L’invio di foto pedopornografiche ad un amico di Facebook è meno grave della diffusione

Si configura l’ipotesi di cui all’art. 600-ter, comma 4, c.p. laddove l’agente invii materiale pedopornografico ad una persona determinata allegandole ad una mail o, come nel caso di specie, utilizzando il profilo Facebook del destinatario in modo che solo quest’ultimo possa prelevarle.

Con la sentenza n. 1647/19, depositata il 15 gennaio, la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati dai alcuni imputati condannati in primo e secondo grado per diversi reati di natura sessuale. Tra le diverse censure, alcune infondate ed altre inammissibili in quanto tendenti ad una rivalutazione del materiale probatorio, la Corte di legittimità analizza il profilo relativo all’inquadramento di uno dei reati contestati, inizialmente riferito all’art. 600- ter , comma 3, c.p. diffusione di materiale pedopornografico e poi riqualificato dal Tribunale ai sensi del successivo comma 4 cessione di materiale pedopornografico . Nel dettaglio, la condotta qui censurata era consistita nell’aver l’imputato inviato sul profilo Facebook di un suo amico un video e delle foto realizzate con il proprio cellulare durante gli atti sessuali compiuti. Qualificazione della condotta. Il Tribunale aveva operato tale riqualificazione osservando che non era stato effettuato alcun accertamento specifico sulle modalità di circolazione del video e delle foto che erano stati trasferiti tramite un sito internet che fornisce canali di comunicazione riservati a due interlocutori, oltre che accessibili ad un pubblico più ampio. Non si poteva dunque escludere che tali immagini siano rimaste confinate nella comunicazione tra i due soli soggetti interessati, motivo per cui è stata riconosciuta l’ipotesi delittuosa meno grave di cui al comma 4 dell’art. 600- ter . La Cassazione condivide tale argomentazione essendo coerente con il principio per cui sussiste il delitto di cui al comma 3 laddove il soggetto inserisca foto pedopornografiche in un sito internet accessibile a tutti, ovvero quando le immagini vengano inviate ad un gruppo o una lista di discussione da cui chiunque le possa scaricare. Si configura invece la meno grave ipotesi di cui al comma 4 quando l’agente invii le foto ad una persona determinata allegandole ad una mail o, come nel caso di specie, utilizzando il profilo Facebook del destinatario in modo che solo quest’ultimo possa prelevarle. La Corte esclude infine la sussiste della fattispecie di cui all’art. 600- quater , norma configurata dal legislatore come ipotesi residuale per le condotte riconducibili al detenere” e procurarsi” materiale pedopornografico. In tale contesto infatti le condotte di produzione, commercializzazione, diffusione e cessione di tale materiali restano autonomamente sanzionate dai primi 4 commi dell’art. 600- ter .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 settembre 2018 – 15 gennaio 2019, n. 1647 Presidente Di Nicola – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21 novembre 2017, la Corte di appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale di Salerno del 27 febbraio 2017, con cui O.I.A. , M.R. e M.D. erano stati rispettivamente condannati, la prima, alla pena di anni 3, mesi 9 di reclusione ed Euro 3.000 di multa, il secondo, alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione e, il terzo, alla pena di anni 5 di reclusione ed Euro 5.000 di multa, in ordine ai reati di cui all’art. 573 c.p. capo A, ascritto a M.R. e M.D. , 600 bis c.p., comma 2 capo B, addebitato a ciascun imputato , 600 ter c.p., comma 4, così riqualificata l’originaria imputazione di cui all’art. 600 ter, comma 3 contestata al capo C al solo M.D. e art. 609 bis c.p. capo D, ascritto soltanto a M.R. . In particolare, secondo la prospettiva accusatoria, M.R. e M.D. sottraevano nottetempo la minore U.M.V. , classe , dalla Comunità denominata omissis , luogo di residenza della ragazza ivi collocata dal Tribunale dei Minorenni di Salerno, trattenendola fino al giorno successivo presso un’abitazione nella loro disponibilità, compiendo, già durante il tragitto da omissis a omissis e poi nell’abitazione sita nella frazione di quest’ultimo Comune, atti sessuali in danno della minore, promettendole prima un regalo, poi una cena, quindi 20 Euro e infine un pacchetto di sigarette e consegnandole un biglietto per l’autobus e una decina di sigarette, fungendo O.I.A. , moglie di M.R. e cognata di M.D. da istigatrice e rafforzatrice della volontà degli esecutori materiali costoro venivano inoltre condannati per avere, M.R. , costretto la minore a subire i rapporti sessuali commettendo violenza, consistita nel saltarle addosso, abusando delle condizioni di inferiorità della stessa, e M.D. per aver divulgato sul profilo facebook di T.V. le fotografie e i video da lui registrati con il proprio telefono cellulare, durante i rapporti sessuali con la minorenne, fatti commessi nell’arco temporale compreso tra il omissis nel territorio dei Comuni di omissis e omissis . 