Termine per impugnare l’ordinanza di custodia cautelare per il soggetto non ancora dichiarato latitante

Ai sensi dell’art. 309, comma 1, c.p.p. il termine per impugnare l’ordinanza di custodia cautelare in carcere decorre dall’esecuzione del provvedimento o dal giorno della sua notifica all’interessato.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 6760/19, depositata il 12 febbraio. Il caso. L’imputato ricorre per cassazione avverso la decisione di secondo grado con cui veniva dichiarata inammissibile, perché tardiva, l’istanza di riesame avanzata contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP. In particolare, l’imputato, mentre era in Albania, aveva redatto l’istanza di riesame davanti a un notaio albanese indicando la data del provvedimento emesso dal GIP con i numeri di registro generale del GIP stesso. Il Tribunale non potendo stabilire se all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare fosse seguita una procedura di notifica nei confronti dell’istante, il quale non era stato dichiarato latitante, considerava che non fosse dimostrata la mancanza di tempestiva conoscenza del provvedimento custodiale. Dichiarazione di latitanza. Per la Corte di Cassazione il ricorso è fondato e va accolto, partendo dal presupposto che il termine per impugnare l’ordinanza di custodia cautelare in carcere decorre dall’esecuzione del provvedimento o dal giorno della sua notifica all’interessato. Ma nel caso in esame, non pervenendo la dichiarazione di latitanza dell’indagato non può trovare applicazione il principio sopra detto ed inoltre il Tribunale non disponeva di elementi concreti per ritenere che l’indagato stesso, cittadino albanese che aveva presentato la richiesta di impugnazione in Albania dove si trovava in quel momento, fosse venuto con sicurezza a conoscenza del provvedimento restrittivo emesso nei suoi confronti.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 settembre 2018 – 12 febbraio 2019, n. 6760 Presidente Mazzei – Relatore Fiordalisi Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. S.G. ricorre avverso l’ordinanza del Tribunale di Perugia dell’8 marzo 2018, con la quale veniva dichiarata inammissibile, in quanto tardiva, l’istanza di riesame avanzata avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.i.p. del Tribunale di Perugia in data 23 gennaio 2018. S. , avendo appreso dell’emissione nei suoi confronti di un’ordinanza di custodia cautelare, mentre si trovava in Albania, aveva redatto davanti un notaio albanese l’istanza di riesame rivolta al Tribunale di Perugia, indicando la data del provvedimento emesso dal G.i.p. del Tribunale di Perugia con i numeri di registro generale del G.i.p. e di registro delle notizie di reato del pubblico ministero. Il Tribunale, non essendo in grado di stabilire se all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare fosse seguita una procedura di notifica nei confronti dell’istante, che non era stato dichiarato latitante, considerato tuttavia il lungo tempo trascorso tra la data di emissione dell’ordinanza impugnata con la richiesta di riesame e la spedizione di quest’ultima, riteneva che non fosse dimostrata la mancanza di tempestiva conoscenza del provvedimento custodiale da parte di S. e, di conseguenza, dichiarava inammissibile l’istanza di riesame. 2. Deduce il ricorrente vizio di motivazione e violazione dell’art. 309 c.p.p., commi 1 e 2, perché l’ordinanza impugnata finisce per introdurre a carico dell’istante non latitante un onere probatorio non previsto dal codice di procedura penale in caso di custodia cautelare ineseguita, prevedendo l’inammissibilità dell’istanza di riesame dell’indagato, sull’erroneo presupposto che, nel dubbio, il termine iniziale decorre dalla sottoscrizione del provvedimento de libertate da parte del giudice. Sottolinea di essere indagato straniero che si trovava nel proprio paese di dimora, al tempo della misura e dopo la sua emissione,senza essere in grado di esprimersi in italiano. Prima di proporre la richiesta di riesame, ritenuta tardiva, aveva conferito soltanto un mandato esplorativo al difensore per accertare eventuali iscrizioni di procedimenti penali a suo carico, ai sensi dell’art. 335 c.p.p., sicché la decisione del Tribunale aveva surrettiziamente introdotto una causa di inammissibilità della richiesta di riesame, che non è espressamente prevista dall’art. 309 c.p.p In data 19 aprile 2018 l’indagato aveva conferito mandato fiduciario al difensore che, nei 10 giorni successivi al rilascio del richiesto certificato ottenuto nella stessa data del 19 aprile 2018 aveva depositato, in data 27 aprile 2018, la richiesta di riesame. L’unica norma che prevede un onere dimostrativo di tipo positivo è quella dell’art. 309 c.p.p., comma 2, a carico dell’imputato latitante, ispirata al favor impugnationis. In definitiva, secondo il ricorrente, l’ordinanza del Tribunale di Perugia finisce per estendere all’indagato non latitante un onere probatorio previsto solo per il latitante, tant’è che la stessa giurisprudenza di legittimità in ordine alla decorrenza del termine iniziale per la proposta dell’istanza di riesame, ha precisato che esso decorre esclusivamente dalla notificazione rituale dell’ordinanza di custodia nelle forme di cui all’art. 165 c.p.p., senza che possa ritenersi equipollente ad essa la pregressa conoscenza del provvedimento acquisita aliunde Sez. 4, n. 46486 del 15/10/2003, Rv. 227768 . Infine, lamenta il ricorrente la violazione del principio del favor impugnationis, per il quale deve sempre scegliersi l’interpretazione grazie alla quale l’atto risulta produttivo di effetti, piuttosto che quella per effetto della quale l’atto non ne produce nessuno. A questo proposito, anche la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha avuto modo di precisare che non sono ammesse interpretazioni restrittive delle norme processuali, nel caso in cui l’esegesi comprima il diritto di difesa e la facoltà di impugnazione Corte EDU, Walchli c. Francia del 26 luglio 2006, Appl. n. 35787/03, secondo cui il giudice deve evitare interpretazioni improntate ad eccessivo formalismo a fronte di accuse penali, al fine di garantire all’indagato/imputato il diritto di accesso all’autorità giudiziaria . Un’interpretazione giudiziale come quella esposta nell’ordinanza impugnata finisce per creare incertezza del diritto, perché l’istante si trova esposto a ragionamenti logico-giuridici che ne limitano il diritto di difesa. 3. Poiché nelle more dell’attuale ricorso, S. ha proposto nuova richiesta di riesame, oggetto di distinto procedimento, e, questa volta, valutata nel merito dal Tribunale di riesame, con memoria depositata in data 11.9.2018, il ricorrente ha rappresentato la persistenza del suo interesse alla decisione dell’attuale ricorso e alla cassazione dell’ordinanza impugnata al fine di elidere la sua condanna al pagamento delle spese processuali ivi disposta. 4. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato e, in quanto tale, vada accolto. Il termine per impugnare l’ordinanza di custodia cautelare decorre dall’esecuzione del provvedimento o dal giorno della sua notifica all’interessato, come dispone l’art. 309 c.p.p., comma 1 nel caso di specie, non essendo intervenuta la dichiarazione di latitanza dell’indagato, non può trovare applicazione l’art. 309 c.p.p., comma 2, che fa decorrere tale termine dalla notificazione eseguita a norma dell’art. 165 c.p.p. o dall’esecuzione della misura quando l’imputato o l’indagato prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del provvedimento. L’interpretazione data dal Tribunale con l’impugnato provvedimento è, pertanto, in evidente contrasto con il chiaro disposto normativo dell’art. 309 c.p.p. e finisce per equiparare il soggetto che ancora non è stato dichiarato latitante al latitante per di più, il Tribunale non disponeva di elementi concreti per ritenere che l’indagato, cittadino albanese che aveva presentato l’atto di impugnazione in Albania dove si trovava in quel tempo, fosse certamente venuto a conoscenza del provvedimento restrittivo subito dopo la sua emissione. 5. Il provvedimento impugnato va, pertanto, annullato senza rinvio. P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.