Muta il Collegio giudicante, quando la nullità della sentenza?

Alle Sezioni Unite il dubbio se l’immutabilità del giudicante ex art. 525 c.p.p. debba essere intesa sin dall’ammissione delle prove, fino alle escussioni testimoniali ed alla deliberazione. Inoltre, in caso di mutamento del Collegio, il silenzio serbato dalle parti equivale a consenso alle prove già acquisite?

Così la Cassazione, Sesta Sezione Penale, n. 2977/2019, depositata il 22 gennaio. Le questioni rimesse alle Sezioni Unite. Si tratta di una dinamica processuale assai frequente nelle aule giudiziarie, di grande interesse le soluzioni attese. Una locale Corte d’Appello aveva annullato la sentenza di condanna di primo grado a carico di un imputato per fatti di spaccio di sostanze stupefacenti ex d.P.R. n. 309/1990, rilevato che non risultava la perfetta coincidenza fra i giudici che avevano ammesso le istanze istruttorie delle parti costituite ex artt. 190 e 495 c.p.p. e quelli che avevano assistito alle escussioni testimoniali – mutato un componente del collegio -, in asserito contrasto con il principio di immutabilità del giudice ex art. 525, comma 2, c.p.p., statuito a pena di nullità assoluta della decisione giudiziale. In breve, non era sussistita perfetta identità del collegio giudicante in ogni parte dell’excursus dibattimentale. A seguito di ricorso per Cassazione del Procuratore generale, gli Ermellini riscontrano un contrasto giurisprudenziale da dirimere mediante rinvio alle Sezioni Unite, anche in ordine alla rilevanza da attribuire, nel caso su specificato, dell’acquiescenza delle parti processuali all’acquisizione delle prove disposte dal collegio prima della sua mutazione. La forza del principio di immutabilità del collegio giudicante ex art. 525 c.p.p., in caso di sostituzione di un componente. Due gli orientamenti. Il primo, meno rigoroso – cfr. Sezioni Unite n. 2/1999, c.d. Iannasso – ammette che, in caso di mutamento di un componente del Collegio, debba disporsi una nuova ordinanza di ammissione delle prove testimoniali solo quando le parti lo richiedano e non mostrino acquiescenza a quelle già acquisite, altrimenti potendo ammettersi la lettura delle dichiarazioni precedentemente rese. Altrove si è più chiaramente ammesso – con il favore della Sezione remittente - che il giudice dell’ammissione della prova dichiarativa e quello dell’assunzione possano non coincidere, salvo obiezione delle parti – le quali, se non acquiescenti, possono chiedere che di fronte al nuovo collegio si disponga ogni fase dibattimentale, sin dall’ammissione della prova -. Altro orientamento, più rigoroso e sposato dalla sentenza della Corte d’appello oggetto di ricorso, estende il principio di immutabilità del giudice ad ogni frammento dibattimentale, restando esclusa solo l’adozione dei provvedimenti ordinatori, quali i semplici rinvii per i medesimi incombenti finanche la dichiarazione di apertura del dibattimento o la verifica della regolare costituzione delle parti ex art. 491 c.p.p Quale il peso da riconoscere all’acquiescenza delle parti al mutamento del Collegio giudicante? Un orientamento prevalente ammette che il consenso, anche per via implicita, delle parti costituite alle prove ammesse dal collegio mutato, impedisca la nullità della sentenza emessa. Altro orientamento minoritario richiede un surplus comportamentale delle parti, in specie l’evidenza – anche per via implicita ! – che le parti medesime abbiano inteso acconsentire all’acquisizione di quelle prove, non bastevole il mero silenzio o l’omissione di alcun comportamento. In quest’ultimo caso, si è inteso sollecitare il giudice a porre all’attenzione delle parti l’avvenuta mutazione del collegio, sicché queste possano liberamente e più coscientemente manifestare il loro eventuale dissenso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, ordinanza 15 – 22 gennaio 2019, n. 2977 Presidente Paoloni – Relatore Aprile Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di L’Aquila dichiarava la nullità della pronuncia di primo grado del 18/04/2017 con la quale il Tribunale di Chieti in composizione collegiale aveva condannato B.K. alla pena di giustizia in relazione ad una serie di reati di spaccio di sostanza stupefacente, commessi - in concorso con M.M. e H.D. , nei cui confronti si procede separatamente - in varie località, tra l’ omissis e il omissis . Con ordinanza avente pari data, la Corte revocava la misura cautelare custodiale cui era sottoposto l’appellante, disponendone la scarcerazione. Rilevava la Corte di appello come la sentenza di primo grado fosse stata emessa in violazione del principio di immutabilità del giudice previsto dall’art. 525 c.p.p., comma 2, in quanto il collegio giudicante era stato modificato con la sostituzione di uno dei suoi tre componenti tra la prima udienza del 04/10/2016 nella quale era stata dichiarata l’apertura del dibattimento e adottata l’ordinanza di ammissione delle prove, e le udienze successive nelle quali erano stati assunti i mezzi di prova testimoniale, sicché alla deliberazione avevano concorso magistrati in parte diversi da quelli che avevano partecipato al dibattimento, inteso in tutti i momenti successivi alla sua dichiarazione di apertura e come fosse irrilevante la circostanza che le parti avessero prestato acquiescenza alla utilizzazione delle prove acquisite dal precedente collegio, tenuto conto che quella inosservanza aveva determinato una nullità assoluta della sentenza, non potendo trovare applicazione alcuna delle cause di decadenza o di sanatoria di cui agli artt. 182 e 183 cod. proc. pen 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso quella Corte territoriale, il quale, con un unico motivo, ha dedotto la inosservanza ovvero l’erronea applicazione della suddetta norma del codice di rito, per avere il Giudice di secondo grado omesso di considerare che il Tribunale che aveva deliberato la prima decisione era composto dai tre magistrati dinanzi ai quali si era svolta l’intera istruttoria dibattimentale, essendosi il precedente collegio limitato ad ammettere, con ordinanza, le prove, prima che intervenisse il mutamento della sua composizione nonché per non avere tenuto conto che, in ogni caso, dopo quella sostituzione di uno dei componenti del collegio, le parti non avevano chiesto la rinnovazione dell’assunzione di alcun mezzo di prova, avendo prestato implicitamente il consenso alla lettura delle dichiarazioni precedentemente assunte. 3. Ritiene questa Corte che l’esame del ricorso imponga la decisione di due questioni, tra loro complementari, aventi ad oggetto l’esatta definizione dell’ambito applicativo del principio della immutabilità del giudice, fissato dall’art. 525 c.p.p., comma 2, secondo cui alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento , che, come noto, è regola funzionale al rispetto dei principi di oralità e di immediatezza che costituiscono altrettanti cardini del sistema processuale accusatorio introdotto nel 1989. Al riguardo va registrato come nella giurisprudenza di questa Corte si siano delineati difformi indirizzi interpretativi. 3.1. Per una disamina delle varie opzioni esegetiche di volta in volta privilegiate dalla Corte, appare opportuno partire dalla sentenza Iannasso del 1999, con la quale le Sezioni Unite ritennero di delineare i principi che avrebbero dovuto governare l’applicazione della norma processuale in esame. Con tale pronuncia l’Alto Consesso ebbe a puntualizzare che, nel caso di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, la testimonianza raccolta dal primo giudice non è utilizzabile per la decisione mediante semplice lettura, senza ripetere l’esame del dichiarante, quando questo possa avere luogo e sia stato richiesto da una delle parti. Nell’enunciare tale principio la Corte sottolineò che, allorquando nel corso del dibattimento rinnovato a causa del mutamento del giudice nessuna delle parti riproponga la richiesta di ammissione della prova assunta in precedenza, il giudice può di ufficio disporre la lettura delle dichiarazioni precedentemente raccolte nel contraddittorio delle parti e inserite legittimamente negli atti dibattimentali Sez. U, n. 2 del 15/01/1999, Iannasso ed altro, Rv. 212395 . In dettaglio, le Sezioni Unite - pure valorizzando i dicta della giurisprudenza costituzionale cfr. C. cost., sent. n. 17 del 1994 e C. cost., ord. n. 99 del 1996 - dirimendo il contrasto che era sorto nella giurisprudenza delle Sezioni semplici, evidenziarono che se è legittima l’allegazione al fascicolo per il dibattimento dei verbali delle prove acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale, svoltasi dinanzi al giudice poi sostituito, in caso di rinnovazione del dibattimento dinanzi al nuovo giudice, la lettura e, dunque, la utilizzabilità delle dichiarazioni raccolte nel dibattimento precedente è legittimamente compiuta solo se l’esame non abbia luogo , ovvero se l’esame non si compia per volontà delle parti, manifestata espressamente ovvero implicitamente con la mancata richiesta di riaudizione del dichiarante. Pur senza prendere precisamente posizione sulla questione, ma con una sorta di obiter dictum, le Sezioni Unite aggiunsero che la anzidetta lettura non è legittima quando l’ammissione della prova sia nuovamente richiesta e il giudice la ammetta ai sensi degli artt. 190 e 495 cod. proc. pen. , dunque prima che vi sia stato il riesame del dichiarante lasciando così intendere che la rinnovazione avrebbe dovuto riguardare tanto la formulazione delle istanze probatorie e l’adozione della relativa ordinanza ammissiva, quanto l’assunzione della prova dichiarativa. Dai passaggi argomentativi di tale sentenza era, dunque, arguibile come la disposizione dettata dall’art. 525 c.p.p., comma 2, da leggere in collegamento con l’art. 511, comma 2, stesso codice, secondo cui la lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l’esame della persona che le ha rese, a meno che l’esame non abbia luogo fosse stata interpretata nel senso che, in ipotesi di mutamento della composizione del giudice, l’adozione di una nuova ordinanza di ammissione della prova dichiarativa ed il riesame del relativo dichiarante sono attività necessarie solamente se le parti ne abbiano richiesta la riaudizione e che, al contrario, in mancanza di una tale istanza, ovvero in caso di consenso espressamente manifestato dalle parti o implicitamente desumibile dal silenzio da loro serbato, l’emissione di una nuova ordinanza di ammissione, ex artt. 190 e 495 cod. proc. pen., di quella prova non occorre e il giudice, nella sua nuova composizione, ben può dare direttamente lettura delle dichiarazioni rese nel corso della precedente istruttoria dibattimentale. 3.2. Le soluzioni innanzi esposte non sono state successivamente seguite dalle Sezioni semplici in maniera costante ed uniforme. Tanto è accaduto, in primo luogo, con riferimento alla esatta determinazione del significato partecipazione al dibattimento perché, se pacificamente si è ritenuto ininfluente il compimento da parte del giudice sostituito di attività meramente ordinatorie, come il rinvio del dibattimento ad altra udienza, ovvero di attività preliminari al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento ai sensi dell’art. 492 cod. proc. pen., è rimasto discusso se sia o meno rilevante, ai fini del rispetto del considerato principio dell’immutabilità, una diversità di composizione tra il giudice che ha disposto l’ammissione della prova dichiarativa e quello dinanzi al quale è avvenuta la sua assunzione. Per un primo orientamento giurisprudenziale, il principio di immutabilità mira ad assicurare l’identità tra il soggetto che delibera la sentenza e quello che ha presieduto alla raccolta della prova, sicché esige soltanto che a decidere sia lo stesso giudice che ha curato l’istruttoria dibattimentale ne consegue, si è detto, che non sussiste una violazione di quel principio e non causa alcuna nullità la circostanza che il giudice collegiale che ha disposto