Gamberi surgelati al ristorante, è obbligatorio l’asterisco nel menu

La detenzione nella cucina di un ristorante di prodotti congelati o surgelati, senza che nel menu sia indicata tale caratteristica, integra il reato di tentata frode in commercio, poiché si tratta di una condotta idonea a consegnare al cliente un prodotto diverso, per qualità, da quello dichiarato.

Lo ha confermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 56105/18, depositata il 13 dicembre. Il caso. La Corte d’Appello di Genova, in riforma parziale della pronuncia di primo grado, concedeva i doppi benefici di legge all’imputato, titolare di un ristorante, già condannato in primo grado ad una multa di 600 euro, in cui vendeva prodotto ittico congelato senza che tale condizione fosse conosciuta dal consumatore mediante l’inserimento nel menu. Avverso tale decisione l’imputato ricorre in Cassazione sostenendo che non poteva essergli imputato il reato di frode in commercio dato che la questione si era presentata solo per due piatti del menu. Il reato di frode in commercio. Innanzitutto occorre ricordare che integra il reato tentato di frode in commercio la mera disponibilità di alimenti surgelati, nella cucina di un ristorante, anche se non indicati come tali nel menu, indipendentemente dall’inizio di una contrattazione con l’avventore. Infatti è obbligo dell’esercizio della ristorazione dichiarare la qualità dei prodotti offerti ai consumatori e se ciò non avviene si è difronte al reato di tentata frode nell’esercizio del commercio, poiché, in tal senso, si offre ai clienti prodotti diversi, appunto per qualità, da quelli dichiarati. Vero è che, nel caso in esame, non vi è alcuna contestazione sullo stato di conservazione del prodotto o sul rispetto delle procedure relative, ma solamente in relazione alla mancata ottemperanza agli oneri informativi.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 25 ottobre – 13 dicembre 2018, n. 56105 Presidente Andreazza – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15 gennaio 2018 la Corte di Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del 21 giugno 2012 del Tribunale di Genova, ha concesso i doppi benefici di legge a P.F. , quale titolare del ristorante omissis in , già condannato in primo grado alla pena di Euro 600 di multa per il reato di cui agli artt. 56 e 515 cod. pen., stante la detenzione per la vendita di prodotto ittico congelato senza che di detta condizione fosse stato edotto il consumatore nel menu. 2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione articolato su due congiunti motivi di impugnazione. 2.1. In particolare, col primo motivo il ricorrente ha sostenuto che non poteva dirsi concretizzata quella univocità in concreto degli atti idonei a configurare il tentativo di frode in commercio, atteso oltretutto che la questione si era posta solamente per due piatti, ossia la sfogliata di polpo e gambero rosso e la crudità di scampi di Sicilia e gamberi. In specie, col secondo motivo, e tenuto conto della normativa Europea di riferimento, il ricorrente ha osservato che gli alimenti in questione dovevano essere posti in vendita esclusivamente come congelati per espressa disposizione di legge, sì che non doveva neppure esserci comunicazione, atteso che la vendita di crudità fresca senza congelamento non era consentita dalla legge. Non vi era pertanto univocità tesa alla vendita di merce diversa da quella dichiarata, mentre comunque era ormai intervenuta la prescrizione del reato. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile. 4.1. In relazione all’impugnazione siccome azionata, è appena il caso di ricordare, attesa anche la struttura del provvedimento, che integra il reato tentato di frode in commercio la mera disponibilità, nella cucina di un ristorante, di alimenti surgelati, seppure non indicati come tali nel menu, indipendentemente dall’inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore Sez. 3, n. 39082 del 17/05/2017, Acampora, Rv. 270836 Sez. 3, n. 30173 del 17/01/2017, Zhu, Rv. 270146 . Infatti la detenzione di alimenti congelati o surgelati all’interno di un ristorante, senza che nella lista delle vivande sia indicata tale caratteristica, integra il reato di tentativo di frode in commercio, trattandosi di condotta univocamente idonea a consegnare ai clienti un prodotto diverso, per qualità, da quello dichiarato Sez. 3, n. 5474 del 05/12/2013, dep. 2014, Prete, Rv. 259149 . Al riguardo, infatti, è ormai costante l’insegnamento, che si condivide, in forza del quale può infatti concretizzare la fattispecie di reato anche il semplice fatto di non indicare nella lista delle vivande, posta sui tavoli di un ristorante, che determinati prodotti sono congelati, in quanto l’esercizio di ristorazione ha l’obbligo di dichiarare la qualità della merce offerta ai consumatori, di tal che la mancata specificazione della qualità del prodotto naturale o congelato integra il reato di tentata frode nell’esercizio del commercio, perché la stessa proposta di vendita non veritiera, insita nella lista vivande, costituisce un atto diretto in modo non equivoco a commettere il delitto di cui all’art. 515 cod. pen. così, in motivazione, Sez. 3, n. 899 del 20/11/2015, dep. 2016, Bordonaro, Rv. 265811, cfr. ivi anche per gli ulteriori richiami . Ciò posto, solamente in sede di legittimità è stata espressamente invocata quella che sarebbe la disciplina comunitaria di trattamento dei prodotti ittici. L’appello infatti aveva avuto ad oggetto questioni ormai ampiamente superate dalla richiamata giurisprudenza, ossia la configurabilità del tentativo, connaturato all’avvio della concreta trattativa con l’acquirente oppure collegato alla mera omessa indicazione della qualità del pesce nel menu. D’altronde, ed anche a prescindere dalla tardività della questione formalmente proposta solo in questa sede in relazione alla previsione di cui all’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., mai risulta venuto meno l’obbligo di indicazione cfr. ad es. Circolare Mipaaf del 12 dicembre 2014, meramente ricognitiva sul punto dell’eventuale natura del prodotto negli esercizi di ristorazione, qualora lo stesso subisca lo scongelamento per l’immediata preparazione delle pietanze in immediato favore della clientela. Vero è, appunto, che non vi è stata alcuna contestazione circa lo stato di conservazione del prodotto ovvero il rispetto delle procedure relative, bensì solamente in relazione alla mancata ottemperanza agli oneri informativi. 5. La manifesta infondatezza dell’impugnazione non può che condurre quindi all’inammissibilità del ricorso. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma deil’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.