La decorrenza del termine entro cui il datore può regolarizzare l’omesso versamento delle ritenute

Il termine di 3 mesi entro cui il datore di lavoro può procedere alla regolarizzazione del mancato versamento delle ritenute sulle retribuzioni dei suoi dipendenti e beneficiare della causa di non punibilità decorre dalla data di notifica del decreto di citazione a giudizio, purché questo contenga tutti gli elementi essenziali dell’avviso di accertamento.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 7253/19, depositata il 18 febbraio. La vicenda. La Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, condannava l’imputato per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali ai propri lavoratori dipendenti per un determinato periodo di tempo. L’imputato ricorre per cassazione non avendo la Corte territoriale accertato l’effettivo pagamento delle retribuzioni ai lavoratori stessi. La notifica della diffida. Partendo dalla notifica della diffida ad adempiere, questa sembra essere stata effettuata nelle mani della madre dell’imputato in luogo diverso dalla residenza anagrafica di quest’ultimo, o meglio presso un familiare non convivente con il destinatario. Dunque essa è inidonea ad assicurare l’avvenuta conoscenza dell’atto da parte del suo destinatario. La notifica del decreto di citazione e la causa di non punibilità. Per quanto riguarda invece la validità del decreto di citazione diretta, la Suprema Corte ribadisce che in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini della causa di non punibilità del pagamento tempestivo di quanto dovuto, il decreto di citazione equivale alla notifica dell’avviso di accertamento solo se contenga elementi essenziali dell’avviso detto, ossia se contenga l’indicazione del periodo di omesso versamento, l’indicazione della sede dell’ente presso cui effettuare il versamento entro il termine legale di 3 mesi e l’avviso che il pagamento consente appunto di fruire della causa di non punibilità. Dunque, il termine di 3 mesi entro cui il datore di lavoro può procedere alla regolarizzazione del mancato versamento delle ritenute sulle retribuzioni dei suoi dipendenti e beneficiare della causa di non punibilità decorre dalla data di notifica del decreto di citazione a giudizio, purché questo contenga tutti gli elementi essenziali dell’avviso di accertamento. In applicazione di tale principio, il Collegio Supremo annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 novembre 2018 – 18 febbraio 2019, n. 7253 Presidente Rosi - Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26 settembre 2017, la Corte di appello di Caltanissetta, confermava la sentenza del Tribunale di Enna del 1 giugno 2016, con la quale D.A. era stato condannato alla pena di mesi 2 di reclusione ed Euro 200 di multa, in ordine al reato di cui all’art. 81 c.p. e L. n. 638 del 1983, art. 2, perché, quale legale rappresentante della ditta Fratelli D. s.r.l. , con sede in omissis , ometteva di versare le ritenute previdenziali e assistenziali ai propri lavoratori dipendenti, nel periodo compreso tra il terzo trimestre 2011 e il primo trimestre 2013, per un importo totale di Euro 18.982,75. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello nissena, D. , tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi. Con il primo motivo, la difesa deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e la violazione dell’art. 526 c.p.p., per non avere la Corte di appello considerato la prova fornita dall’imputato di non essere stato edotto dell’avviso di accertamento dell’Inps, avendo egli dimostrato di non convivere già a partire dal 2005 con la madre, mentre la notifica era avvenuta nel 2012 in un luogo diverso dalla residenza di D. . Con il secondo motivo, viene censurata la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che l’atto di vocatio in iudicium, cioè il decreto di citazione a giudizio, contenesse gli estremi dell’atto di diffida da cui far decorrere il termine di tre mesi previsto ai fini dell’operatività della causa di non punibilità di cui alla L. n. 638 del 1983, art. 2, comma 1 bis. Con il terzo motivo, infine, la difesa contesta il giudizio sulla configurabilità del reato, non avendo la Corte di appello accertato l’effettivo pagamento delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti nel periodo contestato. Considerato in diritto Sono fondati e assorbenti i primi due motivi di ricorso. 