È truffa rilasciare una dichiarazione scritta comprovante il finto incidente di una terza persona

In tema di truffa, atteso che l’idoneità degli artifici e raggiri postula che i comportamenti truffaldini siano astrattamente capaci di causare l’evento, detta idoneità non è esclusa dal fatto che per svelarli siano necessari ulteriori atti di controllo.

Così ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 932/19, depositata il 10 gennaio. La falsa dichiarazione. Una caduta nella buca presente sulla strada evento del tutto privo di realtà ideato dall’incidentata e che poneva alla base di una richiesta di risarcimento danni al Comune. Tale incidente, tuttavia, veniva comprovato da una testimone quest’ultima rendeva una dichiarazione scritta circa la verificazione del sinistro in cui sarebbe incorsa l’incidentata, poi coimputata e giudicata separatamente. Infatti, l’artificiosità dell’incidente era stata rilevata dai Giudici di merito a fronte delle approfondite verifiche esperite dai responsabili del Comune. Sia in Tribunale che in sede d’Appello l’imputata, quanto testimone dell’incidente, veniva condannata per i reati di cui agli artt. 56 Delitto tentato e 640, comma 2 Truffa c.p. per i Giudici assumeva rilevanza la condotta dell’imputata consistita nell’aver formulato false dichiarazioni di aver assistito ad un incidente inesistente, inesistenza comprovata dalla mancata allegazione di un’alternativa spiegazione. L’imputata ricorre in Cassazione e, deducendo la violazione degli artt. 56 e 640, comma 2 c.p., riteneva che i Giudici territoriali non avrebbero considerato che la fattispecie in esame difettava della verifica dei quattro requisiti essenziali della truffa, ossia la condotta fraudolenta, l’induzione in errore, l’atto di disposizione patrimoniale del soggetto ingannato, il danno patrimoniale e il profitto ingiusto. Secondo la ricorrente, in particolare, difettava la prova di un accordo con l’incidentata finalizzato alla truffa ai danni del Comune poiché mancava la prova del dolo dato che non vi era stata la dimostrazione che l’imputata stessa, al momento del presunto incidente, fosse a conoscenza della volontà – fraudolenta – dell’incidentata di compiere suddetta truffa. Irrilevanza di successivi atti di controllo. In tema di truffa, gli Ermellini ribadiscono che l’idoneità degli artifici e raggiri non è esclusa dal fatto che per salvarli sia necessario il successivo intervento di atti di controllo, atteso che l’idoneità postula che i comportamenti truffaldini siano astrattamente capaci, con valutazione ex ante , di causare l’evento . Di conseguenza, i Giudici territoriali hanno correttamente ritenuto essenziale ai fini della truffa la dichiarazione rilasciata dalla ricorrente poiché è consolidato che, ai fini dell’accertamento di un sinistro, la presenza di testimoni in grado di confermare l’accaduto è il primo elemento da ricontrare. Per la S.C., segue che, è corretto il rilevo effettuato dagli stessi Giudici, secondo i quali la dichiarazione dell’imputata costituiva una componente materiale della macchinazione posta in essere dall’incidentata, macchinazione dunque ritenuta obiettivamente idonea al conseguimento del profitto . In conclusione la S.C. rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 novembre 2018 – 10 gennaio 2019, n. 932 Presidente Prestipino – Relatore Di Pisa Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza in data 26/01/2018, confermava la sentenza del Tribunale di Pisa del 27/10/2015 in forza della quale C.S. era stata condannata alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 56 c.p. e art. 640 c.p., comma 2. La corte territoriale riteneva comprovata la responsabilità dell’imputata la quale aveva reso una falsa dichiarazione scritta quanto alla verificazione di un sinistro nel quale sarebbe rimasta coinvolta N.P. la quale sarebbe caduta in una buca esistente in una strada del comune di omissis , incidente mai verificatosi, dichiarazione presentata dalla coimputata N.P. , giudicata separatamente, unitamente ad una richiesta per il risarcimento dei danni asseritamente cagionati per l’importo di Euro 2.685,97, in tal modo compiendo atti idonei diretti in maniera non equivoca a consumare una truffa ai danni del comune di omissis . 2. Propone ricorso per cassazione l’imputata a mezzo difensore deducendo i seguenti motivi a. violazione ed errata applicazione ex art. 606 c.p.p., lett. b ed e , in relazione all’art. 56 c.p. e art. 640 c.p., comma 2. Assume che nella specie difettavano gli elementi costitutivi della tentata truffa e che la corte territoriale aveva finito per configurare la truffa, tipico reato a forma vincolata, quale reato a forma libera non andando a verificare tutti e quattro i requisiti essenziali della fattispecie condotta fraudolenta caratterizzata da artifici e raggiri induzione in errore atto di disposizione patrimoniale del soggetto ingannato danno patrimoniale e profitto ingiusto . Rileva che dovendosi valutare ex ante l’idoneità della condotta e non rilevando la astratta idoneità dei mezzi utilizzati nella specie doveva considerarsi che la dichiarazione emessa dalla C. non aveva la minima forza artificiosa di indurre in errore il soggetto passivo tant’è che sin da subito l’operatore comunale incaricato di controllare le richieste si era reso conto delle presunte anomalie e che pur avendo la corte territoriale evidenziato che la dichiarazione in questione era essenziale per la realizzazione di una iniziativa truffaldina nei confronti del comune tale essenzialità della dichiarazione non era stata adeguatamente dimostrata. Evidenzia che i giudici territoriali non avevano considerato che nel caso in esame difettava la prova del dolo in quanto mancava la dimostrazione che la ricorrente, al momento della realizzazione del presunto comportamento fraudolento, fosse a conoscenza della volontà della coimputata N. di compiere una truffa nei confronti di un ente pubblico e che era del tutto assente la prova di una accordo finalizzato alla truffa in danno del comune suddetto. Osserva, altresì, che la sentenza era fondata su mere congetture e che non erano emersi indizi gravi, precisi e concordanti idonei a confermare la sua responsabilità e che il semplice fatto che l’incidente era stato descritto come verificatosi in una buca di una strada comunale, con conseguente responsabilità dell’ente pubblico, non valeva a confermare, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, la consapevolezza dell’imputata della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 640 c.p., comma 2 b. violazione ed errata applicazione art. 606 c.p.p., lett. b ed e , in relazione all’art. 131 bis c.p Rileva che valutati tutti gli elementi del caso concreto ed i parametri fissati dall’art. 131 bis c.p. avrebbe dovuto trovare applicazione detta disposizione tenuto della non particolare offensività della condotta rispetto al bene giuridico tutelato dalla norma, dell’intensità lieve a livello di elemento soggettivo, del ruolo gregario svolto dall’imputata nonché del mancato riscontro di un cointeresse economico nell’iniziativa e della mancata verifica di una abitualità della condotta c. violazione di legge in relazione all’art. 69 c.p Lamenta che la corte valutando correttamente tutti gli elementi della fattispecie avrebbe dovuto operare un giudizio di prevalenza e non già di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante, apparendo sul punto la sentenza del tutto carente oltre che illogica. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. La difesa della ricorrente ripropone in questa sede con il primo motivo doglianze già sottoposte all’attenzione della Corte di appello ed alle quali i giudici di merito hanno dato una risposta congrua e conforme a diritto evidenziando la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi del reato di cui all’art. 640 c.p. nella forma tentata. 2.1. La Corte territoriale ha spiegato le ragioni per le quali non poteva essere accolta la tesi difensiva relativa all’insussistenza del reato di tentata truffa in quanto la condotta dell’imputata, consistita nell’avere formulato false dichiarazioni di avere assistito ad un incidente in realtà inesistente, anche in ragione della mancata allegazione di una spiegazione alternativa, non poteva che essere stata tenuta al consapevole scopo di concorrere con la proprietaria del veicolo asseritamente danneggiato in occasione del sinistro, N.P. , nel tentativo di ottenere una somma ed avere un vantaggio patrimoniale, condotta integrante l’artificio consistente nel fare credere ai dipendenti del Comune di OMISSIS incaricati di esaminarla che esisteva un testimone oculare dell’occorso e che, quindi, la richiesta era fondata, argomentando anche circa la sussistenza della contestata aggravante in ragione della natura del bene fonte del danno. I giudici di merito hanno correttamente evidenziato come la falsa dichiarazione dell’imputata costituiva una componente materiale della macchinazione posta in essere dalla N. che nel suo complesso era da ritenere obiettivamente idonea al conseguimento del profitto , ragionamento il quale non risulta in alcun modo inficiato dalla contestazione secondo cui la dichiarazione della imputata non avrebbe avuto la benché minima forza artificiosa di indurre in errore il soggetto passivo come dimostrato dalla circostanza l’incaricato del comune si era reso conto delle anomalie. Tale assunto si pone in contrasto con la ricostruzione dei giudici di merito i quali hanno accertato che nella specie i responsabili del comune hanno scoperto l’inganno dopo approfondite verifiche ed insospettiti dalla circostanza che la sedicente danneggiata aveva allegato un preventivo di danni anteriore alla data del sinistro, non rispondendo al vero l’affermazione secondo cui la falsa denunzia non avrebbe avuto alcuna capacità artificiosa. Occorre, invero, rilevare che in tema di truffa, l’idoneità degli artifici e raggiri non è esclusa dal fatto che per svelarli sia necessario il successivo intervento di atti di controllo, atteso che l’idoneità postula che i comportamenti truffaldini siano astrattamente capaci, con valutazione ex ante , di causare l’evento Sez. 2, n. 40624 del 04/10/2012 - dep. 17/10/2012, Pg in proc. Nigro e altro, Rv. 25345201 . Ne discende che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto essenziale ai fini della truffa detta dichiarazione atteso che è dato di comune esperienza che ai fini della verifica di un sinistro il primo elemento da riscontrare è quello della presenza di testimoni in grado di confermare il fatto storico. 2.2. Si tratta, dunque, di motivazione congrua, adeguata e del tutto coerente con gli evidenziati elementi fattuali, sicché la censura, da considerare una mera e tralaticia riproposizione della medesima tesi difensiva disattesa in entrambi i giudizi di merito, dev’essere ritenuta inammissibile in quanto, surrettiziamente tesa ad ottenere una nuova rivalutazione del merito. 3. Anche il secondo motivo, che si ricollega all’intervenuta introduzione nel sistema di diritto penale della regola di non punibilità per particolare tenuità del fatto art. 131 bis c.p. , introdotto dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, è manifestamente infondato. 3.1. Sul punto va richiamato l’orientamento della Suprema Corte secondo cui ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 - dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 26659001 . Nel caso in esame che i giudici del merito con una valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità hanno escluso nel caso la particolare tenuità del fatto che potrebbe portare all’applicazione del citato art. 131-bis c.p. in ragione del potenziale danno per il comune, tutt’ altro che trascurabile oltre 2.600,00 Euro . 4. Congrua in fatto e corretta in diritto è la motivazione in punto di giudizio ex art. 69 c.p Occorre, pervero, considerare che in tema di concorso di circostanze, il giudizio di comparazione risulta sufficientemente motivato quando il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’art. 69 c.p. scelga la soluzione dell’equivalenza, anziché della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto. Sez. 2, n. 31531 del 16/05/2017 - dep. 26/06/2017, Pistilli, Rv. 27048101 . 5. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.