Semaforo verde per l’automobilista che però non riesce ad evitare il pedone imprudente: condannato

Confermata la condanna a 1.600 euro di multa per l’uomo al volante. L’azzardo compiuto dalla donna colpita dalla vettura non riduce le responsabilità dell’automobilista.

Luce semaforica ‘verde’ per l’automobilista, che, però, si ritrova davanti, all’improvviso, una donna che in maniera imprudente ha provato ad attraversare la strada, utilizzando però le strisce pedonali. Inevitabile l’impatto, che provoca ripercussioni pesanti per la donna, cioè lesioni gravi e inabilità permanente pari all’80% . Inevitabile però anche la condanna per l’uomo alla guida della vettura egli è colpevole del reato di lesioni personali colpose e di avere violato il codice della strada per non avere tenuto una condotta prudente affrontando l’incrocio, e viene punito con 1.600 euro di multa Cassazione, sentenza n. 5888/19, sez. IV Penale, depositata oggi . Semaforo. Ricostruito nei dettagli il bruttissimo episodio, verificatosi nel Bresciano, il Giudice di Pace dichiara la responsabilità dell’automobilista che, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia , alla guida della propria vettura ometteva di dare la precedenza alla donna che stava attraversando la carreggiata sulle ‘strisce pedonali’ e la investiva, cagionandole lesioni gravi, con inabilità permanente pari all’80% . Inutile si rivela il ricorso proposto in Cassazione dal legale dell’uomo. Inutile, in particolare, il richiamo al fatto che in occasione del fattaccio l’impianto semaforico proiettava luce verde nel senso di marcia impegnato dall’automobilista. A questo proposito, difatti, i Giudici del Palazzaccio parlano di circostanza neutra , poiché ciò che conta è che l’uomo al volante, pur trovandosi su un rettilineo in prossimità di un impianto semaforico e di ‘strisce pedonali’ , non ha previsto l’attraversamento del pedone e non lo ha evitato, magari ricorrendo a una manovra di emergenza . E il comportamento imprudente del pedone non è comunque sufficiente, secondo i magistrati, a ridurre le responsabilità dell’automobilista.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 29 novembre 2018 – 7 febbraio 2019, n. 5888 Presidente Piccialli – Relatore Nardin Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13 dicembre 2017 il Giudice di Pace di Brescia ha condannato A.M. alla pena di Euro milleseicento di multa ritenendolo responsabile del reato di cui all'art. 590 cod. pen., perché per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché nella violazione dell'art. 145 C.d.S., alla guida della sua autovettura ometteva di dare la precedenza al pedone F.F.R., che stava attraversando la carreggiata sulle strisce pedonali, investendola e cagionandole lesioni gravi, con inabilità permanente pari all'80%. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato formulando tre motivi di impugnazione. 3. Con il primo denuncia l'errata applicazione dell'art. 521 cod. proc. pen. sussistendo la difformità fra la contestazione contenuta nel capo di imputazione ed il fatto ritenuto in sentenza. Rileva che con la contestazione si attribuiva all'imputato di avere omesso di dare la precedenza al pedone che stava attraversando sulle strisce pedonali, con impianto semaforico pedonale spento, mentre l'istruttoria dibattimentale, in relazione alle condizioni dell'impianto semaforico, aveva dimostrato che il medesimo proiettava luce verde nel senso di marcia impegnato dal Ma Osserva che a ciò era conseguita l'impossibilità per la difesa, che aveva fatto affidamento sulla contestazione, di calibrare gli approfondimenti su velocità del veicolo, condizioni del fondo stradale, distanza fra pedone ed autoveicolo. 4. Con il secondo motivo fa valere la violazione di legge con riferimento all'art. 121 cod. pen. ed il vizio della motivazione della sentenza nella parte in cui rigetta l'eccezione di difetto di procedibilità per nullità della querela, in quanto sottoscritta da soggetto gravemente menomato sotto il profilo neurologico, non essendo stata accertata la sua capacità di intendere e di volere al momento della sottoscrizione dell'atto, ma solo nel momento storico in cui doveva rendere le proprie dichiarazioni in giudizio. Sottolinea che l'elaborato peritale è stato redatto nell'anno 2015, allorché la querela è stata proposta nell'anno 2011 e che la condizione di incapacità di cui all'art. 121 cod. pen. comprende anche le ipotesi in cui la persona offesa non è in grado di comprendere l'importanza morale e giuridica della querela, come nel caso di specie, tanto più che in siffatte ipotesi il termine per la proposizione della querela decorre dalla nomina del curatore, su richiesta del pubblico ministero. In questo caso, nondimeno, il G.d.P. avvedutosi, a seguito della perizia disposta, non affronta la questione dell'incapacità al momento della proposizione della querela, né dà conto delle conclusioni della consulenza presentata dalla difesa, per confutarla. 5. Con il terzo motivo lamenta la violazione della legge processuale in relazione agli artt. 192, 533, 605 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione, per avere la sentenza affermato la penale responsabilità dell'imputato, al di là di ogni ragionevole dubbio, in assenza di indizi gravi precisi e concordanti ed a fronte di ipotesi alternative valide. In particolare, sostiene che il G.d.P. non abbia tenuto in considerazione la deposizione della testimone diretta del fatto Ba. Sm., la quale ha dichiarato che di avere sentito una passeggera dell'autobus che stava conducendo affermare che la persona offesa attraversò di corsa, lontano dalle strisce pedonali. Un esame più scrupoloso avrebbe consentito al giudicante di non fermarsi ad una motivazione apodittica, affrontando l'imprevedibilità dell'improvviso comportamento della R., da ritenersi interruttivo del nesso causale. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere rigettato. 2. La prima doglianza che occorre affrontare riguarda il vizio di violazione della legge processuale inerente l'applicazione degli artt. 516 e 522 cod. proc. pen. per difetto di correlazione tra l'imputazione contestata e la medesima sentenza di primo grado. Si tratta di una di questione estremamente delicata perché involge il diritto di difesa, alla luce del canone di cui all'art. 24 Cost, rispetto all'esercizio del quale viene messa in dubbio l'estensione della condotta giudicabile rispetto a quella contestata all'atto del rinvio a giudizio, in assenza di una modifica del capo di imputazione. Va immediatamente richiamato l'arresto delle Sezioni Unite che hanno chiarito come In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l' iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 dep. 13/10/2010, Carelli, Rv. 24805101 . Si tratta di un principio che è stato declinato anche in materia di reati colposi, rispetto ai quali si è ritenuta insussistente la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014 dep. 19/08/2014, Denaro e altro, Rv. 26016101 Sez. 4, Sentenza n. 19028 del 01/12/2016 Ud. dep. 20/04/2017 Rv. 269601 . 1. Nel caso di specie il Giudice di pace ha direttamente affrontato la questione, posta anche nel giudizio di primo grado, sottolineando l'insussistenza di un'incompatibilità sostanziale fra il fatto emerso nell'istruttoria e quello descritto nel capo di imputazione. Ed invero, l'unica circostanza difforme dalla descrizione contenuta nella contestazione è quella relativa al funzionamento dell'impianto semaforico al momento del sinistro, descritto come non funzionante e che, invece, dai rilievi effettuati e dalle testimonianze raccolte in particolare dalla conducente dell'autobus che occupava la corsia di marcia opposta a quella del Ma. è risultato certamente acceso e proiettante luce verde in favore dell'auto investitrice. Riguardo ad una simile minima divergenza il giudice di pace introduce una riflessione del tutto condivisibile. Non solo, infatti, segnala che la questione del funzionamento dell'impianto semaforico era chiaramente desumibile dai rilievi della polizia giudiziaria, ed era quindi presente nel fascicolo del dibattimento, il che consentiva all'imputato la più ambia difesa nel giudizio, ma osserva che la circostanza si risolve in un elemento favorevole al Ma., poiché dimostra che il pedone aveva attraversato quando la luce semaforica per l'automobilista era verde, e dunque senza attendere l'accensione della luce pedonale che consentiva il via libera. Ebbene non può che concordarsi con il giudicante sul fatto che nessun difetto di difesa può scaturire da una circostanza ampiamente conosciuta dall'imputato, da cui non deriva alcun pregiudizio difensivo e che, addirittura, introduce un dato più favorevole alla sua difesa. Peraltro, il ricorrente neppure indica quali sarebbero stati gli atti difensivi che la pretesa violazione del principio tra accusa e difesa gli ha impedito di svolgere. 2. Il secondo motivo è infondato. La sentenza affronta espressamente il problema della proposizione di querela da parte di un soggetto infermo di mente, non dichiarato interdetto né inabilitato. Ed in modo del tutto logico e lineare richiama gli esiti della perizia disposta in giudizio, proprio a seguito della sollecitazione difensiva e, ricordato che le difficoltà espressive orali e scritte della persona offesa derivano dal sinistro, riporta le conclusioni del perito secondo il quale la querelante conserva sufficiente capacità cognitiva e che percepisce di essere stata vittima di un sinistro e di avere subito lesioni. Su questa base il G.d.P. considera valida ed efficace la querela. Si tratta di una motivazione del tutto coerente, in linea con la giurisprudenza di questa Corte cfr. È valida la querela presentata in proprio dall'infermo di mente, non dichiarato interdetto né inabilitato, in quanto la nomina di un curatore speciale, su istanza del P.M., è necessaria solo nel caso in cui la persona offesa non possa proporre querela a causa della propria infermità. Sez. 3, n. 42480 del 04/11/2010 dep. 01/12/2010, P.G. e P.M. in proc. Z., Rv. 24875801 , pure richiamata dalla decisione, rispetto alla quale la censura proposta, secondo cui il giudice non avrebbe preso in considerazione le conclusioni del consulente di parte, si pone come del tutto generica, non richiamando i passi della consulenza che intende contrapporre alla perizia, sicché non è neppure possibile valutare l'eventuale rilevanza delle difformi conclusioni, né l'effettiva difformità. 3. L'ultimo motivo è inammissibile. Esso si risolve, invero, nella mera richiesta di rivalutazione delle prove raccolte, non corrispondendo, peraltro, al contenuto della motivazione il mancato esame delle dichiarazioni della teste Ba. Sm., conducente dell'autobus che viaggiava in direzione opposta all'autoveicolo condotto dal Ma Alla deposizione, infatti, il giudice dedica ampia considerazione e -ritenendola del tutto attendibile ne desume che il semaforo proiettasse luce verde per l'imputato, circostanza. Siffatta circostanza, tuttavia, se non favorevole, è quantomeno neutra per l'imputato, posto che il giudice attribuisce all'investitore -che si trovava su un rettilineo, in prossimità di un impianto semaforico e di strisce pedonali il non aver previsto l'attraversamento del pedone ed evitato, anche con manovra di emergenza. Il comportamento del pedone, pur imprudente, infatti, correttamente non è stato ritenuto inquadrabile fra quelli del tutto eccezionali interruttivi del nesso di causalità. 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.