Restituzione nel termine per impugnare: l’onere di allegazione e il vaglio critico del giudice

Per i fatti occorsi prima del 2014, la richiesta di restituzione nel termine per impugnare deve essere vagliata dal giudice in ordine alle ragioni per le quali la notificazione ritualmente effettuata, fermo restando il suo valore legale, sia anche dimostrativa della effettiva conoscenza dell’atto e della consapevole rinuncia della parte interessata.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, con la ordinanza n. 8436/19 depositata il 26 febbraio. L’evoluzione normativa dell’istituto della rimessione in termini. L’ordinanza in commento affronta i profili processuali dell’istituto della restituzione nel termine stabilito a pena di decadenza, che consente alle parti di esercitare in via postuma i diritti loro attribuiti ex lege quando un impedimento, dovuto a caso fortuito o forza maggiore, abbia determinato l’estinzione di tale potere di esercizio. Si tratta di un rimedio eccezionale – la cui legittimazione il codice diffusamente estende al PM, al difensore, e più in generale alle parti private – che ha subito una evoluzione normativa fortemente influenzata da specifiche esigenze di garanzia per l’imputato, attinenti al diritto di difesa e al più ampio diritto di quest’ultimo a partecipare compiutamente al proprio processo. Nel valutare la richiesta di restituzione nel termine decaduto, la l. n. 60/2005 assegnava al giudice il compito di accertare che l’imputato avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e che avesse volontariamente rinunciato a comparire o a proporre impugnazione, eliminando il precedente onere probatorio a carico di quest’ultimo. Sull’imputato, tuttavia, residuava un onere di allegazione in ordine alle ragioni della mancata conoscenza del provvedimento, a fronte del quale il giudicante era tenuto a disporre la restituzione nel termine anche qualora residuasse incertezza circa l’effettiva conoscenza. La novella del 2014 che ha introdotto la disciplina del c.d. processo in absentia , sostitutivo della contumacia, ha riordinato l’intera materia modificando la disposizione in oggetto e prevedendo interventi preventivi del giudice, che in udienza è tenuto a verificare le ragioni dell’assenza dell’imputato, o successivi, come l’istituto della rescissione del giudicato. Nel caso di specie, tuttavia, va applicata la disposizione previgente, posto che la pronuncia impugnata era stata emessa anteriormente all’entrata in vigore della suddetta legge. L’effettività dell’onere di allegazione in capo alla parte. La Suprema Corte, passando in rassegna la principale giurisprudenza sul tema, osserva come nella precedente formulazione, la previsione secondo cui spetti al giudice valutare la sussistenza di un’effettiva conoscenza dell’atto e di una consapevole rinuncia non esclude comunque la valenza legale della notificazione ritualmente notificata in altri termini, la presunzione di conoscenza derivante dalla corretta notificazione dell’atto non ha carattere assoluto, dovendo il giudice indicare le ragioni per le quali ritiene che detta notifica sia dimostrativa della effettiva conoscenza dell’atto o del procedimento da parte dell’imputato. Tuttavia, vige sempre l’onere per l’istante di documentare e circostanziare la richiesta di rimessione in termini, allegando le ragioni della mancata conoscenza. Nel caso di specie, la Corte ritiene di dover dichiarare il ricorso inammissibile dal momento in cui la richiesta non indica né quando il condannato abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento, né le ragioni che abbiano in concreto impedito tale conoscenza. La sanzione prevista per l’inammissibilità del ricorso in Cassazione. Accanto ad un ulteriore motivo di diritto brevemente accennato dalla Corte, relativo all’esclusione della possibilità che nel giudizio di cassazione possano presentarsi memorie mediante l’uso della posta elettronica certificata, viene affrontata la peculiare questione giuridica della condanna al pagamento delle sanzioni previste a seguito del rigetto o dell’inammissibilità del ricorso. Mentre al rigetto consegue senza dubbio la condanna al pagamento delle spese del procedimento, la Cassazione ritiene di dover escludere, nel caso di specie, l’applicazione della sanzione prevista nell’ipotesi in cui il ricorso venga dichiarato inammissibile. Difatti, tale