Urla, si dimena, si denuda e rende difficile il controllo dei carabinieri: è «resistenza passiva»

Caduta l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale l’opposizione di un uomo alla perquisizione prima e al trasferimento in caserma poi. Per i Giudici ci si trova di fronte a un uso moderato della forza verso i militari dell’Arma

Opporsi alla perquisizione e renderla più difficile non può valere una condanna per resistenza a pubblico ufficiale . A dirlo sono i Giudici della Cassazione, che hanno cancellato questa accusa – confermata, invece, quella per oltraggio” – nei confronti di un uomo che ha reso parecchio complicato il controllo operato da due carabinieri Cassazione, sentenza n. 5209/2019, Sezione Sesta Penale, depositata il 1° febbraio 2019 . Violenza. Riflettori puntati sul comportamento tenuto da un uomo di fronte a due militari dell’Arma. In sostanza, emerge che egli si è opposto alla perquisizione, e per questo finisce sotto processo. I dettagli dell’episodio convincono i Giudici, prima in Tribunale e poi in Appello, a ritenere concreto il reato di resistenza a pubblico ufficiale . Inequivocabili, difatti, vengono ritenute le azioni compiute dinanzi ai due carabinieri in particolare, l’uomo ebbe a dimenarsi e a denudarsi, si mise ad urlare e poi si rifiutò di seguire in caserma i militari, finché questi cercarono di prenderlo di peso mentre egli aveva provato a divincolarsi e ad aggrapparsi ad un palo . Di parere diverso, invece, sono i magistrati della Cassazione, i quali catalogano i gesti compiuti dall’uomo nei confronti dei due esponenti dell’Arma come esempio di mera resistenza passiva . Per i Giudici di legittimità, difatti, non vi è stata alcuna violenza oppositiva ma solo azioni che hanno reso più difficile l’attività di perquisizione . E comunque è ravvisabile solo quel moderato uso della forza che si risolve in una resistenza passiva , quindi non punibile, concludono i magistrati.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 gennaio – 1 febbraio 2019, n. 5209 Presidente Fidelbo – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 6/3/2018 la Corte di appello di Salerno ha confermato quella del Tribunale di Salerno in data 14/4/2016, con cui Fa. Ma. Gi. è stato riconosciuto colpevole dei delitti di resistenza e oltraggio. 2. Ha proposto ricorso il Fa. Ma. tramite il suo difensore. 2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto nessuna azione violenta era attribuibile all'imputato, in assenza di violenza diretta ad opporsi all'atto dell'ufficio e a porre in pericolo l'incolumità dei pubblici ufficiali, essendo al più ravvisabile una mera resistenza passiva, risolventesi in una mancata collaborazione. 2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al delitto di oltraggio, in quanto non era stato attestato che l'offesa fosse stata percepita da più persone. Considerato in diritto 1. Il primo motivo, riguardante il delitto di resistenza, è fondato. La doglianza è incentrata sulla mancata individuazione di una violenza diretta ad opporsi all'atto dell'ufficio e sulla configurabilità semmai di una resistenza passiva, penalmente irrilevante. Deve sul punto osservarsi che la sentenza impugnata non ha dato conto di una violenza oppositiva del ricorrente, avendo fatto apoditticamente riferimento solo alla circostanza che il Fa. Ma. ebbe a rendere più difficile l'attività di perquisizione, ma avendo altresì escluso una violenza fisica esercitata contro la persona dei militari operanti e non avendo indicato in che cosa la violenza oppositiva sarebbe consistita. Dalla sentenza di primo grado risulta che il ricorrente ebbe a dimenarsi e a denudarsi, si mise ad urlare, proferendo in particolare le frasi addebitategli a titolo di oltraggio, e si rifiutò di seguire in Caserma i militari, finché gli operanti cercarono di prenderlo di peso, avendo il ricorrente in tale frangente cercato di divincolarsi e di aggrapparsi ad un palo. Sta di fatto che il delitto di resistenza presuppone il ricorso alla violenza o alla minaccia che devono essere finalizzate ad opporsi al compimento dell'atto di ufficio. La violenza in particolare implica l'uso della forza fisica, che deve essere funzionale alla realizzazione dell'intendimento oppositivo, fermo restando che non ricorre il delitto contestato allorché l'atto del divincolarsi si risolva in una mera resistenza passiva, caratterizzata da un uso moderato della forza, non specificamente diretto contro il pubblico ufficiale e dunque tale da esprimere la volontà di non collaborare al compimento dell'atto si rinvia al principio affermato da Cass. Sez. 6, n. 10136 del 6/11/2012, Roccia, rv. 254764 . Nel caso di specie in realtà la condotta del ricorrente non è stata ricondotta all'intendimento di sottrarsi al controllo, guadagnando la fuga, non essendo stato inoltre descritto alcun comportamento violento specificamente rivolto contro i militari. In tale quadro è certamente ravvisabile quel moderato uso della forza, risolventesi in una resistenza passiva, che impedisce di ravvisare quell'effettiva violenza oppositiva che sola può integrare il contestato delitto di resistenza. Di qui l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione al delitto di cui all'art. 337 cod. pen. 2. E' invece manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso, riguardante il delitto di oltraggio. Non è invero contestato che fosse presente al fatto una pluralità di persone, ma si assume che tali persone non avrebbero udito la frase pronunciata dal ricorrente o che comunque di ciò non sia stata data prova. Si tratta di doglianza priva di rilievo, in quanto, secondo quanto ripetutamente affermato, il delitto di cui all'art. 341-ò/s cod. pen. è integrato allorché sia presente una pluralità di persone, le quali possano udire le espressioni offensive, essendo invece irrilevante che le abbiano percepite effettivamente, in quanto la mera potenzialità costituisce aggravio psicologico che può compromettere l'attività del pubblico ufficiale Cass. Sez. 6, n. 29406 del 6/6/2018, Ramondo, rv. 273466 Cass. Sez. 6, n. 19010 del 28/3/2017, Trombetta, rv. 269828 Cass. Sez. 6, n. 15440 del 17/3/2016, Saad, rv. 266546 . Su tali basi il motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 3. A seguito dell'annullamento della sentenza in relazione al delitto di resistenza, si impone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Napoli, che procederà alla determinazione della pena con riguardo al residuo reato di cui all'art. 341-bis cod. pen. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di resistenza perché il fatto non sussiste. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Napoli per la determinazione della pena per il residuo reato.