Notifica dell’istanza de libertate a pena di ammissibilità: il concetto di “delitti con violenza sulla persona”

La nozione di delitti commessi con violenza alla persona” utilizzata dal legislatore nell’art. 299, comma 2-bis, c.p.p., evoca non già una categoria di reati le cui fattispecie astratte siano connotate dall’elemento della violenza, sia essa fisica, psicologica o morale, alla persona, bensì tutti quei delitti consumati o tentati, che - in concreto - si siano manifestati con atti di violenza in danno della persona offesa.

È quanto ha affermato la prima sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1526, depositata in cancelleria il 14 gennaio 2019. Tentato omicidio, custodia cautelare in carcere. Nel caso di specie un uomo, accusato di tentato omicidio, è stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere. Adita la Corte, l’indagato ha ottenuto la conversione della misura con gli arresti domiciliari. La procura, impugnando l’avversa decisione, ha chiesto la conferma della custodia in carcere, fondando il proprio appello i sulla mancata notificazione dell’istanza de libertate alla persona offesa, costituita parte civile o al suo difensore notificazione, si badi, prevista a pena di inammissibilità e, comunque, ii sulla assoluta inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari a scongiurare il pericolo di recidiva. I giudici dell’appello cautelare, assecondando la richiesta della procura, hanno ritenuto dirimente la prima censura. In proposito, va ricordato che l’art. 299, comma 3, secondo periodo, cit. prevede che La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282- bis, 282- ter , 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti di cui al comma 2- bis del presente articolo, che non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest'ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio”. Omessa notifica dell’istanza de libertate. Nel caso di specie i giudici dell’Appello hanno appurato come mancasse agli atti la prova della notificazione dell’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della persona offesa tale carenza, secondo la Corte d’appello, avrebbe determinato l’omissione di una interlocuzione obbligatoria nel procedimento e precisamente la possibilità per la persona offesa di presentare memorie d’opposizione. Ciò - beninteso - sull’assunzione di base per la quale il delitto del quale era accusato l’indagato andasse qualificato come reato commesso con violenza sulla persona, avuto riguardo ai rapporti tra vittima e aggressore e alla conseguente possibilità di assistere a ritorsioni, anche alla luce del comportamento aggressivo tenuto dall’indagato in sede procedimentale. Delitti con violenza sulla persona. Alla difesa non è rimasto che rivolgersi ai giudici di legittimità, ivi insistendo per l’annullamento dell’ordinanza gravata, paventando - analogamente alla procura, ma sotto altro versante - la violazione dello stesso art. 299, commi 2- bis e 3, c.p.p., peraltro negando che si fosse di fronte ad un delitto con violenza sulla persona”, ossia di un delitto utile” all’applicazione della norma di cui si discute. La Corte di Cassazione, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la decisione della Corte d’appello e merita particolare attenzione proprio per le precisazioni fornite sul concetto di delitto con violenza alla persona. Detta formulazione - spiega il Palazzaccio - va intesa in senso ampio, comprensiva non soltanto delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche, di guisa che anche lo stalking rientra tra le ipotesi significative di violenza di genere che richiedono particolari forme di protezione a favore delle vittime, dovendo considerarsi che la prescrizione normativa esprime la volontà del legislatore di ampliare il campo della tutela oltre le singole fattispecie criminose originariamente indicate, in rapporto alla nozione di violenza adottata in ambito internazionale e comunitario, più ampia di quella positivamente disciplinata dal codice penale interno e sicuramente comprensiva di ogni forma di violenza di genere, contro le donne e nell’ambito delle relazioni affettive, sia o meno attuata con violenza fisica o solo morale, tale da cagionare cioè una sofferenza anche solo psicologica alla vittima del reato”. Con riferimento al caso di specie, dunque, la Corte ha ribadito l’orientamento ermeneutico che, in primo luogo, ha in prima analisi evidenziato che la nozione di delitti commessi con violenza alla persona” utilizzata dal legislatore nell’art. 299, comma 2- bis , c.p.p., evoca non già una categoria di reati le cui fattispecie astratte siano connotate dall’elemento della violenza, sia essa fisica, psicologica o morale, alla persona, bensì tutti quei delitti consumati o tentati, che, non in astratto ma in concreto, si siano manifestati con atti di violenza in danno della persona offesa e, in secondo luogo, ha fatto emergere l’esigenza di fare riferimento, in conformità a quanto previsto dalla Direttiva 2012/29/UE, ai seguenti criteri per delimitare il perimetro della categoria di delitti in esame i tipologia della parte offesa e delitti di cui è vittima es. tratta di esseri umani, terrorismo, etc. , ii movente del reato es. violenza di genere , iii contesto in cui è stato commesso il reato es. violenza nelle relazioni strette , e comunque iv sussistenza del pericolo di intimidazioni, ritorsioni o vittimizzazione secondaria e ripetuta. Sul crinale delle considerazioni che precedono la Corte ha in definitiva confermato la custodia cautelare in carcere, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 3 luglio 2018 – 14 gennaio 2019, n. 1526 Presidente Mazzei – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 27 marzo 2018, il Tribunale del riesame di Catania ha accolto l’appello proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania avverso l’ordinanza resa dalla Corte di appello di Catania in data 15 dicembre 2017 con cui, con riferimento alla posizione di L.J. , imputato di tentato omicidio aggravato in danno di D.B.C. , era stata per quanto di ragione accolta l’istanza della difesa dell’imputato ed era stata sostituita la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. Il Tribunale, in accoglimento dell’appello, ha annullato l’ordinanza della Corte di appello e ha ripristinato la custodia cautelare in carcere nei confronti di L. , salva la sospensione ex lege dell’esecuzione del provvedimento fino alla definitività dello stesso. 2. Avverso questa ordinanza ha proposto ricorso il difensore di L. chiedendone l’annullamento e affidando il mezzo a un unico, articolato motivo con cui lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 299 c.p.p., commi 2-bis e 3, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. Secondo il ricorrente, il Tribunale del riesame aveva interpretato in modo erroneo la norma sopra indicata omettendo di considerare che, secondo l’elaborazione più accreditata, al fine di conseguire il giusto bilanciamento di due contrapposti diritti di rilievo costituzionale ossia, i diritti di libertà e difesa dell’imputato e il diritto all’incolumità personale della persona offesa , l’onere posto a carico dell’imputato di provvedere alla notifica alla persona offesa dell’istanza de libertate riguardava le ipotesi in cui vi fosse un pregresso rapporto tra vittima e aggressore, ovvero si riscontrasse una concreta possibilità di ritorsioni, soprattutto a protezione delle vittime di violenze reiterate nelle relazioni pregresse. Il provvedimento impugnato, invece, non aveva svolto nessuna valutazione concreta in ordine alla necessità di questa tutela rafforzata nel caso in esame, mentre la Corte di appello aveva, sia pure implicitamente, valutato non necessaria la tutela costituita dalla notifica dell’istanza alla persona offesa, tenuto anche conto che all’esito del giudizio di secondo grado erano state riconosciute a L. le circostanze attenuanti generiche ed era stata ridotta la pena proprio in ragione della circoscritta gravità del fatto. Il ricorrente ha aggiunto che non riguardando il caso soggetti esposti a concreto pericolo di vittimizzazione secondaria e ripetuta, il Tribunale, per ritenere necessaria la suddetta previa notificazione, avrebbe dovuto indicare il concreto pericolo di intimidazione e ritorsione a cui era soggetto D.B. , laddove sussisteva la prova del contrario in quanto, durante il tempo in cui L. era stato detenuto agli arresti domiciliari, la persona offesa non era stata mai intimidita o comunque molestata dall’imputato inoltre, quando aveva conosciuto il provvedimento, la persona offesa non risultava aver depositato nessuna memoria per manifestare il proprio dissenso, così dimostrando disinteresse per le sorti del procedimento infine, ove la norma avesse condotto a diversa interpretazione, era da sollevarsi la questione di legittimità costituzionale del’art. 299 c.p.p., comma 3, nella parte in cui subordinava al previo parere della persona offesa la valutazione sull’attualità e intensità delle esigenze cautelari, valutazione spettante soltanto all’organo giudicante, in particolare quando la persona offesa non era annoverata tra i soggetti a cui la normativa sovranazionale riconosceva il diritto a una tutela rafforzata. 3. Il Procuratore generale, nel corso della camera di consiglio, ha prospettato la declaratoria di inammissibilità del ricorso ha sostenuto che l’ordinanza impugnata era adeguatamente motivata e le doglianze del ricorrente non si confrontavano con la congrua motivazione del provvedimento avversato. Considerato in diritto 1. L’impugnazione non appare fondata e va, quindi, rigettata. 2. Giova premettere che la Corte di appello di Catania, nell’ordinanza del 15 dicembre 2017 - dato atto che la responsabilità penale di L. era stata confermata all’esito del giudizio di secondo grado con la rideterminazione della pena in quella di anni cinque, mesi sei di reclusione - aveva reputato che le affievolite esigenze cautelari, in relazione al rilevante periodo di detenzione intramuraria sofferto dall’imputato, potessero essere utilmente tutelate anche mediante la custodia domestica, che, se accompagnata dai controlli di polizia, appariva idonea a impedire il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie. A fronte dell’impugnazione del Procuratore generale territoriale, che aveva lamentato in primo luogo la violazione dell’art. 299 c.p.p., commi 2-bis e 3, in punto di omessa notificazione dell’istanza de libertate alla persona offesa costituita parte civile o al suo difensore e, in secondo luogo, l’assoluta inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari a scongiurare il pericolo di recidiva, il Tribunale ha ritenuto dirimente la fondatezza della prima quaestio. In particolare, i giudici dell’appello cautelare hanno constatato che mancava agli atti la prova della notificazione dell’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare alla persona offesa e che tale carenza aveva determinato l’omissione di un’interlocuzione obbligatoria nel procedimento in esame onde consentire alla persona offesa di presentare memorie nel termine di due giorni previsto dalla legge infatti, avuto riguardo al regime introdotto dalla L. n. 119 del 2013, il delitto di cui era accusato L. era da ritenersi commesso con violenza alla persona, avuto riguardo ai rapporti tra l’autore del reato e la vittima, alla personalità dell’aggressore e alla possibilità di ritorsioni, elementi che esponevano a un più elevato rischio di danno la vittima, posto che la gravità del fatto commesso da L. ai danni di D.B.C. , motivato da ragioni di rancore nei suoi confronti, nonché l’aggressività manifestata anche durante il dibattimento da parte dell’imputato contro la persona offesa, esemplificativa di una personalità violenta scarsamente coercibile, avevano determinato l’inclusione della fattispecie in esame nell’ambito di quelle per le quali l’art. 299 c.p.p., commi 2-bis e 3, prescrivevano la previa notificazione dell’istanza alla persona offesa, a pena d’inammissibilità. Posta tale premessa, il Tribunale ha concluso che, essendo mancato tale adempimento preliminare, il provvedimento impugnato doveva essere annullato, con ripristino della misura custodiale carceraria. 3. Il ricorrente non contesta il dato procedimentale costituito dalla mancata notificazione, da parte sua, dell’istanza de libertate alla persona offesa o al suo difensore. L’art. 299, comma 3, in relazione al disposto del comma 2-bis, cod. proc. pen., come integrato dal D.L. n. 93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 119 del 2013, stabilisce che la richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, che non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente e a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio, con l’effetto che il difensore e la persona offesa possono, nei due giorni successivi alla notifica, presentare memorie ai sensi dell’art. 121 dello stesso codice. Nell’interpretare la sfera dei procedimenti a cui deve applicarsi la specifica prescrizione ora richiamata, l’elaborazione ermeneutica è pervenuta a specificare in modo articolato l’individuazione della nozione di delitti commessi con violenza alla persona ai presenti fini. Va rilevato, quale indicazione di partenza, che il più autorevole consesso di legittimità, nel vagliare la portata della medesima locuzione in relazione al parallelo disposto di cui all’art. 408 c.p.p., comma 3-bis, dopo avere analizzato anche le proiezioni interpretative riconducibili alle fonti sovranazionali, ha persuasivamente concluso nel senso che dalla relativa analisi emerge come l’espressione violenza alla persona sia sempre intesa in senso ampio, comprensiva non soltanto delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche, di guisa che anche lo stalking rientra tra le ipotesi significative di violenza di genere che richiedono particolari forme di protezione a favore delle vittime, dovendo considerarsi che la prescrizione normativa esprime la volontà del legislatore di ampliare il campo della tutela oltre le singole fattispecie criminose originariamente indicate, in rapporto alla nozione di violenza adottata in ambito internazionale e comunitario, più ampia di quella positivamente disciplinata dal codice penale interno e sicuramente comprensiva di ogni forma di violenza di genere, contro le donne e nell’ambito delle relazioni affettive, sia o meno attuata con violenza fisica o solo morale, tale da cagionare cioè una sofferenza anche solo psicologica alla vittima del reato Sez. U, n. 10959 del 29/01/2016, P.O., Rv. 265893 . È quindi maturato, con più specifico riferimento al caso di specie, l’orientamento ermeneutico che - dopo avere in prima analisi evidenziato che la nozione di delitti commessi con violenza alla persona , utilizzata dal legislatore nell’art. 299 c.p.p., comma 2-bis, evoca non già una categoria di reati le cui fattispecie astratte siano connotate dall’elemento della violenza, sia essa fisica, psicologica o morale, alla persona, bensì tutti quei delitti, consumati o tentati, che, non in astratto ma in concreto, si siano manifestati con atti di violenza in danno della persona offesa Sez. 2, n. 30302 del 24/06/2016, Opera, Rv. 267718 - 01 Sez. 1, n. 49339 del 29/10/2015, Gallani, Rv. 265732 - 01 ha fatto emergere l’esigenza, condivisa dal Collegio, che allo scopo di definire la sfera dei delitti per i quali il’obbligo di notifica, al difensore della persona offesa o a quest’ultima, dell’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare in atto, il giudice tenga conto, nel solco dei canoni interpretativi emergenti dalla Direttiva 2012/29/UE, progressivamente, della tipologia della parte offesa se è parte offesa di delitti di tratta di esseri umani, di terrorismo, di criminalità organizzata, di violenza o sfruttamento sessuale, di crimini di odio, di minorenne o del movente del reato se si sia trattato di violenza di genere , ovvero del contesto in cui il reato è stato commesso se si sia trattato di violenza nelle relazioni strette , e, poi, al di fuori di tali casi, valuti se al delitto connotato da violenza si ricolleghi un concreto pericolo di intimidazione, ritorsioni o vittimizzazione secondaria ripetuta, desumendone l’evenienza secondo gli enunciati della succitata direttiva dalle caratteristiche personali della vittima o dal tipo, dalla natura o dalle circostanze del reato, così da escludere che si tratti di un reato minore o che vi sia un debole rischio di danno per la vittima v., anche. Sez. 2, n. 46996 del 08/06/2017, Bruno, Rv. 271153 - 01 Rv. 270640 01 Sez. 2, n. 36167 del 03/05/2017, Adelfio, Rv. 270689 . L’avvenuta maturazione di un’esegesi della norma che si incanala nell’alveo segnato dalla citata Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2012/29/UE del 25/10/2012 recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell’11 maggio 2011, ratificata dall’Italia con L. 27 giugno 2013, n. 77, esclude che, allo stato degli elementi valutati, possa intravedersi la violazione dei principi costituzionali soltanto evocata dal ricorrente, anche con riferimento al rispetto della norma interposta di cui all’art. 117 Cost 4. Posto ciò, il Tribunale del riesame, in sede di appello, ha raggiunto la soluzione avversata dal ricorrente osservando, con motivazione sufficiente sotto il profilo degli agganci probatori e lineare quanto all’iter logico seguito, l’accertata sussistenza delle condizioni specifiche - inerenti ai rapporti fra l’imputato e la persona offesa - che avevano condotto a individuare il concreto pericolo di ritorsioni da parte di L. accusato di tentato omicidio aggravato ai danni di D.B.C. , radicato sull’analisi del movente che aveva connotato il delitto tentato, delle circostanze afferenti al reato e del comportamento successivo di L. , risultato aggressivo nello stesso corso del contesto processuale. L’enucleazione nell’ordinanza impugnata di questo specifico pericolo di danno ulteriore e consistente per la vittima si è contrapposta al totale silenzio della Corte di appello nel provvedimento che ha sostituito la misura cautelare, emesso senza verificare la sussistenza della previa notificazione dell’istanza alla persona offesa e senza argomentare in alcun modo sull’eventuale esorbitanza della fattispecie da quelle per le quali il disposto dell’art. 299 c.p.p., commi 2-bis e 3, stabilisce l’adempimento del suddetto onere notificatorio a pena di inammissibilità. Non può, sul punto, seguirsi la prospettazione del ricorrente circa l’implicita valutazione di insussistenza dei presupposti per la notificazione dell’istanza alla persona offesa da individuarsi nel silenzio della Corte territoriale non è dato rilevare, né viene evidenziato alcun dato, sia pure indirettamente, convergente nel senso dell’avvenuto apprezzamento implicito dell’importante questione di rito da parte della Corte di appello, posto che gli elementi esposti dal Tribunale del riesame sono apparsi di spessore tale da rendere, invece, giustificata la ritenuta ineludibilità dell’espressa trattazione e risoluzione del punto. 5. Una volta assodata la sufficienza della motivazione resa dai giudici dell’appello cautelare, incensurabile è la conseguenza trattane dopo che il Procuratore generale territoriale aveva sollevato specificamente la questione di ammissibilità, la quale, peraltro, una volta impugnato il provvedimento di sostituzione esitato da un procedimento deprivato della garanzia partecipativa assicurata dall’ordinamento alla persona offesa, avrebbe dovuto essere rilevata anche in via ufficiosa Sez. 4, n. 29770 del 15/03/2017, Mura, Rv. 270185 - 01 Sez. 2, n. 33576 del 14/07/2016, Fassih, Rv. 267500 - 01 . A fronte dell’adeguata motivazione fornita dal Tribunale non si profila, inoltre, ammissibile la diversa interpretazione della fattispecie proposta dalla difesa di L. , nella parte in cui sottende un diverso inquadramento degli elementi di fatto connotanti il reato oggetto del vaglio di merito. In relazione al rilievo, coordinato alla sanzione dell’inammissibilità, annesso dall’ordinamento all’adempimento notificatorio obliterato, non può ritenersi, infine, fondato l’argomento svolto dal ricorrente secondo cui, in concreto, non sarebbe sussistito l’interesse della persona offesa a interloquire in merito alla sostituzione della misura cautelare nei confronti dell’imputato, in ragione del fatto che, una volta conosciuto il provvedimento sostitutivo, D.B.C. non avrebbe depositato memoria alcuna per manifestare il proprio dissenso. Va obiettato, in primo luogo, che il vulnus rispetto allo sviluppo del contraddittorio normativamente imposto nel subprocedimento de libertate si era ormai verificato e l’eventuale omessa produzione di una memoria difensiva,dopo il provvedimento assunto senza la tutela del diritto della persona offesa, costituita parte civile ed esposta a rischio di ritorsione, comunque non potrebbe aver prodotto l’effetto sanante della violazione procedimentale. In secondo luogo, appare doveroso aggiungere che l’esame degli atti consentito dalla natura processuale della questione oggetto di ricorso - fa emergere che la difesa di D.B.C. , conosciuta l’ordinanza della Corte di appello di Catania del 15 dicembre 2017, sostitutiva della misura, aveva rassegnato memoria, indirizzandola al Procuratore generale territoriale, per dissentire dal rito seguito, con la sua obliterazione, dalla Corte di appello nonché dal merito del provvedimento emesso e sollecitarne, con l’impugnazione, l’annullamento sicché, per quanto potesse rilevare, nemmeno la base procedimentale da cui muove il ricorrente si appalesa esatta. 6. Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Determinando la presente decisione l’assunzione di efficacia, per conseguente definitività, del provvedimento impugnato, segue la disposizione di trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al Tribunale del riesame di Catania ai sensi dell’art. 92 disp. att. cod. proc. pen. e dell’art. 28 del Regolamento di esecuzione del codice di rito. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone la trasmissione, a cura della cancelleria, del presente provvedimento al Tribunale del riesame di Catania ai sensi dell’art. 92 disp. att. cod. proc. pen. e dell’art. 28 Regolamento di esecuzione cod. proc. pen