La maggiore pericolosità e l’offensività della condotta di coltivazione di droga

L’art. 75 d.P.R. n. 309/1990 non ricomprende la coltivazione di droga nel novero delle condotte che, se connotate da uso personale, rilevano in termini unici di illecito amministrativo al contrario considera tale condotta penalmente rilevante, vista la sua pericolosità e offensività.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 1339/19, depositata l’11 gennaio. La vicenda. La Corte d’Appello, in riforma della pronuncia di primo grado, assolveva i due imputati del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 perché non punibili vista la particolare tenuità del fatto contestato, consistente nell’accertata coltivazione di 3 piante di cannabis indica. Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello impugna la sentenza. L’identificazione di illecito. È noto che l’art. 75 d.P.R. n. 309/1990 non contempla la coltivazione nelle condotte che, se connotate da uso personale, rilevano in termini unici di illecito amministrativo. Questo era già stato stabilito dalla Corte Costituzionale secondo cui la coltivazione riveste una condotta con una particolare specificità che non si compara alle altre caratterizzate dall’uso personale della sostanza importata, acquistata o detenuta, penalmente irrilevanti. Compito del giudice è quello di accertare l’offensività in concreto della condotta posta in essere dal soggetto agente, dovendosi escludere la rilevanza penale quando sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità della droga, e non prospettabile alcun pericolo della sua ulteriore diffusione . Sulla base di ciò la Suprema Corte accoglie il ricorso del P.G., esclude la particolare tenuità del fatto e annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte distrettuale per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 dicembre 2018 – 11 gennaio 2019, n. 1339 Presidente Petruzzellis – Relatore Tronci Ritenuto in fatto 1. Il P.G. presso la Corte d’appello di Milano impugna la sentenza indicata in epigrafe, con cui l’anzidetta Corte territoriale, in riforma della pronuncia del Tribunale di Como, ha mandato assolti i due fratelli B. dal ritenuto reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 perché non punibili per la particolare tenuità del fatto contestato, consistente nell’accertata coltivazione di tre piante di cannabis indica. 2. Assume la ricorrente parte pubblica che la sentenza in questione sarebbe affetta da violazione di legge, ostando alla statuizione adottata la potenzialità offensiva che la stessa Corte territoriale avrebbe riconosciuto, in ragione del dato obiettivo rappresentato dalla marijuana ricavata dalle piante di cui trattasi, pari a poco meno di gr 640 con un principio attivo equivalente a mg. 7818, idoneo al confezionamento di 313 dosi, a nulla valendo né l’asserita destinazione personale della sostanza stupefacente - peraltro acriticamente affermata sulla scorta delle mere affermazioni degli imputati, la peculiare natura della sostanza dando ragione del mancato rinvenimento di qualsivoglia strumento da taglio o confezionamento - né la scelta di far luogo alla coltivazione delle piante nel luogo ove venivano ammassate le masserizie, prodotti di edilizia nonché altro materiale di risulta , trattandosi semmai di circostanza indicativa della scaltrezza degli imputati, poiché finalizzata a rendere più difficile il rinvenimento delle piante e quindi l’accertamento del reato . 3. All’odierna udienza di discussione è stata depositata memoria a firma del difensore di fiducia dell’imputato B.L. , nominato nelle more, con cui è stato sollecitato il rigetto dell’impugnazione del P.G., alla stregua della ribadita correttezza delle argomentazioni svolte dalla Corte distrettuale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e merita pertanto accoglimento. 2. La lettura della motivazione della sentenza impugnata evidenza come il dato fondamentale, su cui si basa la sentenza di proscioglimento della Corte milanese, s’incentra sulla ritenuta destinazione della marijuana, ottenuta dalla coltivazione delle piante per cui è processo, al consumo personale degli imputati, non avendo evidentemente alcuna rilevanza in chiave difensiva - così come obiettato dal ricorrente P.G. e nonostante il contrario assunto di cui alla memoria odierna - l’ubicazione del luogo della coltivazione, nel terreno di proprietà del padre, nella parte prospiciente il retro della loro abitazione. 3. Tanto premesso, è notorio che il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75 non contempla la coltivazione nel novero delle condotte che, ove connotate da uso personale, rilevano unicamente in termini di illecito amministrativo, in proposito non essendo inutile rammentare che già da tempo la Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare e di ribadire che la condotta di coltivazione riveste una sua peculiare specificità, che non ne consente la comparazione con le altre, caratterizzate dall’uso personale della sostanza importata, acquistata o detenuta, penalmente irrilevanti ed utilizzate come tertium comparationis ciò in quanto la detenzione, l’acquisto e l’importazione di sostanze stupefacenti per uso personale rappresentano condotte collegate immediatamente e direttamente all’uso stesso, e ciò rende non irragionevole un atteggiamento meno rigoroso del legislatore nei confronti di chi, ponendo in essere una condotta direttamente antecedente al consumo, ha già operato una scelta che, ancorché valutata sempre in termini di illiceità, l’ordinamento non intende contrastare nella più rigida forma della sanzione penale laddove, nell’ipotesi della coltivazione manca questo nesso di immediatezza con l’uso personale , risultando perciò incensurabile la scelta discrezionale operata dal legislatore, che trova altresì la sua ragion d’essere nel rilievo che nel caso della coltivazione non è apprezzabile ex ante con sufficiente grado di certezza la quantità di prodotto ricavabile dal ciclo più o meno ampio della coltivazione in atto, sicché anche la previsione circa il quantitativo di sostanza stupefacente alla fine estraibile dalle piante coltivate, e la correlata valutazione della destinazione della sostanza stessa ad uso personale, piuttosto che a spaccio, risultano maggiormente ipotetiche e meno affidabili e ciò ridonda in maggiore pericolosità della condotta stessa, anche perché l’attività produttiva è destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili e quindi ha una maggiore potenzialità diffusiva delle sostanze stupefacenti estraibili così Corte Cost., sent. n. 360 del 1995, cui adde ord. n. 414 del 1996 e, soprattutto, la sent. n. 109 del 2016, che ha ribadito la validità dell’impostazione illustrata . Pienamente in linea con detto orientamento è, del resto, la giurisprudenza di legittimità cfr., per tutte, Sez. 4, sent. n. 43184 del 20.09.2013, Rv. 258095 , la quale ha sottolineato, conformemente all’indicazione pure risultante dalla succitata sentenza della Corte Costituzionale, come il compito spettante al giudice investa l’accertamento dell’offensività in concreto della condotta posta in essere dal soggetto agente, dovendo pertanto essere esclusa la rilevanza penale allorché la stessa sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità della droga, e non prospettabile alcun pericolo della sua ulteriore diffusione così, da ultimo, Sez. 6, sent. n. 35654 del 28.04.2017, Rv. 270544 e Sez. 4, sent. n. 17167 del 27.01.2017, Rv. 269539 . Per completezza, va dato atto che esiste un filone interpretativo che valuta come rilevante la destinazione a consumo personale della sostanza ricavabile dalla coltivazione di piante con effetto stupefacente, ma tanto - al di là della non univocità di siffatta esegesi - esclusivamente in funzione dell’apprezzamento della concreta offensività della condotta del soggetto agente e, quindi, ai fini della stessa rilevanza penale del suo comportamento cfr. Sez. 3, sent. n. 36307 del 22.02.2017, Rv. 271805 . Ciò che, per contro, la sentenza qui in esame non esita ad affermare. 4. Riepilogando, si ha dunque che la Corte distrettuale, per un verso, ha dato atto della valenza penale della condotta di coltivazione di cui trattasi, legata quindi al concreto pericolo di diffusione relativo alla oggettiva produzione di circa gr 640 di marijuana, pur con limitato principio attivo, sì da consentire comunque la preparazione di oltre 300 dosi medie per altro, ha valutato di speciale tenuità il fatto medesimo, sulla scorta di una pretesa destinazione ad uso personale della sostanza, che di fatto poggia unicamente sulla parola degli imputati, senza alcuna disamina critica dell’anzidetto dato fattuale. Ne risulta, in definitiva, l’intrinseca incongruità e, in ogni caso, l’insufficienza della motivazione, che si discosta dal principio affermato dalla giurisprudenza di legittimtià, con l’autorità propria delle Sezioni Unite, secondo cui, Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133 cod. pen., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo così Sez. U., sent. n. 13681 del 25.02.2016, ric. Tushaj, Rv. 266590 . 5. S’impone quindi, conclusivamente, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che farà luogo a nuova disamina del gravame proposto dalla difesa, nel rispetto dei principi di diritto in precedenza enunciati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.