possibilità è concessa ai giudici di legittimità, i quali possono non pronunciare tale tipo di condanna quando la parte privata abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. Ciò accade tutte le volte in cui l’inammissibilità non deriva da una specifica condizione che imponga di dichiararla – come l’assenza di legittimazione o la non impugnabilità del provvedimento -, dal mancato rispetto dei termini per impugnare, ovvero ancora dalla presentazione di motivi di ricorso diversi da quelli consentiti dalla legge in questi casi, difatti, il comportamento del ricorrente è da inquadrare nella categoria della negligenza. Nel caso concreto, invece, il giudizio dinanzi la Corte di Cassazione è stato attivato con una richiesta di rimessione in termini per impugnare una sentenza emessa in grado di appello. Pertanto, si tratta di una richiesta che non possiede natura di mezzo di impugnazione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, ordinanza 21 gennaio – 26 febbraio 2019, n. 8436 Presidente Zaza – Relatore Romano Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. La richiesta è inammissibile. 2. O.J. , a mezzo del suo difensore, ha chiesto, ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen. la rimessione in termini per proporre ricorso avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Bologna del 9 aprile 2014. 3. Deve preliminarmente osservarsi che nel caso di specie deve applicarsi l’art. 175 cod. proc. pen. nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. 28 aprile 2014, n. 67, atteso che alla data di entrata in vigore di detta legge erano già stati pronunciati i dispositivi delle sentenze di primo grado, cosicché ai sensi dell’art. 15-bis della legge citata non devono applicarsi le nuove disposizioni da essa introdotte. 4. La richiedente si è limitata ad affermare di non avere avuto conoscenza della sentenza di condanna senza tuttavia allegare, anche ai fini della tempestività della richiesta, il momento in cui ha avuto effettiva conoscenza della sentenza e le ragioni che le avrebbero impedito detta conoscenza. 5. Questa Corte di Cassazione ha affermato Sez. 3, 27 ottobre 2014 n. 49001, Tuccillo, non massimata che l’art. 175 c.p.p., comma 2, nella formulazione anteriore alla L. n. 67 del 2014, non inficia la presunzione di conoscenza derivante dalla rituale notificazione dell’atto, limitandosi invece ad escluderne la valenza assoluta ed imponendo al giudice la verifica sulla effettiva conoscenza dell’atto e la consapevole rinuncia a partecipare al processo o ad impugnare il provvedimento, cosicché, fermo restando il valore legale della notificazione ritualmente effettuata, il giudice deve indicare le ragioni per le quali ritiene che detta notifica sia anche dimostrativa della effettiva conoscenza Sez. 5, n. 28912 del 29/03/2007, Diagne, Rv. 23756601 Sez. 1, n. 14265 del 01/03/2006, Bidinost, Rv. 23361401 . Tale assunto è stato ulteriormente ribadito Sez. 3, n. 17965 del 08/04/2010, Rescio, Rv. 24715901 con l’ulteriore precisazione che non viene comunque meno, alla luce del menzionato indirizzo giurisprudenziale, l’onere per l’istante di dedurre la mancata conoscenza del provvedimento allegandone le ragioni vedi anche Sez. 3, n. 35866 del 05/06/2007, Pannunzi, Rv. 23728101 , poiché, altrimenti, in tutti i casi in cui la notifica non sia avvenuta a mani proprie, il giudice dovrebbe accertare la mancata conoscenza a fronte di una mera deduzione difensiva. Si è infatti giustamente osservato che chi avanza una istanza ha l’onere di documentarla e di circostanziarla, segnalando all’organo destinatario della stessa quanto meno l’ipotesi da verificare Sez. 5, n. 7604 del 01/02/2011, Badara, Rv. 24951501 . In tema di restituzione nel termine, grava quindi sull’istante un onere di allegazione, ma non di prova, in ordine alle ragioni della mancata conoscenza del provvedimento, a fronte del quale il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 175 c.p.p., comma 2, a verificare che l’interessato non ne abbia avuto effettiva conoscenza, disponendo la restituzione nel termine anche qualora residui incertezza circa tale conoscenza viceversa, nel caso in cui l’interessato ometta di indicare le ragioni che gli abbiano impedito di acquisire tale conoscenza, non sorge l’obbligo di verifica da parte dell’autorità giudiziaria della conoscenza effettiva, e la richiesta non può trovare accoglimento. 