Quando si consuma il reato di utilizzazione indebita di carta di credito?

Ai sensi dell’art. 55, comma 9, d.lgs. n. 231/2007, integra il reato di indebita utilizzazione di carte di credito il prelievo reiterato di denaro contante presso uno sportello bancomat di un istituto di credito mediante l’uso di un supporto magnetico clonato.

Sul tema è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con sentenza n. 213/19, depositata il 4 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello di Roma, con riferimento al trattamento sanzionatorio, riformava parzialmente la sentenza del GUP del Tribunale di Roma che riconosceva all’imputato la penale responsabilità in ordine al delitto per aver indebitamente utilizzato una carta di credito falsificata, presso un esercizio commerciale, contenente i dati di un’altra carta. Ricorre in Cassazione l’imputato sostenendo che l’utilizzo indebito di supporti magnetici clonati configurerebbe il reato di frode informatica. L’indebita utilizzazione di carte di credito. Sul punto, la Suprema Corte sottolinea che integra la fattispecie di reato di indebita utilizzazione di carte di credito, ex art. 55, comma 9, d.lgs. n. 231/2007, e non invece il delitto di frode informatica di cui all’art. 640- ter c.p., il prelievo reiterato di denaro contante presso uno sportello bancomat di un istituto di credito mediante l’uso di un supporto magnetico clonato. Contrariamente, il reato di frode informatica si configura nel comportamento di chi, servendosi di un codice di accesso colto in maniera fraudolenta, penetri abusivamente nel sistema informatico bancario ed effettui operazioni illecite di trasferimento fondi, allo scopo di trarne profitto per sé o per altri. Nella fattispecie in esame, l’imputato non ha utilizzato fraudolentemente un codice di accesso ad un sistema informatico ma deve contestarsi a questi solo il pagamento di merce con l’utilizzo di supporti magnetici clonati. Per tale ragione, gli Ermellini dichiarano inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 luglio 2018 – 4 gennaio 2019, n. 213 Presidente Cammino – Relatore Imperiali Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30/3/2017 la Corte di Appello di Roma ha solo parzialmente riformato, in ordine al trattamento sanzionatorio, la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma che il 25/7/2016, all’esito di giudizio abbreviato, aveva riconosciute la penale responsabilità di G.S. in ordine al delitto di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 1 per aver indebitamente utilizzato presso un esercizio commerciale una carta di credito falsificata contenente i dati di altra carta, essendo inoltre in possesso anche di ulteriori carte di credito falsificate o alterate. 2. Ricorre per Cassazione il G. , a mezzo del suo difensore deducendo 2.1. La violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, assumendo il ricorrente che l’utilizzo indebito di supporti magnetici donati configurerebbe, invece, il reato di frode informatica di ai all’art. 690 ter cod. pen 2.2. La violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio, per essersi negate le attenuanti generiche in considerazione dei precedenti penali dell’imputato. Considerato in diritto 3. Il ricorso e inammissibile, in quanto si discosta dai parametri dell’impugnazione di legittimità stabiliti dall’art. 606 cod. proc. pen 3.1. Il primo motivo di ricorso e infatti, manifestamente infondato, in quanto in situazioni assimilabili per la natura dell’azione a quella qui in esame questa Corte di Cassazione ha avuto ripetutamente modo di evidenziare che integra il reato di indebita utilizzazione di carte di credito di cui al D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, art. 55, comma 9, e non quello di frode informatica di cui all’art. 640 - ter cod. pen., il reiterato prelievo di denaro contante presso lo sportello bancomat di un istituto bancario mediante utilizzazione di un supporto magnetico donato, perché il ripetuto ritiro di somme per mezzo di una carta bancomat illecitamente duplicata configura l’utilizzo indebito di uno strumento di prelievo sanzionato dal predetto art. 55 Sez. 6, n. 1333 del 04/11/2015, Rv. 266233 Sez. 2, n. 50140 del 13/10/2015, Rv. 265565 . Il reato di frode informatica di cui all’art. 640 ter cod. pen., invece, si configura nella condotta di colui che, servendosi di un codice di accesso fraudolentemente captato, penetri abusivamente nel sistema informatico bancario ed effettui illecite operazioni di trasferimento fondi, al fine di trarne profitto per sé o per altri Sez. 2, n. 50140 del 13/10/2015, Rv. 265565 cit. che, in motivazione, ha ritenuto decisiva la sussistenza dell’elemento specializzante, costituito dall’utilizzo fraudolento del sistema informatico cfr. anche Sez. 2, n. 41777 del 30/09/2015, Rv. 264774 Sez. 2, n. 17748 del 15/04/2011, Rv 250113 . Nel caso in esame, al G. non è stato contestato alcun uso fraudolento di un codice di accesso ad un sistema informatico, né alcun abusivo intervento sul sistema ma, nel difetto di tali elementi specializzanti, soltanto il pagamento di merce con l’uso di supporti donati, sicché deve ritenersi manifesta l’infondatezza della prospettazione difensiva di cui al primo motivo di ricorso. 3.2. Del pari inammissibile è il secondo motivo di impugnazione, in quanto la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione Cass. Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419 , anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, quali nel caso di specie i numerosi precedenti penali del ricorrente, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163 Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244 . Analogamente, per quanto concerne il trattamento sanzionatorio, deve ricordarsi che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento Illogico Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142 , ciò che - nel caso di specie - non ricorre, essendosi giustificata la pena con riferimento, oltre che ai già ricordati precedenti penali per fini di lucro da cui è gravato il ricorrente, dalla gravità del fatto e dal danno cagionato alla persona offesa. 4. All’inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.