La confisca diretta nell’ipotesi di reato commesso dal legale rappresentante della società

Nei confronti di una società che si sia avvantaggiata della commissione di un reato fiscale commesso dal proprio legale rappresentante, è ammessa la sola confisca diretta e non anche quella per equivalente.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 105/19, depositata il 3 gennaio. La vicenda. Il Tribunale rigettava la richiesta di riesame presentata dall’imputato, in qualità di legale rappresentante di una s.r.l., avverso il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP in relazione ai beni nella titolarità della predetta società, essendo l’imputato stesso indagato per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000. Avverso tale ordinanza l’imputato ricorre per cassazione denunciando l’errore del Tribunale di aver considerato profitto illecito del reato anche il risparmio di imposta. La confisca diretta. In linea di principio, il Supremo Collegio sottolinea che nei confronti del soggetto impersonale che si sia avvantaggiato della commissione di un reato fiscale commesso dal proprio legale rappresentante, è ammessa la sola confisca diretta e non anche quella per equivalente ed inoltre, in caso di sequestro di denaro, la misura cautelare da applicare è quella della confisca diretta, posto che il denaro, costituendo il frutto del risparmio di spesa derivante dall’omesso versamento tributario è legato ad un rapporto di pertinenzialità con il reato in provvisoria contestazione. Mentre, per quanto riguarda, nel caso in esame, il manufatto la Corte di Cassazione rileva che la relativa questione è inammissibile poiché essa non aveva formato oggetto di ricorso difronte al Tribunale del riesame. Per tali ragioni, gli Ermellini dichiarano inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 ottobre 2018 – 3 gennaio 2019, n. 105 Presidente Andreazza – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Il Tribunale di Caltanissetta, in funzione di giudice del riesame dei provvedimenti cautelari reali, ha rigettato la richiesta di riesame presentata da C.G. , in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Agriservice srl, avverso il provvedimento di sequestro preventivo disposto dal Gip del Tribunale di Gela relativamente a beni nella titolarità della predetta Agriservice, o in difetto, dello stesso C. , essendo questi indagato in ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, per avere, secondo l’ipotesi accusatoria, utilizzato., nelle dichiarazioni dei redditi presentata per conto della ricordata società negli anni dal 2013 al 2017, poste passive documentata con fatture di comodo emesse da terzi relativamente ad operazioni inesistenti. Avverso detta ordinanza ha interposto ricorso per cassazione il C. , in quanto legale rappresentante della Agriservice, deducendo, quale unico, ancorché articolato, motivo di impugnazione la pretesa violazione di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale del riesame da una parte nel ritenere profitto illecito del reato anche il risparmio di imposta realizzato nelle forme di cui al capo di imputazione, sebbene il suo ammontare fosse inferiore alla soglia di punibilità relativa ai reati di omesso versamento delle imposte sul valore aggiunto e sui redditi, e per avere eseguito il sequestro, diretto, su beni, nella specie danaro ed un capannone della Agriservice, in relazione ai quali non era stato dimostrato il rapporto di pertinenzialità con il reato. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Osserva, infatti, il Collegio che la prima censura formulata dal ricorrente appare priva di consistenza questo in quanto, secondo ciò che è dato di capire dalla sintetica formulazione del motivo di ricorso, il C. ha lamentato il fatto che sia stato eseguito il provvedimento cautelare in assenza del requisito del fumus delicti poiché la evasione della imposta sul valore aggiunto e sui redditi che si sarebbe realizzata attraverso il meccanismo fraudolento da lui posto in essere sarebbe stata di importo inferiore all’ammontare della soglia di punibilità prevista per i reati di omesso versamento delle imposte. Trascura di considerare il ricorrente che la provvisoria imputazione elevata nei suoi confronti non ha ad oggetto il mero mancato versamento delle imposte risultanti dalle dichiarazioni da lui presentate, fattispecie delittuose per le quali effettivamente la integrazione della rilevanza penale è subordinata all’avvenuto superamento di una soglia di punibilità costituita da un certo ammontare di imposta evasa, ma essa concerne la più grave fattispecie costituita dalla presentazione di una dichiarazione fraudolenta attraverso l’utilizzo di fatture riguardanti operazioni inesistenti, per la quale non è prevista alcuna soglia di punibilità. L’illustrato argomento dedotto dal ricorrente onde evidenziare l’esistenza di un errore di diritto in cui sarebbe incorso il Tribunale del riesame nel confermare il sequestro preventivo impugnato dal ricorrente, non ha perciò alcun fondamento. Relativamente al secondo profilo della censura mossa dal ricorrente, avente ad oggetto il difetto del nesso di pertinenzialità fra i beni oggetto di sequestro si tratta di danaro ed un capannone adibito a deposito riferibili alla Agriservice ed il reato in provvisoria contestazione, ne ritiene il Collegio anche in questo caso la non concludenza ai fini dell’accoglimento del presente ricorso. Infatti, pur rilevato, in linea di principio, che nei confronti del soggetto impersonale il quale, in via di fatto, si sia avvantaggiato della commissione del reato fiscale commesso dal proprio legale rappresentante, è ammissibile la sola confisca diretta e non anche quella per equivalente laddove non ricorra la ipotesi residuale del soggetto persona giuridica che costituisca, tuttavia, un mero schermo dietro il quale agisca direttamente la persona fisica del suo amministratore, ipotesi nella quale è consentita, attesa la mera apparenza della soggettività della persona giuridica, anche la confisca per equivalente cfr. in tal senso Corte di cassazione, Sezione 2^ penale, 16 novembre 2015, n. 45520 , va tuttavia, altresì, ricordato che, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, in caso di sequestro di danaro, la misura cautelare deve intendersi prodromica ad una confisca diretta, posto che il danaro, costituendo comunque il frutto del risparmio di spesa derivante dall’omesso versamento tributario, è, stante la naturale fungibilità del bene in questione, ordinariamente legato ad un rapporto di pertinenzialità con il reato in provvisoria contestazione Corte di cassazione, Sezione 2^ penale, 26 maggio 2014, n. 21228 idem Sezioni unite penali, 5 marzo 2014, n. 10561 . Per ciò che attiene al manufatto, anch’esso oggetto di sequestro finalizzato alla confisca diretta, sebbene lo stesso sia, per un verso, di preesistente acquisizione rispetto al momento di ritenuta commissione dei reati in provvisoria contestazione e, per altro, verso, sia parzialmente riferibile ad altri soggetti, rileva il Collegio che la relativa questione è inammissibile in quanto essa non aveva formato espresso oggetto di ricorso di fronte al Tribunale del riesame, di tal che la stessa non può ora costituire ex novo oggetto di doglianza di fronte a questa Corte di legittimità. Alla inammissibilità del ricorso segue, visto l’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.