6. Peraltro, in tema di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, grava sul richiedente anche l’onere di allegare il momento di effettiva conoscenza della sentenza, mentre spetta al giudice accertare - oltre che l’eventuale effettiva conoscenza del procedimento da parte del condannato e la sua volontaria rinuncia a comparire - l’eventuale diverso momento in cui è intervenuta detta conoscenza, rispetto al quale valutare la tempestività della richiesta Sez. 6, n. 18084 del 21/03/2018 - dep. 2018, Yaqini, Rv. 27292201, che in motivazione ha precisato che una diversa interpretazione dell’art. 175 c.p.p., sostituendo all’onere di allegazione a carico del contumace un onere probatorio del momento di intervenuta effettiva conoscenza del procedimento, finirebbe per condizionare negativamente l’effettività della tutela accordata al soggetto che non ha avuto conoscenza del processo . 7. Nel caso di specie la richiesta, non indicando il momento in cui la condannata ha avuto effettiva conoscenza della sentenza e le ragioni che le hanno impedito detta conoscenza, risulta inammissibile. 8. Quanto alla memoria pervenuta a mezzo pec, essa non può essere presa in considerazione, atteso che nel giudizio di cassazione non è consentita la presentazione di memorie mediante l’uso della posta elettronica certificata PEC in quanto non può ritenersi estesa a tale giudizio la facoltà di deposito telematico di atti, in assenza del decreto previsto dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-bis, comma 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, ed in considerazione dell’espressa limitazione ai procedimenti innanzi al tribunale ed alla corte di appello prevista dal comma 1-bis della medesima norma. Sez. 2, n. 31336 del 16/05/2017, Silvestri, Rv. 27085801 Sez. 5, n. 48911 del 01/10/2018, N, Rv. 27416001 . 8. Al rigetto della richiesta consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. 9. La richiedente non può, invece, essere condannata al pagamento della sanzione prevista dall’art. 616 c.p.p., comma 1, per la inammissibilità del ricorso. L’art. 616 c.p.p., comma 1, prevede la applicazione di una sanzione nell’ipotesi in cui il ricorso venga dichiarato inammissibile. Nella giurisprudenza di legittimità si è da tempo affermata un’interpretazione costituzionalmente orientata di detta disposizione normativa, che, come è noto, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che la Corte di Cassazione, in caso di inammissibilità del ricorso, possa non pronunciare la condanna in favore della cassa delle ammende, a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, evidenziando, al riguardo, come la natura sanzionatoria della condanna in esame esiga la valutazione della condotta del destinatario della sanzione, anche in relazione all’elemento soggettivo cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13 giugno 2000 . Tale valutazione conduce ad un giudizio negativo nei confronti di chi abbia proposto ricorso per cassazione in assenza dei presupposti previsti dall’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. a , b e c , o senza il rispetto dei termini previsti a pena di decadenza dall’art. 585 c.p.p., ovvero che sia sorretto da motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente infondati, conformemente alla previsione dell’art. 606 c.p.p., comma 3, perché, in questi casi è possibile ascrivere il comportamento processuale del ricorrente alla categoria della negligenza. Poiché l’art. 616 c.p.p., comma 1, è una norma diretta a sanzionare la proposizione di un ricorso inammissibile, in relazione ad essa devono trovare applicazione i principi di tipicità dell’illecito e del divieto di applicazione analogica, applicabili alle norme sanzionatorie. Ne consegue che poiché l’art. 616 c.p.p., comma 1, prevede la applicazione della sanzione nel caso in cui il ricorso sia dichiarato inammissibile, essa non può essere irrogata nel caso di specie, in cui il giudizio innanzi alla Corte di Cassazione è stato attivato con una richiesta ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen. volta ad ottenere la rimessione in termini per impugnare una sentenza emessa in grado di appello. Trattasi di richiesta che non ha natura di mezzo di impugnazione. P.Q.M. Dichiara inammissibile l’istanza e condanna l’instante al pagamento delle spese processuali.