“Zitto in mezzo alla Piazza”: spedisce lettera anonima infarcita di dettagli

Il requisito della comunicazione a più persone, necessario per integrare il reato di diffamazione, sussiste nel caso di una lettera denigratoria inviata al Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Siffatta comunicazione dà origine ad un procedimento che, per legge, deve essere portato a conoscenza di più persone.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6114/19, depositata il 7 febbraio. Il caso. Il Tribunale competente, confermando la statuizione del Giudice di Pace, riconosceva la penale responsabilità di un imputato per il reato di cui all’art. 595 c.p. diffamazione . Allo stesso veniva rimproverato di aver leso la reputazione della persona offesa, tramite l’invio di una missiva, tanto ad alcuni condomini del palazzo – domicilio anche della persona offesa -, quanto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di riferimento. Il condannato ricorreva per cassazione, lamentando vizio motivazionale e violazione di legge, del provvedimento impugnato dal momento che la missiva inviata ai condomini era anonima e quella inviata all’ordine era stata letta soltanto dal consigliere segretario, a parere dell’impugnante, mancava il requisito della comunicazione a più persone. Dalla lettera al Consiglio dell’Ordine, nasce un procedimento che coinvolge più persone Gli Ermellini hanno ritenuto il ricorso manifestamente infondato. Il Collegio ha ricordato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il requisito della comunicazione a più persone, necessario per integrare il reato di diffamazione, sussiste nell’ipotesi di una lettera denigratoria inviata al Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Siffatta comunicazione, infatti, dà origine ad un procedimento che, per legge, deve essere portato a conoscenza di più persone. Pertanto non si può sostenere, come nel caso di specie, che la comunicazione a più persone manchi, in quanto la missiva è stata inviata al solo segretario consigliere. Con riferimento all’anonimato della lettera inviata ai condomini, poi, i Giudici hanno sottolineato come la stessa contenesse espliciti riferimenti, rivelatori del mittente e di specifiche circostanze. Per le ragioni sopra esposte, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 dicembre 2018 – 7 febbraio 2019, n. 6114 Presidente Catena – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 21/12/2017 il Tribunale di Avellino ha confermato la sentenza del Giudice di Pace irpino che aveva dichiarato T.G. responsabile del reato di cui all’art. 595 cod. pen., per aver offeso la reputazione di Te.Gi. mediante una missiva inviata ad alcuni condomini del palazzo nel quale entrambi abitavano ed al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Avellino. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di T.G. , Avv. Carmine Freda, deducendo il vizio di motivazione, e lamentando la mancanza di prova del reato, in quanto la missiva inviata ai condomini sarebbe priva di firma, e perciò anonima, mentre quella inviata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Avellino sarebbe stata letta dal solo consigliere segretario, avv. Fabio Benigni mancherebbe, in tal caso, la comunicazione con più persone. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato, oltre che generico, per l’omesso confronto argomentativo con il tessuto motivazionale della sentenza impugnata. Con riferimento alla mancanza di comunicazione con più persone, invero, il Tribunale ha evidenziato come sulla missiva inviata dall’imputato il Consiglio dell’Ordine avesse addirittura deliberato sul punto, in tal senso escludendo che la stessa fosse stata conosciuta dal solo Consigliere segretario non appare, al riguardo, pertinente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non integra il delitto di diffamazione art. 595 cod. pen. , la condotta di colui che invii un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati contenente dubbi e perplessità sulla correttezza professionale del proprio legale, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen., sub specie di esercizio del diritto di critica, preordinato ad ottenere il controllo di eventuali violazioni delle regole deontologiche Sez. 5, n. 33994 del 05/07/2010, Cernoia, Rv. 248422 , trattandosi di questione concernente la natura diffamatoria del contenuto di un esposto - che, nel caso di specie, non è oggetto neppure di contestazione -, e non certo il requisito della comunicazione con più persone sul punto, Sez. 5, n. 23222 del 06/04/2011, Saccucci, Rv. 250458, ha affermato che sussiste il requisito della comunicazione con più persone atto ad integrare il delitto di diffamazione art. 595 cod. pen. nella condotta di colui che invii una lettera denigratoria al Presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati, considerato che la destinazione alla divulgazione può trovare il suo fondamento oltre che nella esplicita volontà del mittente-autore anche nella natura stessa della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento giudiziario, amministrativo, disciplinare che deve essere ex lege portato a conoscenza di altre persone, diverse dall’immediato destinatario, sempre che l’autore della missiva prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi . Con riferimento alla missiva inviata ai condomini del palazzo ove abitavano la persona offesa e l’imputato, benché priva di sottoscrizione, appare assorbente rilevare che si tratta della medesima composizione inviata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Avellino, e sottoscritta da T.G. inoltre, come evidenziato dalla sentenza impugnata, il libello conteneva precisi riferimenti ad un procedimento esecutivo pendente dinanzi al Tribunale di Avellino, e a pregressi livori per questioni condominiali tra l’imputato e Te.Gi. elementi logici univocamente ritenuti, con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità, idonei ad attribuire la paternità del libello all’odierno ricorrente. 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che vanno liquidate in Euro 1.785,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida in Euro 1.785,00, oltre accessori di legge.