ritenuto in fatto 1. L’ordinanza impugnata è stata pronunziata il 9 agosto 2018 dal Tribunale del riesame di Palermo, che ha confermato il decreto con il quale il Giudice per le indagini preliminari in sede, il 16 luglio 2018, aveva ordinato il sequestro per equivalente prodromico alla confisca D.Lgs. n. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 12 bis, anche nei confronti di M.M. , per un valore di Euro 606.132,32 in relazione al delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui al D.Lgs. n. 74 cit., art. 11. Per una maggiore chiarezza, occorre segnalare che M. è indagato per - bancarotta fraudolenta per distrazione in concorso perché, quale componente del Consiglio di amministrazione della s.r.l. A.P.R., concorreva nella distrazione dell’intero complesso aziendale della s.r.l. Bar Alba e della s.r.l. Pasticceria Alba, attuata mediante contratti di custodia, affidamento ed uso a titolo gratuito che determinavano la prosecuzione, in capo alla A.P.R., delle attività delle società predette, poi dichiarate fallite con sentenze del Tribunale di Palermo rispettivamente del 9 giugno e del 16 settembre 2016 - delitto di cui all’art. 110 c.p., e D.Lgs. n. 10 marzo 2000, n. 74, art. 11, perché, con le condotte integranti le bancarotte, sottraeva fraudolentemente al pagamento delle imposte le aziende delle fallite, indebitate per I.V.A. e IRES, nonché per relativi interessi e sanzioni per Euro 204.741,35 - la s.r.l. Pasticceria Alba - ed Euro 401.390,97 - la s.r.l. Bar Alba il Giudice per le indagini preliminari aveva escluso, invece, che la contestazione provvisoria potesse riferirsi anche all’ingente debito tributario vantato dalla s.r.l. N. Pasticceria Alba, la cui posizione non era oggetto delle contestate distrazioni fallimentari . 2. L’ordinanza è stata impugnata dal difensore dell’indagato, che ha articolato due motivi di ricorso. 2.1. Il primo motivo postula violazione di legge. Il ricorrente premette che altro Collegio del Tribunale del riesame palermitano, pronunziandosi su appello del pubblico ministero avverso le reiezioni della sua richiesta da parte del Giudice per le indagini preliminari, aveva affermato che i contratti oggetto delle imputazioni non avevano determinato né un trasferimento di proprietà, né una confusione dei beni con quelli della società ricevente. La correttezza dell’operazione era dimostrata dal fatto che i contratti erano stati accompagnati dalla redazione di una stima-inventario analitica e completa di tutti i beni delle società comodanti. Una volta svolte queste precisazioni, il ricorrente avversa il provvedimento impugnato perché aveva ancorato il sequestro per equivalente non già alla somma che si assumeva sottratta alle ragioni erariali attraverso le manovre distrattive, ma all’intera pretesa vantata dal fisco ove il Tribunale del riesame avesse seguito l’impostazione reputata corretta dal ricorrente, non avrebbe dovuto avallare il sequestro, giacché, siccome le due società fallite mutuavano la propria capacità economica dai rami di azienda di proprietà della N Pasticceria Alba s.r.l., non c’era alcunché che potesse essere sottratto alla garanzia patrimoniale dei creditori. 2.2. il secondo motivo lamenta violazione di legge quanto al reato di bancarotta all’esito della risoluzione dei contratti di locazione, delle plurime azioni esecutive e della perdita di titolarità dei contratti di affitto di ramo di azienda, le due società fallite non erano più idonee a svolgere alcuna attività commerciale e non disponevano, nemmeno a titolo derivativo o traslativo, di alcuna immobilizzazione materiale né di attivo patrimoniale. I contratti incriminati erano destinati a cessare nel volgere di pochi giorni ed erano inidonei a determinare uno spostamento patrimoniale nocivo per il ceto creditorio non si trattava di contratti di affitto di ramo di azienda ed essi non erano opponibili a terzi, tanto che la A.P.R., quale custode, non si oppose alle azioni esecutive. I beni che si assumono distratti erano della N. Pasticceria Alba s.r.l., donde non potevano essere distratti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato limitatamente alla censura circa l’importo del profitto cui è stato commisurato il quantum del sequestro di valore. 2. Prima di concentrare l’attenzione sul profilo per cui deve intervenire l’annullamento, occorre chiarire che il ricorso, quando contesta il fumus commissi delicti, è inammissibile. Va, a questo proposito, ricordato che il sindacato della Corte di cassazione sul provvedimento del Tribunale del riesame in tema di sequestro è circoscritto al vizio di violazione di legge ex art. 325 c.p.p., comma 1, nel quale rientrano, oltre che gli errori in diritto, anche quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o apparente o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice esulano, invece, dal novero dei vizi deducibili l’illogicità manifesta e la contraddittorietà del costrutto argomentativo Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710 Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, Faiella, Rv. 269296 Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656 Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119 Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129 . È appena il caso di ricordare che, naturalmente, sono estranei all’incidente cautelare reale, come ad ogni giudizio dinanzi a questa Corte, profili che investano il merito della res iudicanda ovvero invochino una lettura e composizione critica del materiale vagliato alternativa a quella fatta propria dal Giudice di merito ex multis, Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibè, Rv. 