Né colpevole né innocente: prescritto. La Cassazione torna sul luogo del delitto

Riflessioni amare in tema di presunzione di non colpevolezza.

Il caso. La Corte d’Appello di Roma aveva confermato la sentenza resa nei confronti dell’imputato che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dello stesso per intervenuta prescrizione del reato. Avverso detto pronuncia, nata da procedimento di appello proposto dall’imputato che richiedeva che la Corte d’Appello giungesse a sentenza lui più favorevole adottando la forma dell’assoluzione ex art. 530, comma 2, c.p.p., formava ricorso per Cassazione l’imputato eccependo, la violazione del disposto degli artt. 129, comma 2, c.p.p, 24, 11 Cost. 125, comma 3, 530, 546 comma 1, lett. e , 40, comma 2, 43 3 589 c.p La particolarità della vicenda è racchiusa nella esistenza che dichiarava l’improcedibilità per estinzione del reato veniva dato atto della sussistenza dei presupposti per la pronuncia di assoluzione seppure ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p Ai fini del presente commento ci interesseremo dei rapporti intercorrenti tra prescrizione ed articolo 129 c.p.p. alla luce delle disposizioni di rango Costituzionale L’articolo 129 comma 2 c.p.p Recita l’art. 129 del codice di rito 1. In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza. 2. Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta . Il comma 2 dell’articolo in commento indica come per il legislatore del 1989 tra la declaratoria di prescrizione ed una formula più favorevole di definizione del procedimento per l’imputato assoluzione perché il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato avesse scelto di dar spazio a quella definizione che garantiva la più ampia tutela dell’indagato/imputato. Il codice dell’89 era il codice dei galantuomini” cit. Vassalli , ovvero il codice che aveva in animo di tutelare gli onesti, i galantuomini nei confronti dei quali veniva esercitata l’azione penale. Dunque alcun dubbio poteva esservi circa la necessità di procedere sempre e comunque con la formula più favorevole per l’imputato/indagato nel caso emergesse una delle cause di assoluzione o di non luogo a procedere ex lege previste e indicate. L’art. 24 della Costituzione mi scuso per la citazione del testo di un articolo ben noto a tutti ma, per completezza espositiva il richiamo risulta indispensabile. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari . Sulla scorta del combinato disposto degli articolo 24 e 11 della Costituzione, 129 comma 2 e 530 comma 2 c.p.p., ed alla luce del tenore della sentenza, nella quale si affermava la sussistenza dei presupposti per pronuncia assolutoria dell’imputato da rendersi ex art. 530 comma 2, il ricorrente reclamava il proprio diritto a veder riconosciuto concluso il procedimento penale aperto nei suoi confronti con la pronuncia a lui più favorevole. La questione appare davvero interessante. La giurisprudenza della Corte di Cassazione la Corte, IV sezione penale, pone immediatamente termine alla questione citando la pronuncia delle SS.UU. Tettamanti con cui si è affermato che la regola probatoria di cui all’art. 530, comma 2, c.p.p., cioè il dovere per il giudice di pronunciare sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova della responsabilità, appare dettata esclusivamente per il normale esito del processo che sfocia in una sentenza emessa dal giudice al compimento dell’attività dibattimentale, a seguito di una approfondita valutazione del materiale probatorio acquisito, tale regola non può trovare applicazione, e vale invece la regola di giudizio di cui all’art. 129 c.p.p. in base alla quale, intervenuta una causa estintiva del reato, può essere pronunciata sentenza di proscioglimento nel merito solo qualora emerga dagli atti processuali positivamente risulta evidente articolo 129 comma 2 c.p.p. senza necessità di ulteriore approfondimento, l’estraneità dell’imputato a quanto contestatogli . Con l’indicazione del principio di diritto richiamato dalla Corte la vicenda è conclusa. Ma vi sarebbe un’obiezione C’è sempre un’obiezione. Nella pronuncia impugnata v’è traccia, così dicono gli Ermellini, della sussistenza dei presupposti per procedere a pronuncia assolutoria ex art. 530, comma 2, c.p.p Saremmo dinnanzi ad una vicenda in cui seppur non risulta evidente la prova richiesta ex art. 129, comma 2, c.p.p., la stessa appare occhieggiare, con una certa qual evidenza dal compendio probatorio. Dunque? Dunque a mio modestissimo parere una corretta applicazione dei principi contenuti in quello che doveva essere il codice dei galantuomini dovrebbe portare ad una lettura della norma conforma ai principi espressi nella legge delega che ha portato all’emanazione del nostro codice. Ma hanno così torto gli Ermellini? C’è un articolo della nostra Carta Costituzionale che nel caso di specie non è stato considerato dal ricorrente ma che consente di poter ritenere l’interpretazione resa dalla Corte di Cassazione conforme ai principi generali inerenti la responsabilità penale. Si tratta dell’art. 27, comma 2 della Costituzione che come noto recita l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva . Siamo di fronte dunque ad una presunzione di non colpevolezza che, limita di fatto l’applicabilità di quel principio di maggior favore rispetto alla definizione del procedimento penale promosso nei confronti dell’indagato/imputato. La sola evidenza della prova richiesta ex art. 129, comma 2, c.p.p., è in grado di battere quella presunzione di non colpevolezza così diversa e lontana dalla presunzione di innocenza in cui crediamo, a torto, di essere immersi. Se la prescrizione non è gradita, all’imputato non resta altra via che rifiutarla. O sperare che vi sia una parte civile costituita.