Decreto di perquisizione troppo generico: le monete d’oro sequestrate vanno restituite

Un uomo indagato per riciclaggio e contrabbando si era visto sequestrare diverse monete d’oro rinvenute dalla polizia giudiziaria nella sua abitazione durante la perquisizione ordinata dal PM. È proprio la carenza motivazionale del decreto di quest’ultimo che consente all’indagato di tornare in possesso delle monete.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7315/19, depositata il 18 febbraio. Il fatto. Il Tribunale di Como, quale giudice del riesame, respingeva il gravame proposto avverso il decreto con cui il PM aveva disposto la perquisizione presso l’abitazione e lo studio professionale di un soggetto indagato per reati di riciclaggio e contrabbando, con conseguente sequestro probatorio di quanto rinvenuto ex art. 252 c.p.p Avverso la pronuncia ricorre in Cassazione il difensore deducendo l’incompletezza del decreto di perquisizione e sequestro che faceva riferimento solo a documenti, denaro contante o preziosi, mentre la polizia giudiziaria aveva proceduto con il sequestro anche di beni diversi nello specifico, diverse sterline d’oro , circostanza che rendeva necessario un provvedimento di convalida ex art 355 c.p.p., nei fatti mai intervenuto. Lamenta inoltre il ricorrente la carenza motivazionale del provvedimento di sequestro in relazione alle cose sequestrate quali corpo di reato o cose pertinenti al reato. Cose da sottoporre a sequestro e onere motivazionale. In relazione all’individuazione delle cose da sottoporre a sequestro, il Collegio ricorda che nel caso in cui la polizia giudiziaria provveda all’esecuzione di un decreto del PM che ordini la perquisizione e il sequestro delle cose pertinenti al reato, senza alcuna specificazione, risulta necessario che il PM stesso provveda alla convalida del sequestro ex art. 355 c.p.p Per quanto attiene invece alla motivazione del provvedimento di sequestro, giova ricordare che il decreto di sequestro probatorio, così come la relativa convalida, anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti il corpo del reato, deve contenere una motivazione che dia conto specificatamente della finalità perseguita in virtù dell’accertamento dei fatti. Tale esigenza risponde allo scopo di garantire che la misura sia soggetta ad un controllo di legalità, anche procedimentale, e di concreta idoneità sia sotto il profilo dell’ an che della durata della misura, in modo da accertare il rapporto di proporzionalità tra spossessamento del bene e accertamento del reato. Nel caso di assoluta mancanza di motivazione circa la sussistenza della finalità probatoria perseguita nel decreto di sequestro di cose qualificate come corpo del reato, carenza non colmata dal pubblico ministero nemmeno in sede di udienza di riesame dove comunque la misura sia stata pronunciata, il Giudice di legittimità è chiamato a pronunciare sentenza di annullamento senza rinvio di entrambi i provvedimenti. Riscontrando tali presupposti nel caso di specie essendo il decreto di perquisizione e sequestro estremamente generico, la Corte annulla senza rinvio il decreto stesso e i conseguenti atti, ordinando la restituzione dei beni sequestrati al ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 gennaio – 18 febbraio 2019, n. 7315 Presidente Prestipino – Relatore Alma Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza datata 10 ottobre 2018 ma secondo il verbale di udienza pronunciata in data 11 ottobre 2018 , a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di Como ha respinto il gravame avverso il decreto in data 17 settembre 2018 con il quale il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Como aveva disposto la perquisizione presso l’abitazione e lo studio professionale di S.A. con conseguente sequestro probatorio di quanto ivi rinvenuto a norma dell’art. 252 c.p.p Il S. risulta sottoposto ad indagini, in concorso con altri, per i reati di riciclaggio e di contrabbando con riferimento a denaro e preziosi. La predetta attività investigativa portava al sequestro nei luoghi indicati di 4.000 esemplari di sterline d’oro ad uso investimento del peso di circa 32 Kg. e dal valore stimato di circa 1.080.000 Euro conservati in bustine di plastica nella quantità di 50 pezzi cadauna. 2. Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’indagato, deducendo 2.1. Violazione, inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 247, 253, 257, 324 e 355 c.p.p. in ordine alla pretesa completezza del decreto di perquisizione e sequestro ed esclusione dell’onere della convalida. Rileva, al riguardo, parte ricorrente che poiché il decreto di perquisizione e sequestro fa riferimento a documenti ed a somme di denaro contante od oggetti preziosi e poiché all’esito della perquisizione la polizia giudiziaria delegata non si è limitata a sequestrare beni astrattamente rientranti nelle predette categorie, attingendo anche oggetti del tutto estranei, si rendeva necessaria l’adozione di un provvedimento di convalida nei termini di cui all’art. 355 c.p.p., provvedimento che non è mai intervenuto, con la conseguenza che avrebbe errato il Tribunale allorquando ha ritenuto validamente sottoposti a sequestro i beni de quibus. 2.2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 125, 247, 253, 257 e 324 c.p.p. con specifico riferimento al dovere di motivare adeguatamente il provvedimento. Ricorda parte ricorrente che sulla base di un consolidato orientamento ermeneutico il decreto di sequestro deve essere adeguatamente motivato specificando le ragioni per le quali le cose sequestrate costituiscono corpo di reato o cose pertinenti al reato ed il collegamento tra le stesse ed i fatti per i quali si procede. Detti elementi ed in particolare il capo di accusa sarebbero assenti nel provvedimento originario ed il Tribunale del riesame non poteva surrogare i requisiti motivazionali essenziali di detto decreto affermando che è sufficiente che il fatto per cui si procede possa essere individuato anche attraverso gli atti redatti dalla polizia giudiziaria. 2.3. Violazione, inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 125, 247, 253, 257 e 324 c.p.p. sotto il profilo della corrispondenza tra fatto - reato contestato e misura cautelare reale con conseguente violazione dei principio del giusto processo e del diritto di difesa. Secondo la difesa del ricorrente avrebbe errato il Tribunale del riesame allorquando ha ritenuto che il reato presupposto di quello di riciclaggio sarebbe stato implicitamente indicato giacché il Pubblico Ministero ha fatto riferimento a denaro contante e preziosi non giustificati dal volume di reddito del S. e lo stesso contrabbando può essere delitto presupposto del riciclaggio atteso che la partecipazione dell’odierno ricorrente ad un’associazione è astrattamente desumibile dagli atti di indagine. In realtà, osserva parte ricorrente a non risponde a realtà la circostanza che le monete rinvenute non sarebbero compatibili con il volume di reddito dichiarato dall’indagato b il decreto di perquisizione e sequestro non cita tra i reati ipotizzati quello di cui all’art. 416 c.p. dal che ne deriva che il contrabbando non può essere considerato quale reato presupposto di quello di cui all’art. 648-bis c.p. e nello stesso decreto non sono indicati altri reati presupposto c il Tribunale del riesame non può, di propria iniziativa, porre a base della propria decisione un fatto diverso da quello ipotizzato d la circostanza che il Giudice del riesame abbia attinto elementi dalle relazioni di P.G. ed abbia addirittura ipotizzato la contestazione di circostanze aggravanti neppure considerate dal Pubblico Ministero costituisce violazione del diritto di difesa in pregiudizio dell’indagato. 2.4. Violazione, inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 324 c.p.p. in relazione all’art. 125 c.p.p. ed all’art. 111 Cost., commi 6 e 7, per motivazione apparente. Secondo il ricorrente il Tribunale sarebbe incorso in una motivazione tanto sommaria da risultare di fatto apparente, in quanto a a fronte di un’affermazione apodittica di incompatibilità della situazione reddituale dell’indagato con i beni i sequestro ed il tenore di vita, la difesa ha dimostrato in sede di udienza di riesame che i redditi del S. sono sensibilmente superiori a quelli altrimenti risultanti dagli atti procedimentali e comunque tali da consentire allo stesso di mantenere il tenore di vita emergente dagli atti di P.G. ed anche di possedere legittimamente le monete oggetto di sequestro b non risponde al vero l’affermazione secondo la quale il S. ha avuto continui contatti con soggetti coinvolti in operazioni di riciclaggio, trattandosi invero di sporadici contatti telefonici tra l’indagato e F.W. e di un solo incontro con lo stesso c non è neppure corretta l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata secondo la quale il ricorrente non ha prodotto, al di là del testamento, documentazione della legittima provenienza dei beni sequestrati, mentre parte delle monete rinvenute in sede di perquisizione 1.317 esemplari per stessa ammissione della P.G. sono state acquistate proprio jure successionis. Alla luce degli elementi sopra descritti chiede parte ricorrente in via principale l’annullamento dell’ordinanza impugnata nonché del decreto di perquisizione e sequestro sopra menzionato con contestuale restituzione dei beni in sequestro, ed in via subordinata la revoca in parte qua del decreto stesso con l’adozione di tutti i provvedimenti conseguenziali. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato sotto vari profili. Giova immediatamente rilevare che il decreto di perquisizione emesso dal Pubblico Ministero in data 17 settembre 2018 fa esclusivo riferimento a documenti ed a somme di denaro contante od oggetti preziosi e, quanto ai reati per i quali sono in corso le indagini, gli stessi vengono indicati come contrabbando e riciclaggio. Partendo dal primo dei due profili evidenziati va detto che sebbene le sterline d’oro sottoposte a sequestro dalla P.G. possano essere latamente fatte rientrare nel concetto di oggetti preziosi ed alla luce della tipologia di indagine in corso possano astrattamente essere considerate corpo di reato , tuttavia il passaggio tra quanto genericamente ricercato nella perquisizione e quanto effettivamente rinvenuto e sequestrato dalla P.G. richiedeva l’adozione di un successivo provvedimento di convalida da parte del Pubblico Ministero. Se, infatti, può condividersi quanto affermato dal Tribunale del riesame circa il fatto che talvolta non è possibile richiedere che il decreto di perquisizione contenga una descrizione dettagliata delle cose da ricercare e da sottoporre a sequestro in quanto non specificamente individuabili a priori, ciò non toglie che proprio per tale ragione si rendeva necessario un provvedimento di convalida e che il Tribunale del riesame non poteva di certo surrogare con la propria decisione una carenza nell’attività del Pubblico Ministero sostituendosi allo stesso. È, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che L’esecuzione ad opera della polizia giudiziaria di un decreto con cui il Pubblico Ministero abbia ordinato la perquisizione e il sequestro delle cose pertinenti al reato, senza alcun’altra specificazione, comporta la necessità che il P.M. provveda alla convalida del sequestro, ai sensi dell’art. 355 c.p.p., i quanto la predetta indeterminatezza rimette alla discrezionalità degli operanti l’individuazione del presupposto fondamentale del sequestro e cioè della qualifica dei beni come corpo del reato o cose ad esso pertinenti , la quale richiede un controllo dell’autorità giudiziaria Sez. 2, n. 5494 del 28/01/2016, Rv. 266306 il tutto con la conseguenza laddove la convalida non intervenga nei termini previsti dall’art. 355 c.p.p., consegue l’inefficacia del vincolo probatorio e il sorgere dell’obbligo di restituzione delle cose sequestrate Sez. 3, n. 9858 del 21/01/2016, Rv. 266465 . A ciò si aggiunge l’ulteriore profilo, neppure sanato dal contenuto dell’ordinanza che in questa sede ci occupa, relativo alla motivazione del provvedimento di sequestro. Infatti, nella giurisprudenza di legittimità si è oramai definitivamente chiarito che Il decreto di sequestro probatorio - così come il decreto di convalida - anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Rv. 273548 e ciò . allo scopo di garantire, in conformità all’art. 42 Cost. e art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, che la misura sia soggetta ad un permanente controllo di legalità, anche sotto il profilo procedimentale, e di concreta idoneità in ordine all’ an ed alla durata della stessa, in modo da assicurare un ragionevole rapporto di proporzionalità fra mezzo impiegato spossessamento del bene e fine endoprocessuale perseguito accertamento del fatto reato Sez. 3, n. 11935 del 10/11/2016, dep. 2017, Rv. 270698 . Ora, non solo nel caso in esame non risulta essere stato emesso un decreto di convalida del sequestro ma, di fatto, neppure nell’ordinanza impugnata è contenuto uno specifico richiamo alla finalità probatoria perseguita mediante la sottoposizione dei beni a vincolo reale quale a mero titolo di esempio poteva essere la necessità di verifica della corrispondenza del conio delle monete sequestrate con quelle oggetto di precedenti sequestri a carico di altri indagati nel medesimo procedimento . Detta situazione determina una totale assenza di motivazione sul punto ed una conseguente violazione di legge certamente rilevabile in questa sede di legittimità. In proposito questa Corte di legittimità ha chiarito che Nel caso di radicale mancanza della motivazione, in ordine alla necessaria sussistenza della concreta finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti, del decreto di sequestro di cose qualificate come corpo di reato, che, sebbene non integrato sul punto dal pubblico ministero