2. Avverso la sentenza della Corte di appello salernitana, O.I.A. , M.R. e M.D. , tramite il loro comune difensore, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando ciascuno un motivo di ricorso, al quale si aggiunge un motivo comune a tutti i ricorrenti. 2.1. Nell’interesse di O.I.A. , è stata dedotta l’erronea applicazione dell’art. 600 bis c.p., comma 2, oltre che la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, relativamente alla qualità di istigatrice degli esecutori materiali, osservandosi che la ricorrente è stata estranea ai fatti, non avendo compiuto alcuna delle condotte sanzionate dalla norma incriminatrice e non entrando mai in contatto con la persona offesa. Rispetto al contenuto delle intercettazioni telefoniche, la difesa deduce poi che vi è stato un travisamento della prova, dovendosi escludere che le conversazioni del OMISSIS siano idonee a delineare una condotta illecita dell’imputata. Alcun concorso morale sarebbe stato dunque configurabile nel caso di specie, non rilevando in tal senso la semplice concessione in uso del proprio telefonino. La Corte di appello avrebbe in tal senso omesso di confrontarsi con i rilievi difensivi, limitandosi a un rinvio per relationem alla sentenza di primo grado. 2.2. Nell’interesse di M.R. , la difesa lamenta l’erronea applicazione dell’art. 609 bis c.p., commi 1 e 2, non essendo configurabile il reato contestato per l’inesistenza di alcuna azione violenta o costrittiva, per come riferito dalla stessa persona offesa, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione rispetto al mancato riconoscimento dell’attenuante della minore gravità, non avendo a tal proposito la Corte di appello specificato il livello di lesione dell’integrità psico-fisica della minore, per cui, come ritenuto anche dal Sostituto Procuratore generale dinanzi alla Corte territoriale, il fatto, pur a volerlo ritenere sussistente, era qualificabile in termini di lieve entità, essendo stata rispettata la libertà sessuale della minore. 2.3. Nell’interesse di M.D. , è stata invece censurata la violazione dell’art. 600 ter c.p., comma 3 e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla mancata applicazione dell’art. 600 quater c.p., osservandosi che la condotta dell’imputato si è esaurita, come da lui stesso ammesso, nell’inviare, con un messaggio del suo cellulare, una foto della sua bravata sul cellulare del suo amico T.V. . Tale comportamento era inquadrabile non nella fattispecie di cui all’art. 600 ter c.p., ma in quella meno grave di cui all’art. 600 quater c.p., non essendovi stata alcuna immissione nella rete di contenuti pedopornografici e non essendo in ogni caso ravvisabile alcuna possibilità di diffusione della foto trasmessa, peraltro non presente nel fascicolo processuale, fondandosi la condanna dell’imputato esclusivamente sulla sua dichiarazione confessoria. 2.4 Con il motivo comune a tutti i ricorrenti, viene censurato infine il diniego delle attenuanti generiche, evidenziandosi che i giudici di merito non avevano addotto alcuna motivazione soggettiva specifica sul punto, nonostante la diversità delle posizioni dei singoli imputati. Considerato in diritto I ricorsi sono infondati. 1. Prima di soffermarsi sui motivi di ricorso, appare utile un preliminare richiamo alla ricostruzione dei fatti oggetto dell’odierna vicenda processuale, ricostruzione che, suoi snodi essenziali, non risulta peraltro controversa. Orbene, è emerso dalle sentenze di merito che, nell’ambito di una indagine relativa a un incendio che aveva colpito l’abitazione del nucleo familiare dei fratelli M.R. e D. e che aveva comportato il ricovero delle mogli e dei figli di costoro presso la Comunità omissis di , venivano disposte delle intercettazioni telefoniche, alcune delle quali rivelavano l’organizzazione di un incontro di natura sessuale tra gli imputati e una minore ospite della struttura, U.M.V. , all’epoca dei fatti quindicenne. Quest’ultima ha riferito di essersi invaghita di M.D. e di aver utilizzato, per parlare con lui e con il fratello R. , il telefonino di O.I.A. , moglie di M.R. e cognata di M.D. , essendo a lei inibito l’uso del cellulare per disposizione del Tribunale per i minorenni. Nell’ambito di queste relazioni veniva organizzato, anche dietro la promessa di regalie, un incontro di natura sessuale in data omissis , giorno in cui la minore si allontanava clandestinamente dalla Comunità con l’ausilio della O. , mentre i fratelli M. la attendevano in auto all’esterno. Effettuando alcune soste prima in un bar di , dove consumavano diversi cocktail, poi presso un supermercato dove veniva acquistata una bottiglia di vodka, poi ancora presso l’abitazione della loro madre, gli imputati si dirigevano verso la frazione di omissis e già durante il tragitto, iniziavano i primi contatti fisici tra la U. e D. , seduti entrambi sul sedile posteriore. Una volta giunti a casa, dopo aver lasciato un loro accompagnatore, tale P. , i fratelli M. consumavano con la ragazzina gli alcolici, per poi intrattenere con la stessa dei rapporti sessuali, durante i quali M.D. effettuava con il suo cellulare una ripresa video e delle fotografie della minore. La mattina del giorno dopo, D. si recava al lavoro, lasciando la U. in casa sola con il fratello R. , il quale tentava di portare la minore nella sua camera da letto, incontrando la sua opposizione, reiterando l’approccio dopo la colazione, baciandola e toccandola dappertutto e fermandosi solo per rispondere a una telefonata della sua compagna, che lo avvisava che i Carabinieri lo stavano cercando a questo punto R. , accompagnava allora la ragazzina alla fermata del pullman, consegnandole un biglietto da viaggio e un pacchetto di sigarette, intimandole al contempo di non rivelare l’accaduto, altrimenti le avrebbe tagliato la testa nel frattempo M.D. inviava il video e le foto di contenuto pornografico effettuate la sera prima al suo amico T.V. tramite facebook. Alla stregua di tali accadimenti, venivano dunque elevate a carico degli imputati quattro contestazioni, aventi ad oggetto i reati di sottrazione consensuale di minorenni ascritto ai fratelli M. , prostituzione minorile addebitato a ciascun ricorrente , violenza sessuale in relazione all’aggressione sessuale perpetrata da M.R. in danno della minore la mattina del omissis e pornografia minorile, reato questo ascritto a M.R. , dovendosi soltanto precisare al riguardo che i giudici di merito hanno inquadrato la divulgazione di video e foto nell’ipotesi di cui all’art. 600 ter c.p., comma 4 e non terzo come originariamente contestato in rubrica . Orbene, compiuto questo sintetico inquadramento generale della vicenda, è ora possibile affrontare i singoli motivi di ricorso. 2. Iniziando dalla posizione dell’imputata O. , occorre evidenziare che il giudizio di colpevolezza dell’imputata in ordine al reato di prostituzione minorile a lei ascritto non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede. Ed invero, premesso che la sussistenza del reato e la sua ascrivibilità ai fratelli M. non sono contestate, deve rilevarsi che le due conformi sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a integrarsi per formare un corpus argomentativo unitario, hanno valorizzato, quanto alla posizione della O. , il contenuto dei colloqui telefonici intercettati, dai quali era emerso che l’imputata, pur non prendendo materialmente parte agli incontri sessuali, tuttavia aveva avuto un ruolo importante in primo luogo nel rafforzamento, se non addirittura nella ideazione, del proposito criminoso poi attuato dal marito e dal cognato, tanto è vero che in una conversazione progr. n. 323 del 9.3.2015, ore 20.48 , ella rivendicava che l’incontro sessuale del giorno prima era stata una sua idea, ricevendo per questo il vivo apprezzamento del suo compagno R. . Come sottolineato già dal Tribunale, le cui argomentazioni sono state poi riprese e condivise dalla Corte di appello, la O. , lungi dall’aver ricoperto un ruolo marginale nella vicenda, rappresentava al contrario il primo punto di contatto tra gli autori materiali delle condotte illecite e la giovane persona offesa, cui ella metteva a disposizione il suo telefonino allo scopo di agevolare le relazioni tra la minore e gli imputati, svolgendosi peraltro le conversazioni il più delle volte con M.R. , che a volte si spacciava per il fratello, al fine di sfruttare il maggiore ascendente che costui poteva vantare nei confronti della minore. Il contributo della ricorrente non si è dunque esaurito nel prestito del telefonino alla minore, ma si è articolato nel consapevole rafforzamento del programma criminoso dei correi, che la O. ha concorso nel pianificare e nel favorire. A conferma di ciò, i giudici di merito hanno richiamato l’inequivocabile tenore di ulteriori conversazioni intercettate, in una delle quali progr. 273 del 7 marzo 2015 , la donna, il giorno prima della fuga dalla Comunità, forniva ai coimputati suggerimenti circa le utilità da promettere alla minore per ottenere favori sessuali, mostrando inoltre un’elevata spregiudicatezza progr. 303 del omissis allorquando, commentando con la suocera l’avvio delle indagini, affermava che, dopo aver ottenuto quanto a loro interessava, R. e D. , invece di accompagnare la minore, avrebbero dovuta abbandonarla da qualche parte. Rispetto al contenuto delle intercettazioni telefoniche, analizzate con rigore dai giudici di merito, alcun travisamento delle prove appare invero ravvisabile, risultando dedotta la relativa doglianza in termini assertivi e del tutto generici. In definitiva, in quanto ancorata alle risultanze probatorie acquisito e sorretta da argomentazioni razionali e coerenti, l’affermazione della penale responsabilità della ricorrente resiste alle censure difensive, dovendosi unicamente aggiungere che la Corte territoriale non si è limitata a recepire le attente considerazioni svolte dal Tribunale, ma si è adeguatamente confrontata con le obiezioni sollevate nell’atto di appello, fornendo ad esse risposte pertinenti e non illogiche. 3. Parimenti infondato è il motivo di ricorso concernente M.R. . Quanto al giudizio sulla sussistenza del reato, occorre in primo luogo evidenziare che non risulta consentita in questa sede la lettura alternativa del materiale probatorio sollecitata dalla difesa, risultando invero puntuale e corretta la disamina da parte dei giudici di merito della testimonianza della persona offesa, che, al di là delle opinioni personali circa il concetto giuridico di violenza, ha in realtà descritto nitidamente i continui palpeggiamenti subiti su tutto il corpo da parte di M.R. , chiaramente volti a soddisfare il suo piacere sessuale. La ritenuta configurabilità del delitto di violenza sessuale non presta dunque il fianco alle doglianze difensive, essendo stata la U. costretta a subire suo malgrado ripetuti palpeggiamenti, pacificamente qualificabili come atti sessuali. Per quanto concerne poi il mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, deve rimarcarsi che, in senso ostativo alla configurabilità dell’ipotesi di minore gravità, la Corte di appello ha richiamato ragionevolmente l’insistenza e la reiterazione dei palpeggiamenti che l’imputato, una volta rimasto solo in casa con la vittima, ha posto in essere nei confronti di una ragazzina quindicenne e particolarmente vulnerabile, invaghita peraltro non di lui ma del fratello, non curandosi della plateale opposizione della giovane M. , reduce da una notte in cui aveva già avuto vari rapporti sessuali. La mancata applicazione dell’attenuante ex art. 609 bis c.p., u.c., risulta quindi coerente con la costante interpretazione di questa Sezione cfr. Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, Rv. 259196 , secondo cui, in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all’età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto, il che è stato escluso nel caso di specie con argomenti tutt’altro che illogici o irrazionali e all’esito di una valutazione estesa all’intero contesto in cui si sono svolti i fatti. 4. Passando alla posizione dell’imputato M.D. , occorre rilevare che la fattispecie originariamente contestata al ricorrente era quella di cui all’art. 600 ter c.p., comma 3, essendo accusato l’imputato di avere inviato sul profilo facebook del suo amico T.V. un video e delle foto effettuate con il suo cellulare durante il rapporto sessuale con U.M.V. . Il Tribunale di Salerno ha tuttavia inquadrato il fatto nell’ambito della previsione criminosa di cui all’art. 600 ter c.p., comma 4, osservando che nel caso di specie non era stato effettuato alcun accertamento specifico in ordine alle concrete modalità di circolazione del materiale pedopornografico, trasferito attraverso l’utilizzo di un sito internet che prevede canali di comunicazione sia ristretti a due singoli interlocutori, sia accessibili a un pubblico più ampio. Non potendosi escludere che le immagini trasmesse dall’imputato siano rimaste confinate in un contesto comunicativo bilaterale, i giudici di merito hanno quindi ricondotto il comportamento dell’imputato nella meno grave ipotesi di cessione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600 ter c.p., comma 4. Tale valutazione, assolutamente priva di elementi di illogicità, appare immune da censure, anche perché coerente con l’affermazione di questa Corte Sez. 3, n. 5397 del 03/12/2001, Rv. 221337 , alla quale si ritiene in questa sede di dover dare continuità, secondo cui sussiste il delitto di cui all’art. 600 ter c.p., comma 3 qualora il soggetto inserisca foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, ovvero quando le propaghi attraverso internet, inviandole a un gruppo o lista di discussione da cui chiunque le possa scaricare, mentre è configurabile l’ipotesi più lieve di cui all’art. 600 ter, comma 4, quando il soggetto invii dette foto a una persona determinata allegandole a un messaggio di posta elettronica o, come avvenuto nel caso di specie, tramite il profilo facebook del destinatario del messaggio, sicché solo questi abbia la possibilità di prelevarle. Non risulta invece pertinente la doglianza difensiva circa l’eventuale applicabilità nel caso di specie della fattispecie di cui all’art. 600 quater c.p., dovendosi al riguardo evidenziare che, come ribadito di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte sentenza n. 51815 del 31 maggio 2018, dep. il 15 novembre 2018, allo stato non ancora massimata nell’ambito di una riflessione più ampia in ambito di pornografia minorile, il reato ex art. 600 quater c.p., sanzionando le condotte del procurarsi e del detenere materiale pedopornografico, ha natura residuale e di norma di chiusura, rappresentando cioè l’ultimo anello di una catena di condotte illecite di lesività decrescente, che iniziano con la produzione e proseguono con la commercializzazione e con le attività di diffusione e di cessione del materiale pedopornografico, condotte queste autonomamente sanzionate dai primi 4 commi dell’art. 600 ter c.p Dunque, essendo consistito il comportamento dell’imputato non nella mera detenzione o nel solo procacciamento del materiale pedopornografico, ma nella diversa e più grave condotta di cessione a un soggetto determinato del video e delle foto ritraenti la minore nel compimento di atti sessuali, non vi è spazio nel caso di specie per l’applicazione della norma residuale di cui all’art. 600 quater c.p., a nulla rilevando né la gratuità della cessione, né la circostanza che, dopo l’invio delle immagini in favore del destinatario del messaggio, le stesse siano state cancellate da M. , non elidendo tale condotta il disvalore penale insito nella precedente trasmissione dei contenuti visivi pornografici. 5. Infondato è infine anche il motivo di ricorso, comune a tutti i ricorrenti, concernente il diniego delle attenuanti generiche. Al riguardo occorre innanzitutto richiamare il costante e condiviso insegnamento di questa Corte cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 , secondo cui in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione è stato inoltre precisato Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899 che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione. Orbene, in applicazione di tale premessa interpretativa, nel caso di specie, deve escludersi il difetto motivazionale evocato dalla difesa ed invero la Corte di appello, nel condividere il diniego delle attenuanti generiche operato già da parte del Tribunale, ha rimarcato l’oggettiva gravità dei fatti, posti in essere in danno di una giovane ragazza, peraltro già abusata a portatrice di un difficile vissuto. Anche nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata resiste dunque alle censure difensive, essendo riferibile la motivazione sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche a ciascun imputato, posto che la peculiare condizione soggettiva della vittima era nota a ognuno di loro. Né comunque risultano adeguatamente prospettate dalla difesa le ragioni che avrebbero dovuto imporre una diversa valutazione da parte dei giudici di merito, non essendo sufficiente in tal senso il solo status di incensurati dei ricorrenti e fermo restando che, nella commisurazione della pena finale, le posizioni dei ricorrenti, non omogenee, sono state comunque adeguatamente differenziate. 6. In conclusione, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate, i ricorsi devono essere quindi rigettati, con conseguente onere per ciascun ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.