Convivenza insopportabile, lei va a vivere a casa dei genitori: marito condannato

Nessuna via d’uscita per il marito, ritenuto colpevole per le vessazioni a cui ha sottoposto la moglie. Decisive i racconti della donna e le testimonianze di un figlio e di una cognata.

Inchiodato dalle parole del figlio e della cognata. Sono loro due a confermare i racconti fatti da una moglie vessata dal marito. Per l’uomo è inevitabile la condanna per il reato di maltrattamenti”, alla luce di comportamenti che hanno reso insopportabile la convivenza per la donna, che, alla fine, ha deciso di andare a vivere nella casa dei propri genitori portando con sé i figli Corte di Cassazione, sentenza n. 761/19, sez. VI Penale, depositata oggi . Vessazioni. Linea di pensiero comune per i Giudici, che, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, ritengono non discutibile il fatto che l’uomo abbia sottoposto la moglie a reiterati atti di aggressione, ingiurie minacce e vessazioni morali . Decisive non solo le parole della donna, ma anche le testimonianze di un figlio e della cognata. Tale valutazione è ritenuta corretta ora dai Giudici della Cassazione, i quali respingono le obiezioni proposte dal legale dell’uomo e confermano la condanna per maltrattamenti . Irrilevante il richiamo difensivo al fatto che la cognata aveva riferito di un episodio risalente a dieci anni prima e che il figlio aveva riportato solo che il padre e non aiutava la madre e non faceva quello che deve fare un marito . Per i Giudici del Palazzaccio è chiara la lettura da dare ai comportamenti tenuti dall’uomo tra le mura domestiche. Ciò alla luce del principio secondo cui la materialità del delitto di maltrattamenti in famiglia resta integrata da una serie di atti lesivi dell’integrità fisica o della libertà o del decoro del soggetto passivo nei confronti del quale viene così posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica, tale da rendere particolarmente dolorosa la stessa convivenza . A testimoniarlo, in questa vicenda, la scelta della donna di abbandonare il tetto coniugale per andare a vivere assieme a figli a casa dei propri genitori. Da tener presente, infine, concludono i Giudici, che l’elemento psichico del reato si concretizza nella volontà di avvilire e sopraffare la vittima, unificando i singoli episodi di aggressione morale e materiale , non rilevando, invece, che durante il lasso di tempo considerato siano riscontrabili periodi di normalità e di accordo tra le mura domestiche.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 novembre 2018 – 9 gennaio 2019, n. 761 Presidente Paoloni – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Messina, con la sentenza in epigrafe indicata ha confermato quella del Tribunale di Patti, che aveva condannato l’imputato, G.S.S., alla pena ritenuta di giustizia per i reati di maltrattamenti contro familiari e di minaccia grave, in continuazione ritenuti, per avere il primo sottoposto la moglie a reiterati atti di aggressione, ingiurie, minacce e vessazioni morali e per averla minacciata, insieme a M.D. e G.D., al cui indirizzo il prevenuto impugnava un tridente dichiarando che li avrebbe ammazzati tutti artt. 572, primo comma, e 612, secondo comma, c.p. . Per fatti avvenuti sino al 25 aprile 2010, quanto ai maltrattamenti, ed il 25 aprile 2010, quanto all’episodio di minaccia. 2. Ricorre in cassazione avverso l’indicata sentenza il difensore di fiducia dell’imputato con tre motivi di annullamento. 2.1 Con il primo motivo si denuncia la violazione della legge penale in cui sarebbe incorsa la Corte di appello di Messina là dove aveva mancato di dichiarare la prescrizione del reato di cui all’art. 372 c.p. che, ex art. 157 c.p., in ragione della pena ratione temporis applicabile, ante legge n. 172/2012. Sarebbe maturata il 16 luglio 2017, e quindi al decorso del termine di sette anni e sei mesi dal 16 gennaio 2010, data in cui, diversamente da quanto contestato in imputazione, si sarebbe protratta la condotta di maltrattamento. La persona offesa, nel corso del suo esame, aveva infatti riferito del perdurare della condotta del coniuge sino al momento in cui, allontanandosi dal domicilio familiare, era andata a vivere con i figli, nella casa dei propri genitori, data, quest’ultima, individuabile in quella del 16 gennaio 2010 in ragione di quanto esposto nel ricorso per separazione personale, allegato al ricorso per cassazione. 2.2 Con il secondo motivo si fa valere dell’impugnata sentenza la violazione di legge in relazione all’art. 572, primo comma, c.p La Corte di appello di Messina avrebbe ritenuto l’integrazione del contestato reato in difetto di reali vessazioni lesive dell’integrità fisica e del patrimonio morale della persona offesa non individuabili in situazioni episodiche e contingenti che non avrebbero provato l’abitualità della condotta e rispetto alle quali la persona offesa avrebbe conservato la propria autonomia. Tanto sarebbe stato ricostruibile dalle dichiarazioni testimoniali rese dalla cognata che aveva riferito di un episodio risalente a dieci anni prima e dal figlio dell’imputato che aveva riportato che il padre non aiutava la madre e non faceva quello che un marito deve fare . 2.3 Con il terzo motivo si denuncia erronea inosservanza ed applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla minaccia contestata al capo b della rubrica. In querela si evidenziava che l’imputato inveiva all’indirizzo della cognata, M.D., alla quale imputava la rovina della famiglia ed a cui diceva che gliela avrebbe fatta pagare, circostanza confermata in sede di esame della moglie del primo là dove invece la stessa M.D. aveva escluso, in modo categorico, di essere presente all’episodio. La Corte di merito avrebbe giustificato la discrasia per una probabile errata percezione ed interpretazione delle domande all’offesa formulate in corso di escussione dibattimentale. Vi sarebbero state contraddizioni anche tra quanto indicato in querela e quanto invece dichiarato dagli altri testi, i figli dell’imputato, e G.D., che aveva riferito che il pervenuto, prendendo il forcone, avrebbe mantenuto una distanza di dieci metri dagli offesi, evidenza sulla scorta della quale la Corte territoriale avrebbe dovuto escludere, quanto meno, l’elemento soggettivo del reato. Considerato in diritto 1. Il Primo motivo di ricorso è ammissibile perché introduce un presupposto di fatto – così per l’intervenuta separazione personale tra i coniugi del 16 gennaio 2010 – non dedotto in appello resta ferma in ogni caso una ricostruzione del fatto, per le condotte contestate in rubrica e ritenute in sentenza, dirette a ricondurre il protrarsi della violenza, propria anche della contestata fattispecie di maltrattamento ex art. 572 c.p., fino al 25 aprile 2010, data, questa, che esclude l’intervenuta maturazione della causa estintiva dei reati nel termine massimo art. 161, secondo comma, c.p. , applicabile in ragione del registrato intervento di cause interruttive, al momento di adozione della sentenza di appello pronunciata il 13 settembre 2017. 2. Al secondo ed al terzo motivo di ricorso si accompagna una alternativa lettura del fatto capace di sottrarre logica struttura all’impugnata sentenza là dove il carattere sistematico delle condotte, proprio del reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., resta definito dai giudici di appello per un composto giudizio in cui convergono, senza denunciare dell’osservato percorso manifeste illogicità e contraddizioni, i riportati racconti dei testi escussi la persona offesa, la sorella della stessa ed i figli. Per costante affermazione di questa Corte di legittimità, la maternità del delitto di maltrattamento in famiglia resta integrata da una serie di atti lesivi dell’integrità fisica o della libertà o del decoro del soggetto passivo nei confronti del quale viene così posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica tale da rendere particolarmente dolorosa la stessa convivenza, dovendo poi l’elemento psichico concretizzarsi nella volontà dell’agente di avvilire e sopraffare la vittima unificando i singoli episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest’ultima, non rilevando, nella natura abituale del reato, che durante il lasso di tempo considerato siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo ex multis Sez. 6, n. 8510 del 26/06/1996, Lombardo, Rv. 205901-01 Sez. 3, n. 6724 del 22/11/2017, dep. 2018, D. L. Rv. 272452 . Nel dare valutazione al raccolto materiale di prova la Corte territoriale si è attenuta all’indicato principio ed il motivo proposto denunciando la violazione dell’art. 572 cod. pen., nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità, risulta nei suoi contenuti manifestamente infondato. del pari, quanto all’episodico di minaccia aggravata contestato al capo b della rubrica, la Corte di merito motiva sulla sussistenza del reato di cui all’art. 612, secondo comma, cod. pen. Dando buon governo delle risultanze di prova per un giudizio che non si lasica censurare per la contraddittorietà delle raggiunte conclusioni. Resta poi fermo il principio per il quale a fronte di una cd. Doppia conforme, e quindi della formulazione di un giudizio penale responsabilità da parte dei giudici di merito di primo e secondo grado, la contestazione sul dato di prova che si assuma non correttamente interpretato debba spingersi fino a ritenere dello stesso travisamento, tema, questo, invece, neppure cennato in ricorso in cui il deducente sollecita questa Corte di legittimità ad una nuova diretta valutazione del fatto, per un non mediato ed inammissibile scrutinio della prova e dei suoi esiti. 3. Il ricorso è, quindi, in via conclusiva inammissibile. Alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, in via equitativa stimata, di euro duemila in favore della cassa delle ammende, con condanna altresì del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle costituite parti civili, D.E.D., D. M. e D. G., che si liquidano, in ragione della notula in atti e delle previsioni di cui al d.m. n. 37 del 2018, in ragione, anche del numero dei rappresentanti /art. 12, comma 2, d.m. n. 55 del 2014 come modificato dall’art. 3, comma 1, d.m. n. 37 del 2018 , in complessivi euro cinquemilaseicento oltre accessori di legge con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende. Condanna lo stesso ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle costituite parti civili D. E. D., D. M. e D. G. che liquida in complessivi euro cinquemilaseicento oltre accessori di legge con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto disposto d’ufficio e/o imposto dalla legge.