neppure all’udienza di riesame, sia stato confermato dall’ordinanza emessa all’esito di questa procedura, la Corte di cassazione deve pronunziare sentenza di annullamento senza rinvio di entrambi i provvedimenti Sez. 4, n. 54827 del 19/09/2017, Rv. 271579 . Anche se quanto detto è sufficiente per provvedere all’annullamento dell’ordinanza impugnata e del decreto che ne ha costituito il presupposto, appare tuttavia doveroso effettuare un’ulteriore osservazione sollecitata dal ricorso in esame e riguardante il necessario presupposto del fumus boni iuris per l’adozione del provvedimento di natura cautelare reale. Dagli atti sembra evincersi che il Pubblico Ministero stia procedendo nei confronti dell’odierno ricorrente per gli ipotizzati reati di contrabbando e di riciclaggio, il primo da intendersi come delitto presupposto del secondo. Il decreto di perquisizione e sequestro sopra menzionato è tuttavia estremamente generico sul punto. Come è noto, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 8 del 2016, il c.d. contrabbando semplice D.P.R. n. 43 del 1973, art. 282 è stato depenalizzato mentre le condotte continuano a rimanere penalmente sanzionate in caso di ricorrenza di particolari circostanze aggravanti tra le quali quando il colpevole sia un associato per commettere delitti di contrabbando e il delitto commesso sia tra quelli per cui l’associazione è stata costituita D.P.R. n. 43 del 1973, art. 295, comma 2, lett. d . Il Tribunale del riesame chiamato a rispondere all’eccezione difensiva relativa al fatto che se il contrabbando semplice non è più reato non sarebbe dato comprendere quale sarebbe il reato presupposto di quello di riciclaggio, si è limitato da un lato ad osservare che nella fase delle indagini preliminari l’organo di accusa non è tenuto a formulare l’imputazione ed è sufficiente che il fatto per cui si procede possa essere individuato anche attraverso gli atti redatti dalla polizia giudiziaria , e, dall’altro, che la mancata specificazione da parte del Pubblico Ministero del delitto presupposto del riciclaggio e delle modalità esecutive della relativa condotta, così come la mancata indicazione dell’aggravante che rende il contrabbando ancora penalmente rilevante, si giustificano ancora per il fatto che, in questa fase di indagini, le contestazioni sono ancora fluide e solo all’esito delle indagini il Pubblico Ministero potrà pervenire a puntualizzare maggiormente le diverse imputazioni e, ancora che la partecipazione del S. a un’associazione . è astrattamente desumibile dagli atti di indagine attesi il coinvolgimento di una pluralità di soggetti e la sistematicità delle condotte . In realtà tale operato del Tribunale del riesame, chiaramente finalizzato a porre un rimedio alle carenze contenutistiche del provvedimento genetico ed all’assenza di un motivato provvedimento di convalida del sequestro, non appare corretto. Si è infatti chiarito che In sede di riesame, il tribunale può confermare il provvedimento di sequestro anche sulla base di una diversa qualificazione giuridica del fatto in relazione al quale è stato ravvisato il fumus commissi delicti , ma non può porre a fondamento della propria decisione un fatto diverso Sez. 6, n. 18767 del 18/02/2014, Rv. 259679 . Ora l’ipotizzare da parte del Tribunale l’esistenza di una associazione per delinquere in assenza di una espressa qualificazione o specificazione in tal senso da parte del Pubblico Ministero o, ancora, di prova circa l’effettiva iscrizione nel registro delle notizie di reato anche di tale reato e della conseguente circostanza aggravante di cui all’art. 295 TULD non appare corretto perché determina una sostituzione da parte del Tribunale ad un compito che è proprio del Pubblico Ministero. 2. Per le considerazioni or ora esposte, l’ordinanza impugnata è affetta da nullità e deve pertanto essere annullata senza rinvio unitamente al decreto di perquisizione e sequestro emesso dal Pubblico Ministero in data 17 settembre 2018 ed agli atti conseguenti. Per l’effetto deve essere disposta la restituzione al ricorrente dei beni in sequestro, mandandosi alla cancelleria perché provveda agli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p 3. Ogni altra questione sollevata in sede di ricorso risulta assorbita dalla presente decisione. P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, il decreto di perquisizione e sequestro del PM presso il Tribunale di Como del 17 settembre 2018 e gli atti conseguenti, e dispone la restituzione dei beni in sequestro al ricorrente. Manda alla Cancelleria perché provveda agli adempimenti di cui all’art. 626 codice procedura penale.