1. Dalla disamina del fascicolo processuale, consentita dalla tipologia dell’eccezione sollevata, risulta e del resto la circostanza è pacificamente desumibile dalla sentenza di primo grado , che la notifica della diffida di adempiere è avvenuta nel 2012 in mani della madre dell’imputato, residente in omissis e non presso la residenza di D. , cioè in viale dei fiori del medesimo Comune, dove l’imputato si era trasferito a partire dal 2005. Tale notifica non può ritenersi idonea ad assicurare la conoscenza dell’atto da parte dei destinatario, in quanto avvenuta in un luogo diverso da quello di residenza dell’imputato, presso un familiare non convivente con l’interessato. Ciò posto, i giudici di appello, pur ritenendo erroneamente valida la notifica de qua, hanno sostenuto che, in ogni caso, l’atto di vocatio in iudicium, cioè il decreto di citazione diretta, doveva essere considerato come un ulteriore atto di diffida, contenendo un’esaustiva descrizione della condotta illecita contestata, a fronte della quale l’imputato sarebbe rimasto ulteriormente inadempiente. Orbene, tale impostazione non può ritenersi corretta, dovendosi richiamare al riguardo l’affermazione di questa Corte, espressa peraltro nel suo Massimo Consesso cfr. Sez. Un. n. 1855 del 24/11/2011, dep. 2012, Rv. 251268, ripresa da Sez. 3, n. 6045 del 27/09/2016, Rv. 269169 , secondo cui, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini della causa di non punibilità del pagamento tempestivo di quanto dovuto, il decreto di citazione a giudizio è equivalente alla notifica dell’avviso di accertamento solo se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato all’imputato, contenga gli elementi essenziali del predetto avviso, costituiti dall’indicazione del periodo di omesso versamento e dell’importo, l’indicazione della sede dell’ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e l’avviso che il pagamento consente di fruire della speciale causa di non punibilità. In definitiva, il termine di tre mesi, entro cui il datore di lavoro può provvedere alla regolarizzazione dell’omesso versamento delle ritenute sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e beneficiare della causa di non punibilità prevista dal D.L. n. 463 del 1983, art. 2, comma 1 bis, convertito dalla L. n. 638 del 1983, decorre, in mancanza della contestazione o della notifica dell’avvenuto accertamento delle violazioni da parte dell’ente previdenziale, dalla data della notifica del decreto di citazione a giudizio, a condizione che quest’ultimo contenga tutti gli elementi essenziali dell’avviso di accertamento, con l’ulteriore precisazione che deve ritenersi legittimo anche il provvedimento con il quale il giudice, rilevate la mancata notificazione dell’avviso di accertamento e contestazione e l’incompleta indicazione degli elementi di detto avviso nel decreto di citazione, assegni all’imputato un termine di tre mesi per consentirgli il versamento del dovuto, disponendo a tal fine il rinvio della trattazione del procedimento penale. In applicazione di tale premessa ermeneutica, deve rilevarsi che sia il decreto di citazione diretta, sia il decreto di fissazione del giudizio di appello, si sono limitati a una compiuta descrizione del fatto contestato, senza tuttavia alcuna indicazione sui tempi e sui modi per far valere la causa di non punibilità prevista dalla L. n. 638 del 1983, art. 2 comma 1 bis, indicazione che nel caso di specie era necessaria alla luce dell’irregolarità della notifica della diffida ad adempiere. Né, per altro verso, risulta che la Corte di appello, e prima ancora il Tribunale, abbiano disposto un rinvio del processo al fine di consentire all’imputato di avvalersi della causa di non punibilità in esame, assegnandogli contestualmente il termine di tre mesi al fine di provvedere al versamento dell’importo dovuto. 2. Alla luce di tali considerazioni, stante l’irregolarità della notifica della diffida ad adempiere e del successivo mancato avviso all’imputato della facoltà di avvalersi della causa di non punibilità sopra indicata, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, dovendosi trasmettere gli atti ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta per l’ulteriore corso, affinché si proceda in conformità alle coordinate interpretative in precedenza richiamate. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta.