La “prova di resistenza” nel caso di inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite presso lo studio legale

Nel caso di inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite presso lo studio del difensore, in quanto eseguite con impianti diversi da quelli della Procura della Repubblica, spetta al ricorrente procedere alla cosiddetta prova di resistenza”.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 1137/19, depositata l’11 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava la condanna dell’imputato in relazione al reato di cui all’art. 629 c.p La difesa dell’imputato propone ricorso per cassazione denunciando che le intercettazioni eseguite presso lo studio legale erano state effettuate con impianti diversi da quelli della Procura della Repubblica, con la conseguente inutilizzabilità delle stesse, ritenute decisive per affermare la responsabilità dell’imputato. L’inutilizzabilità delle intercettazioni. Al riguardo la Suprema Corte sostiene che il ricorrente, vista l’ipotesi di inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite presso lo studio del difensore, non si è fatto carico di procedere alla cosiddetta prova di resistenza”, volta a verificare se, venuta meno la fonte di prova in quanto ritenuta non utilizzabile secondo le censure del ricorrente stesso, la motivazione della sentenza impugnata fosse destinata a risultare complessivamente carente quanto al profilo della responsabilità dell’imputato . Sulla base di tale orientamento giurisprudenziale gli Ermellini ritengono il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 novembre 2018 – 11 gennaio 2019, n. 1137 Presidente Prestipino – Relatore Di Paola Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza in data 12/01/2017, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Pordenone, in data 27/03/2014, nei confronti di D.M. in relazione al reato di cui all’ art. 629 c.p., confermava la condanna dell’imputato, ritenendo il fatto quale ipotesi tentata e escludendo le già concesse attenuanti generiche. 2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, deducendo con il primo motivo di ricorso la violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3 e art. 271 c.p.p. le intercettazioni eseguite presso lo studio dell’Avv. P. erano state effettuate mediante impianti diversi da quelli della Procura della Repubblica, senza che nel decreto autorizzativo vi fosse alcuna motivazione al riguardo, con la conseguente inutilizzabilità dei risultati di quelle intercettazioni, decisive nell’affermazione di responsabilità dell’imputato. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione della legge penale in riferimento all’art. 629 c.p., nonché la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente censura la motivazione con cui la Corte ha ritenuto di collegare la richiesta rivolta all’Avv. P. , con la costrizione dell’ipotizzata vittima del reato il C. , a fronte di elementi probatori contraddittori le dichiarazioni del professionista e quelle dei detenuti che avevano assistito ai dialoghi, tra l’imputato e il C. , per concordare la dazione di somme di denaro all’imputato , delle indicazioni rese dall’imputato nel suo interrogatorio e considerata l’assenza di prove circa la prospettazione di conseguenze negative per il C. , da parte dell’imputato e della coimputata che si era recata dall’Avv. P. per formulare la richiesta. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale, in riferimento all’art. 43 c.p., in relazione all’art. 629 c.p. ad avviso del ricorrente la condotta posta in essere non era sorretta da alcuna finalità d’ingiusto profitto, ma si fondava sul contratto illecito stipulato tra il D. ed il C. , con cui quest’ultimo si era obbligato a versare delle somme di denaro all’imputato affinché il D. non rivelasse il coinvolgimento del C. in condotte illecite commesse in concorso con il D. l’imputato, quindi, era convinto di richiedere delle somme che erano a lui dovute in forza dell’accordo raggiunto con il C. , sicché era insussistente il dolo richiesto dalla norma incriminatrice. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, perché aspecifico, oltre che manifestamente infondato. 2.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, poiché aspecifico. Se, infatti, dal testo della sentenza d’appello risulta con evidenza l’omessa motivazione della decisione in ordine alla questione di inutilizzabilità sollevata dall’appellante astrattamente fondata, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte che condiziona la legittimità delle operazioni d’intercettazione, mediante ricorso a impianti diversi da quelli degli uffici di Procura, alla duplice condizione dell’eccezionale urgenza e dell’indisponibilità degli impianti esistenti nelle sedi degli uffici giudiziari, accertamenti che necessitano di una specifica motivazione del decreto emesso Sez. 1, n. 36307 del 30/03/2016, Bettera, Rv. 268112 il ricorrente però non si è fatto carico, come invece era suo onere, di procedere alla c.d. prova di resistenza, volta a verificare se, venuta meno la fonte di prova ritenuta inutilizzabile secondo le censure dl ricorrente, - la motivazione della sentenza impugnata fosse destinata a risultare complessivamente carente quanto al profilo della responsabilità dell’imputato Nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della c.d. prova di resistenza , in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218 . Dall’analisi della motivazione della sentenza impugnata emerge in modo chiaro come già le precise indicazioni dell’Avv. P. , bersaglio delle minacce poste in essere dalla fidanzata dell’imputato che la utilizzò come strumento di pressione e le risultanze dell’attività di p.g. che condussero all’arresto della donna dopo l’incasso delle somme illecitamente conseguite, erano più che sufficienti per affermare la responsabilità dell’imputato. 2.2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che sono strettamente connessi tra loro poiché dipendenti dalla ricostruzione prospettata dal ricorrente dell’accordo stretto dal D. con il C. , sono anch’essi inammissibili, perché manifestamente infondati. Va premesso che la tesi alternativa formulata dal ricorrente, oltre a non poter costituire motivo di ricorso nella misura in cui sollecita una differente ricostruzione in fatto degli elementi di prova valutati dai giudici di merito, è comunque smentita dalle risultanze di prova indicate nella sentenza della Corte d’appello, che ha escluso positivamente la verosimiglianza dell’accordo che il D. avrebbe stretto con il C. per l’erogazione di somme di denaro in suo favore per motivi di sostegno e aiuto economico. In ogni caso, va ricordato che per giurisprudenza pacifica e costante l’esercizio di un diritto, ove venga finalizzato a perseguire scopi ed obiettivi che non sono quelli che l’ordinamento intende garantire al titolare della posizione soggettiva, quando sia realizzato mediante condotte violente o minacciose integra il delitto di estorsione In tema di estorsione, la prospettazione dell’esercizio di una facoltà o di un diritto spettante al soggetto agente integra gli estremi della minaccia contra ius quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato come conseguenza diretta di tale condotta, si faccia ricorso alla stessa per coartare la volontà altrui e ottenere scopi non consentiti o risultati non dovuti, né conformi a giustizia fattispecie in cui la corte ha ritenuto corretta la qualificazione in termini di estorsione della condotta di un soggetto che, con la minaccia di attivare procedure giudiziarie o bancarie, si era fatto consegnare titoli, ricognizioni di debito e una procura a vendere un immobile nell’ambito di un rapporto usurario Sez. 6, n. 47895 del 19/6/2014, Vasta, Rv. 261217 . È pacifico che l’avere prospettato al C. , per il tramite del proprio difensore, che l’esercizio del diritto del D. a tacere era condizionato al pagamento di somme di denaro, in difetto del quale il ricorrente avrebbe rivelato alle autorità il coinvolgimento del C. nei fatti per cui il D. era stato arrestato, rappresenta una condotta certamente finalizzata a fare uso del diritto al silenzio, riconosciuto all’indagato per assicurare e render effettivo il diritto di difesa, per scopi del tutto differenti rivolti all’illecito arricchimento del dichiarante, attraverso la prospettazione della minaccia delle conseguenze negative che sarebbero scaturite per il C. . 3. All’ inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.