249651 . Se è, quindi, solo all’interno di detto ristretto ambito che può svolgersi il giudizio demandato al Collegio, deve opinarsi che il motivo di ricorso sub iudice presenta dei limiti che lo destinano all’inammissibilità. Senza neanche particolari sforzi terminologici del ricorrente per ricondurre ogni censura ad un’ipotesi di vizio motivazionale radicale ovvero di violazione di legge, infatti, l’ampia e dettagliata impugnativa indulge in una revisione critica delle argomentazioni del Tribunale del riesame che sfocia in doglianze inammissibili in questa sede. L’operazione descritta, infatti, talvolta cela una sollecitazione diretta alla rivisitazione del merito della res iudicanda, del tutto eccentrica rispetto ai limiti generali del giudizio di legittimità talaltra, lamentando sia formalmente che sostanzialmente manifesta illogicità della motivazione, esorbita dai già ricordati limiti del giudizio della Corte di cassazione in tema di misure cautelari reali. 3. Come anticipato, è invece fondata la censura che contesta il provvedimento impugnato circa il quantum del sequestro. Il Tribunale del riesame, infatti, investito della doglianza relativa all’eccessività delle somme oggetto di sequestro rispetto al quantum del profitto del reato, ha sposato la tesi secondo cui quest’ultimo debba essere parametrato all’intera pretesa fiscale piuttosto che al valore dei beni sottratti alla garanzia nei confronti del Fisco, citando, a sostegno della propria scelta interpretativa, la sentenza delle Sezioni Unite n. 18374 del 2013. Il Collegio dissente da questa interpretazione e, come ripetutamente sancito dalla giurisprudenza di legittimità, ritiene, al contrario, che il valore del sequestro per equivalente debba essere commisurato a quello dei beni fraudolentemente sottratti alle pretese tributarie dello Stato Sez. 3, n. 37136 dell’11.4.17 non massimata Sez. 3, n. 40534 del 06/05/2015, Trust e altro, Rv. 265036 - 01 Sez. 3, n. 10214 del 22/01/2015, Chiarolanza e altri, Rv. 262754 - 01 Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, non massimata sul punto Sez. 3, n. 33184 del 12/06/2013, Abrusci, Rv. 256850 Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv.251077, non massimata sul punto . Come già condivisibilmente osservato nei precedenti appena citati cfr. in particolare Sez. 3, n. 10214 cit. , va riguardata la condotta punita D.Lgs. n. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 11, che consiste nell’alienare simulatamente o nel compiere altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Proprio ragionando sui rapporti tra la condotta sanzionata dal legislatore ed il profitto a quest’ultima correlabile, questa Corte ha sostenuto che il profitto di detto reato deve essere individuato non già nell’importo delle imposte non pagate - che costituisce il profitto dell’evasione eventualmente commessa in precedenza ed integrante illecito penale in presenza dei requisiti di legge - bensì nel valore del bene o dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisca per il recupero delle somme evase ed oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma. Correttamente si è sostenuto, a tale riguardo, che l’oggetto giuridico della disposizione non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai beni dell’obbligato ed il profitto deve ritenersi costituito dalla riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio sul quale il fisco ha diritto di soddisfarsi. Come affermato dai precedenti richiamati, tale interpretazione non confligge con quella della sentenza delle Sezioni Unite evocata dal ricorrente Sez. U. n. 18374 del 31/01/2013, Adami e altro, Rv. 255036 , secondo cui il profitto del reato di cui all’art. 11 cit., sarebbe rappresentato da qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito dalla consumazione dell’illecito potendo dunque lo stesso consistere anche nel risparmio di spesa legato al mancato pagamento dell’imposta non si va di contrario avviso rispetto al principio sancito nell’autorevole precedente, infatti, se si correla il sequestro di valore non già alla somma oggetto dell’imposizione, ma a quanto il soggetto-agente ha risparmiato con la condotta tipica del reato, entità misurata con riferimento al valore dei beni su cui il Fisco si sarebbe potuto rifare e che sono, invece, stati fatti fuoriuscire dal patrimonio del contribuente, donde essi forniscono la misura del risparmio indotto dalla condotta delittuosa che costituisce titolo per la misura reale. Deve, pertanto, affermarsi nuovamente il principio di diritto secondo cui Il valore del sequestro per equivalente prodromico alla confisca D.Lgs. n. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 12 bis, in relazione al reato di cui all’art. 11, del medesimo decreto deve essere commisurato a quello dei beni fraudolentemente sottratti alle pretese tributarie dello Stato e non già al valore dell’intera pretesa fiscale . È evidente, alla luce di questa premessa ermeneutica, che il Tribunale non ha fatto corretta applicazione del principio sopra ricordato, perché ha identificato il profitto confiscabile con il complessivo ammontare del debito tributario e ha, in conseguenza di tale error iuris, omesso totalmente di offrire una motivazione specifica circa il quantum della riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del debitore su cui il fisco avrebbe potuto soddisfarsi. A tanto consegue l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, che dovrà fornire nuova motivazione sul punto, adeguandosi al principio di diritto sopra enunciato. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo.