La condotta compartecipativa del singolo nel reato di violenza sessuale di gruppo

Ai fini dell’integrazione del reato di violenza sessuale di gruppo, non è necessario che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, ma è sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale alla commissione del delitto.

Così la Corte di cassazione con sentenza n. 2721/19, depositata il 21 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado che assolveva un cittadino nigeriano per i reati di rapina aggravata, sequestro di persona, violenza sessuale di gruppo nei confronti di una concittadina e porto di pistola. Così il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello propone ricorso per cassazione per vizio di travisamento della prova. La violenza sessuale di gruppo. Il reato di violenza sessuale di gruppo richiede per la sua integrazione, oltre all’accordo delle volontà dei compartecipi al delitto, anche la effettiva simultanea presenza di costoro nel luogo e nel momento di consumazione del reato, senza che ciò comporti la necessità che ciascun compartecipe ponga in essere un’attività tipica di violenza sessuale, potendo il singolo realizzare solo una parte del fatto colposo ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti . Ebbene nel caso di specie, l’imputato era presente sia dall’inizio della vicenda delittuosa e non per caso. Questi sono elementi che fanno capire come si debba considerare un compartecipe a tutti gli effetti, ossia ha concorso nel reato di violenza sessuale di gruppo e per tali motivi la Suprema Corte accoglie il ricorso del Procuratore Generale, annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte territoriale in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 dicembre 2018 – 21 gennaio 2019, n. 2721 Presidente Gallo – Relatore Borsellino Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna, respingendo l’appello proposto dal pubblico ministero, ha confermato la sentenza del Tribunale di Ravenna resa il 30 settembre 2014 che ha assolto K.H. dai reati di rapina aggravata, sequestro di persona, violenza sessuale di gruppo e lesioni in danno della cittadina nigeriana P.U. e di porto di pistola, tutti commessi in concorso con altri quattro soggetti di cui uno rimasto ignoto e gli altri separatamente giudicati. 2.Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso in data 18 settembre 2018 il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bologna deducendo 2.1 vizio di motivazione in quanto la corte territoriale ha confermato la pronunzia assolutoria sulla scorta di argomentazioni manifestamente illogiche, che integrano il vizio di travisamento della prova, poiché ha ritenuto non raggiunta la prova della colpevolezza dell’imputato, in ragione delle incerte propalazioni del coimputato E.Z.N. e del mancato riconoscimento fotografico dell’imputato da parte della vittima della brutale aggressione, escludendo la sua specifica compartecipazione, nonostante l’imputato avesse ammesso la sua presenza sul luogo della feroce aggressione in danno della U. . Così facendo, la corte avrebbe attribuito rilevanza primaria alle dichiarazioni di uno dei coimputati anziché a quelle della persona offesa, la cui credibilità ha trovato in atti numerose conferme. Dal narrato della vittima emerge che fu consumata una violenza di gruppo e che ciascuno degli imputati presenti partecipò allo stupro, sebbene ciascuno attribuisse agli altri la responsabilità esclusiva dello stupro, non conoscendo le regole giuridiche del concorso di persone. Rileva il ricorrente che le dichiarazioni degli imputati confermano la credibilità della denunzia della persona offesa, la quale ha sempre sostenuto che furono in cinque a brutalizzarla, tutti avvicendandosi su di lei per violentarla a turno. La corte di appello pur riconoscendo l’attendibilità della persona offesa non ha creduto alla sua versione, sottolineando che, pur avendo riferito con sicurezza di essere stata violentata da tutti e cinque gli uomini presenti, non era stata in grado di precisare la sequenza degli atti e l’avvicendarsi dei violentatori e di attribuire ai singoli le specifiche aggressioni subite e avrebbe potuto confondersi al riguardo. Manifestamente illogica è poi il costrutto della sentenza che sminuisce la fonte di prova diretta principale e valorizza le dichiarazioni di uno dei coimputati, il quale ha riferito che l’imputato non aveva potuto consumare lo stupro per la mancata erezione, senza considerare che la persona offesa non aveva fatto alcun riferimento a tale circostanza. Secondo un corretto ragionamento probatorio la costatazione che ad aggredire la persona offesa erano stati cinque individui di un medesimo gruppo e che di questo gruppo facesse parte anche l’imputato, come da lui stesso ammesso, conduce obbligatoriamente a ritenere la colpevolezza di quest’ultimo al pari degli altri, a prescindere dalla completezza o meno del rapporto sessuale intervenuto. Altrettanto paradossale la conseguenza che la corte fa derivare dal mancato riconoscimento fotografico -della persona offesa che ha portato il giudice ad assolvere l’imputato anche da tutte le altre imputazioni, mentre la mancata individuazione fotografica è superata dall’ammissione dell’imputato circa la sua presenza in occasione dei fatti criminosi. 2.2 Violazione dell’art. 609 quater c.p. poiché l’imputato ha ammesso di essere stato presente nel luogo dove si è consumato lo stupro di gruppo e la corte ne ha sostenuto l’estraneità, sebbene secondo giurisprudenza consolidata la partecipazione punibile non richiede che ognuna delle persone riunite compia un’aggressione sessuale in danno della vittima, essendo sufficiente e necessaria la effettiva presenza nel luogo e nel momento di consumazione del reato. I giudici di merito affermano che la presenza dell’imputato sul posto al momento dei fatti non è un elemento dimostrativo del suo concorso nei reati, in assenza di elementi che comprovino il suo concreto e personale apporto ad essi e, con ragionamento ingiustificato, scredita la chiamata in correità del coimputato anziché accordare primaria rilevanza alle dichiarazioni della persona offesa. Illogicamente la corte per un verso afferma che non residuano dubbi sulla presenza dell’imputato al momento dei fatti, avendola egli personalmente ammesso, e nel contempo sostiene che non è colpevole poiché non ha posto in essere compiutamente l’atto sessuale. Considerato in diritto Il primo motivo di ricorso è inammissibile. L’art. 608 c.p.p., comma 1 bis, inserito dalla L. 23 giugno 2017, n. 103 a decorrere dal 3 agosto 2017, stabilisce che se il giudice di appello pronunzia sentenza di conferma di quella di proscioglimento il ricorso per cassazione può essere solo proposto per i motivi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a , b e c . Ne consegue che avverso la sentenza con cui la corte di appello abbia confermato l’assoluzione pronunziata dal tribunale, come nel caso in esame, il ricorso del Procuratore Generale è consentito soltanto per violazione di legge penale e per difetto di giurisdizione, mentre non possono essere dedotti vizi della motivazione o derivanti dalla mancata assunzione di una prova decisiva. La sentenza oggetto del presente giudizio è stata pronunziata il 4 aprile 2018 e il ricorso per cassazione è stato proposto dal Procuratore generale il 18 settembre 2018, in epoca successiva all’entrata in vigore della novella suindicata, sicché il primo motivo di ricorso con cui si deducono vizi della motivazione deve ritenersi inammissibile. Il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce violazione dell’art. 609 octies c.p. è ammissibile e fondato. Il delitto di violenza sessuale di gruppo costituisce una fattispecie autonoma di reato, a carattere necessariamente plurisoggettivo, e richiede per la sua integrazione, oltre all’accordo delle volontà dei compartecipi al delitto, anche la simultanea effettiva presenza di costoro nel luogo e nel momento di consumazione dell’illecito, in un rapporto causale inequivocabile, senza che, peraltro, ciò comporti anche la necessità che ciascun compartecipe ponga in essere un’attività tipica di violenza sessuale, né che realizzi l’intera fattispecie nel concorso contestuale dell’altro o degli altri correi, potendo il singolo realizzare soltanto una frazione del fatto tipico ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 29/01/2004. Pacca ed altro, Rv. 227495 . Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, che il collegio condivide, ai fini dell’integrazione del reato di violenza sessuale di gruppo non occorre che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale alla commissione del reato, anche nel senso del rafforzamento della volontà criminosa dell’autore dei comportamenti tipici di cui all’art. 609-bis c.p. Sez. 3, n. 16037 del 20/02/2018 - dep. 11/04/2018, C., Rv. 27269901 . Facendo applicazione di questi principi questa Corte ha annullato la condanna di un soggetto che, dopo aver partecipato alla iniziale aggressione alla vittima, a scopo di rapina, si allontanava dal luogo prima che venisse consumata la violenza sessuale da parte degli altri componenti del gruppo malavitoso Sez. 3, n. 32928 del 16/04/2013 - dep. 30/07/2013, V, Rv. 25727501 . La previsione di un trattamento sanzionatorio più grave si connette, quindi, al riconoscimento di un peculiare disvalore alla partecipazione simultanea di più persone, poiché tale condotta partecipativa intensifica il grado di lesività del fatto, attesa la maggiore capacità di intimidazione del soggetto passivo, il pericolo della reiterazione di atti sessuali violenti, ed una più odiosa violazione della libertà di autodeterminazione sessuale della vittima. La contemporanea presenza di più di un aggressore è idonea a produrre, infatti, effetti fisici e psicologici particolari nella parte lesa, eliminandone o riducendone la forza di reazione, come avvenuto nel caso di specie. Ciò in quanto la presenza di più persone nel luogo della consumazione del reato realizza quell’effetto intimidatorio derivante dalla consapevolezza da parte della vittima, di essere in balia di un gruppo di persone, con accrescimento, quindi, del suo stato di prostrazione ed ulteriore diminuzione della possibilità di sottrarsi alla violenza. È stato altresì precisato che la partecipazione al reato di violenza sessuale di gruppo ricomprende qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero spettatore , sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva, Sez. 3, n. 44408 del 18/10/2011 - dep. 30/11/2011, B. e altri, Rv. 25161001 , atteso che la determinazione degli autori viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo. Sez. 3, n. 6464 del 05/04/2000 - dep. 01/06/2000, Giannuzzi F ed altro, Rv. 21697801 . Venendo al caso in esame, il Tribunale di Ravenna ha riconosciuto che l’imputato era presente sin dall’inizio della vicenda delittuosa, e non per caso poiché si trovava a bordo dell’auto in cui la persona offesa, dopo essere stata aggredita da tre correi, fu costretta a salire, auto che si diresse in aperta campagna, fermandosi, secondo il racconto della persona offesa riportato in sentenza, dopo circa mezz’ora in un luogo isolato in cui le reiterate violenze in danno della donna si protrassero per oltre due ore. Il tribunale ha assolto K. sul rilievo che il predetto non avrebbe attivamente partecipato al caricamento della donna nell’auto, che non era da lui condotta che non avrebbe posto in essere atti sessuali in danno della persona offesa e che la sua presenza sull’auto e nel luogo in cui vennero consumate le reiterate violenze non avrebbe influenzato la decisione degli altri correi, né fornito agli stessi sostegno morale. Anche la corte di appello ha affermato che la presenza dell’imputato sul posto e al momento dei fatti non è elemento dimostrativo del suo concorso nei reati, in assenza di elementi ulteriori ed aggiuntivi alla chiamata in correità del coimputato, E.Z. , che lo ha inserito nella sequenza della violenza sessuale, e alle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, che ha coinvolto tutti e cinque gli uomini presenti nello stupro. In particolare la corte ha sostenuto che la mera presenza sul posto non è seriamente indiziante, se non è connotata da concreto e riscontrato attivismo nell’illecito. Tale motivazione si pone in contrasto con i principi che la giurisprudenza di legittimità ha formulato in merito al delitto di violenza sessuale di gruppo, in quanto anche la mera presenza sul luogo del delitto, che venga percepita dalla vittima come adesiva alla volontà del gruppo, appare sufficiente ad integrare la partecipazione alla condotta illecita, sia in quanto rafforza l’intento criminoso degli altri correi, sia in quanto contribuisce a indebolire ulteriormente le capacità di reazione della persona offesa. D’altronde questa sezione ha avuto modo di affermare, seppure in relazione ad una fattispecie criminosa monosoggettiva, che anche la semplice presenza sul luogo dell’esecuzione del reato può essere sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa quando, palesando chiara adesione alla condotta dell’autore del fatto, sia servita a fornirgli stimolo all’azione e un maggiore senso di sicurezza. Fattispecie in tema di estorsione . Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013 - dep. 13/12/2013, Aloia e altri, Rv. 25797901 . Ed invero le diverse pronunzie di questa Corte in merito al concorso nel delitto di violenza di gruppo hanno riguardato vicende in cui il coimputato non sia stato presente sul posto per una parte della condotta, o si sia allontanato prima delle violenze, o abbia assunto comportamenti attivi sintomatici di una sua mancata adesione alle violenze in corso. Nel caso in esame, secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito, la presenza dell’imputato nel luogo in cui si sono consumate le violenze non era affatto casuale e il predetto si è trattenuto volontariamente per l’intero arco di tempo in cui si sono consumate dapprima la rapina, poi il sequestro e infine le reiterate violenze, ponendo in essere una condotta palesemente sintomatica della sua volontà di aderire alla iniziativa criminosa dei suoi compagni. Non sono emersi elementi probatori che inducano a ritenere la sua presenza meramente passiva, ad eccezione delle sue stesse dichiarazioni, ove si consideri che il coimputato E.Z. lo coinvolge nella sequenza degli autori dello stupro e anche la persona offesa non lo esenta da un ruolo attivo, né riferisce circostanze che possano palesare un suo dissenso anche solo verbale. Non va peraltro trascurato che l’art. 609-octies c.p., comma 4, prevede la circostanza attenuante del contributo di minima importanza, che è stata riconosciuta da questa corte di legittimità quando l’apporto del concorrente, tanto nella fase preparatoria quanto anche in quella esecutiva, sia stato di minima, lievissima e marginale efficacia eziologica, e, quindi, del tutto trascurabile nell’economia generale della condotta criminosa, Sez. 3, n. 31842 del 02/04/2014 - dep. 18/07/2014, P.G. in proc. M., Rv. 25993901 , mentre l’interpretazione della fattispecie incriminatrice fornita dalla corte territoriale ne riduce indebitamente l’ambito di applicazione alle ipotesi in cui l’apporto materiale o morale del soggetto presente alla violenza sessuale di gruppo sia causalmente rilevante o necessario, così offrendo una lettura della norma di fatto abrogatrice della attenuante speciale, che non potrebbe trovare mai applicazione. Nel caso in esame le emergenze processuali non evidenziano una comportamento sintomatico di una dissociazione dall’intento criminoso del gruppo ad opera dell’imputato che è stato presente per l’intera sequenza criminale. Si impone pertanto l’annullamento della sentenza per violazione di legge con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna poiché individui le emergenze processuali sintomatiche della sua mancata partecipazione alla violenza sessuale di gruppo a lui contestata, alla luce dei principi di diritto già formulati da questa Corte anche in ordine all’attenuante. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.