l’acquisizione della prova non precostituita sia diverso dal collegio che ha proceduto all’assunzione della prova e alla successiva deliberazione finale in questo senso Sez. 5, n. 1759/12 del 04/10/2011, Della Bona, Rv. 251727 Sez. 3, n. 42509 del 25/09/2008, Bagalini, Rv. 241534 . Tale impostazione - in apparenza non conforme alle indicazioni della sentenza Iannasso, ma che questo collegio reputerebbe di dover privilegiare in quanto più condivisibile - è stata seguita anche da altre pronunce, nelle cui enunciazioni è possibile riconoscere una variante essendo stato sì ribadito che il principio di immutabilità esige soltanto che a decidere sia lo stesso giudice che ha presieduto all’istruttoria, ma è stato aggiunto che non sussiste alcuna violazione di tale principio qualora, successivamente al provvedimento di ammissione delle prove ma prima dell’inizio dell’istruttoria dibattimentale, muti l’organo giudicante, solo in assenza di obiezione o esplicita richiesta delle parti di rivisitazione dell’ordinanza ex art. 495 cod. proc. pen. così Sez. 6, n. 18615 del 16/04/2013, Poloni, Rv. 254843 Sez. 6, n. 43005 del 03/04/2012, P., Rv. 253789 la prima di tale due pronunce è stata espressamente richiamata nella motivazione della sentenza emessa nel primo grado del presente procedimento, con la quale il Tribunale di Chieti ebbe a dichiarare la infondatezza della eccezione di nullità formulata, peraltro solo nel corso della discussione finale, dal difensore di un imputato non appellante . Secondo un diverso orientamento giurisprudenziale - di cui vi è traccia nella motivazione della sentenza di secondo grado oggetto del ricorso oggi in esame il principio di immutabilità sancito dall’art. 525 c.p.p., comma 2 riguarda l’effettivo svolgimento dell’intera attività dibattimentale, restandone esclusa solo l’adozione dei provvedimenti ordinatori miranti all’ordinato svolgimento del processo con la conseguenza, si è sostenuto, che il giudice il quale decide sulla richiesta delle prove, ammettendole o negandone l’ammissione, non può non essere lo stesso che delibera la sentenza. Regula iuris, questa, che significativamente è stata enunciata con riferimento ad una fattispecie nella quale il più volte menzionato art. 525, comma 2, è stato ritenuto violato per la diversa composizione del collegio che aveva raccolto le conclusioni dei periti, rispetto a quella del collegio che aveva ammesso la prova, disposto la perizia e conferito l’incarico così in Sez. 4, n. 48765 del 15/07/2016, Incerti, Rv. 268875 in senso conforme Sez. 1, n. 35669 del 17/01/2003, Prinzivalli, Rv. 226066 e, prima della sentenza Iannasso, Sez. 6, n. 543/98 del 04/11/1997, Carella, v. 209238 Sez. 4, n. 8411 del 08/05/1996, Buscioni, Rv. 206456 . In tale ottica - seguendo un indirizzo accreditato da autorevole dottrina - si è sostenuto che ciò che è impegnativo non è tanto il momento della formale declaratoria di apertura del dibattimento ai sensi dell’art. 492 cod. proc. pen., quanto l’adozione della ordinanza sulla richiesta di prove a norma del successivo art. 495 cod. proc. pen. ne deriverebbe che il principio dell’immutabilità del giudice può dirsi non violato solamente quando il giudice che ha svolto l’istruttoria e assunto la decisione finale, non sia lo stesso che ha compiuto l’accertamento della regolare costituzione delle parti e che ha dichiarato l’apertura del dibattimento in questo senso Sez. 2, n. 31924 del 11/07/2013, Pierini, Rv. 256791 Sez. 2, n. 14068 del 18/01/2007, Miano, Rv. 236456 . 3.3. Anche con riferimento all’altra indicata questione - concernente l’esatta definizione dei presupposti per ritenere che, in caso di mutamento della composizione del giudice, le parti che non abbiano domandato la rinnovazione dell’istruttoria, abbiano così implicitamente manifestato il consenso alla lettura delle dichiarazioni rese prima del cambiamento del giudice - è riconoscibile un contrasto nella giurisprudenza di legittimità. Nettamente prevalente è il filone interpretativo - in apparenza più coerente alla impostazione offerta dalle Sezioni unite nella richiamata sentenza Iannasso - secondo il quale non sussiste la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 525 c.p.p., comma 2, qualora le prove siano valutate da un collegio in composizione diversa da quello davanti al quale le stesse siano state acquisite, e le parti presenti non si siano opposte, né abbiano esplicitamente richiesto di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in quanto, in tal caso, si deve intendere che esse abbiano prestato consenso, sia pure implicitamente, alla lettura degli atti suddetti così, tra le molte, Sez. 5, n. 36813 del 23/05/2016, Renzulli e altri, Rv. 267911 Sez. 5, n. 44537 del 10/03/2015, Barillari e altro, Rv. 264683 Sez. 6, n. 53118 del 08/10/2014, Colorisi e altri, Rv. 262295 Sez. 5, n. 5581/14 del 30/09/2013, Righi, Rv. 259518 . A tale indirizzo se ne è contrapposto un altro, allo stato minoritario, che richiede qualcosa di più per poter ritenere che il precetto contenuto nell’art. 525 c.p.p., comma 2, non sia stato violato. Si è asserito, infatti, che, in caso di intervenuta modifica della composizione del collegio, il consenso alla omessa rinnovazione del dibattimento può essere manifestato anche in forma tacita, a condizione però che il comportamento silente della parte sia univoco e, cioè, che ad esso possa essere attribuito esclusivamente il significato di acconsentire all’utilizzo delle prove precedentemente assunte. Secondo questo diverso inquadramento, il silenzio serbato dalle parti del processo è un dato di per sé neutro, che necessita di essere riempito con il riferimento ad ulteriori circostanze significanti quale, ad esempio, una qualche forma di richiesta o di sollecitazione formulata al giudice nella nuova composizione che possano dare al comportamento omissivo una valenza univoca in questo senso Sez. 6, n. 17982/18 del 21/11/2017, Mancini, Rv. 273005, per la quale il giudice nella nuova composizione deve sempre chiedere alle parti se intendano procedere alla materiale rinnovazione dell’attività dibattimentale compiuta o se, invece, intendano direttamente utilizzare quella già espletata conf. Sez. 2, n. 41932 del 03/04/2017, Troia e altro, Rv. 271075 . Criterio ermeneutico, questo, che si è reputato di accreditare laddove l’attività svolta dal giudice abbia potuto ingenerare nelle parti incomprensioni o equivoci, come, ad esempio, deve ritenersi si verifichi in tutti i casi in cui il mutamento della composizione soggettiva del giudice sia avvenuto nel corso del dibattimento o della discussione finale, senza essere stata in alcun modo evidenziato all’attenzione delle parti interessate in questo senso, in specie, Sez. 3, n. 12234 del 04/02/2014, F., Rv. 258703 . 4. Sussiste, dunque, un contrasto giurisprudenziale che, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma 1, giustifica la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte, chiamata a decidere le seguenti questioni - se il principio di immutabilità del giudice, sancito dall’art. 525 c.p.p., comma 2, riguarda l’effettivo svolgimento dell’intera fase successiva alla dichiarazione di apertura del dibattimento, comprensiva anche del momento della formulazione delle richieste delle prove e/o di quello dell’adozione della relativa ordinanza di ammissione, oppure è principio che inerisce solo alla fase dibattimentale dell’assunzione delle prove dichiarative - se per il rispetto del principio di immutabilità del giudice, sancito dall’art. 525 c.p.p., comma 2, in caso di mutamento della composizione del giudice dopo l’assunzione delle prove dichiarative, è sufficiente solo accertare che le parti non si siano opposte alla lettura delle dichiarazioni raccolte nel precedente dibattimento oppure occorre verificare la presenza di ulteriori circostanze processuali che rendano univoco il comportamento omissivo degli interessati . P.Q.M. Visto l’art. 618 c.p.p., comma 1, rimette il ricorso alle Sezioni Unite.