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 novembre – 12 dicembre 2018, numero 55519 Presidente Di Salvo – Relatore Serrao Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia emessa in data 9/10/2014 dal Tribunale di Velletri, che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di D.R. , imputato del reato di cui agli articolo 113 e 589 cod. penumero accertato in omissis , per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. 2. Pronunciando su appello proposto da D.R. , tendente ad ottenere la riforma della pronuncia di primo grado in senso assolutorio con formula perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso o perché il fatto non costituisce reato, la Corte territoriale ha rigettato l’impugnazione, ritenendo che le evidenze probatorie raccolte nel giudizio di primo grado non consentissero di pervenire ad una pronuncia ampiamente assolutoria. In particolare, secondo i giudici di appello, dagli atti processuali era emerso che la notte dell’ omissis F.G. , ricoverato presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di per una crisi respiratoria e posto su una lettiga priva di barriera anticaduta, fosse caduto a terra subendo un grave trauma cranico ricoverato in pari data presso l’ospedale omissis in rianimazione con prognosi riservata, era deceduto il omissis . Pur escludendo il profilo di colpa specifica contestato al D. , segnatamente la violazione di un ordine di servizio concernente il ricovero di pazienti in appoggio nei reparti di degenza senza posti letto disponibili, la Corte di Appello ha ritenuto che emergesse un profilo di colpa generica in quanto l’imputato, in servizio come dirigente medico del Pronto Soccorso, si trovava nella medesima stanza in cui il paziente, anziano ed in stato di agitazione, era stato posizionato su una barella priva di sponde laterali. In quel frangente, l’imputato non aveva adottato alcuna cautela al fine di esercitare una costante sorveglianza sul paziente. Non potendosi ravvisare una situazione di evidenza probatoria di non colpevolezza, si condivideva il giudizio del tribunale, rimarcando che l’imputato non aveva rinunciato alla prescrizione. 3. Ricorre per cassazione D.R. censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi a inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 129, comma 2, cod.proc.penumero in relazione agli articolo 24,111 Cost. 125, comma 3, 530, 546, comma 1, lett. e cod.proc.penumero , 40, comma 2, 43 e 589 cod. penumero avendo la Corte di Appello equivocato sui concetti di evidenza, constatazione e apprezzamento richiamati dal comma 2 dell’articolo 129 cod.proc.penumero nella sua applicazione pratica. Secondo il ricorrente, il giudice che, all’esito di una approfondita ed esaustiva valutazione del compendio probatorio, abbia accertato la mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova, deve pronunciare sentenza assolutoria anche ai sensi dell’articolo 530, comma 2, cod.proc.penumero in ogni caso, dalla motivazione della sentenza emergeva la mancanza di qualsiasi prova della sussistenza del fatto. b inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 40, secondo comma, cod. penumero in relazione agli articolo 129, comma 2, cod.proc.penumero e 589 cod. penumero , avendo la Corte di Appello ritenuto che non v’è dubbio che l’imputato ha assunto una posizione di garanzia proprio in considerazione delle circostanze concrete del caso , offrendo sul punto una motivazione illogica e contraddittoria con gli atti del procedimento per aver omesso di constatare la mancanza in capo all’imputato della posizione di garanzia poiché al medico, quale laureato in medicina e chirurgia, non compete l’obbligo di sorvegliare il paziente al fine di prevenirne la caduta, ma piuttosto l’obbligo di curarne la salute, essendo l’evento che si ha l’obbligo giuridico di evitare esclusivamente di natura tecnica, medico diagnostica e terapeutica, non infortunistica ed essendovi altre figure deputate alla vigilanza sul paziente c inosservanza o erronea applicazione degli articolo 40 e 41 cod penumero in relazione agli articolo 129, comma 2, cod.proc.penumero e 589 cod. penumero avendo la Corte territoriale assunto che la complessiva documentazione medica acquisita agli atti non può fondare una pronuncia di evidenza probatoria di non colpevolezza sotto il profilo del nesso di causalità un’approfondita disamina dei profili tecnici, medico-legali e di causalità giuridica nonché un raffronto tra le diverse conclusioni cui erano pervenuti i consulenti di parte, era incompatibile con l’accertamento necessariamente sommario ed immediato previsto dall’articolo 129, comma 2, cod.proc.penumero , in contrasto con le emergenze processuali che mostravano l’assenza della contrarietà della condotta alle leges artis e del nesso causale tra la condotta omissiva e l’evento morte, essendo il paziente deceduto 52 giorni dopo per l’ingravescenza delle patologie respiratorie e cardiache croniche dalle quali era affetto quando i postumi della caduta erano completamente risolti d inosservanza dei canoni normativi di valutazione della prova di cui agli articolo 192, comma 3, e 533 cod.proc.penumero in relazione agli articolo 27 Cost., 42, 43 e 589 cod. penumero , 129, comma 2, 391 bis e segg. cod.proc.penumero per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente un profilo di colpa generica in capo al ricorrente, sostenendo il proprio decisum con motivazione logicamente incompatibile con gli atti del procedimento, così realizzando il travisamento della prova, nella parte in cui ha assunto che l’evento fosse evitabile e inosservanza ed erronea applicazione degli articolo 40, 41, 42, 43 in relazione agli articolo 129, comma 2, cod.proc.penumero , 51 e 589 cod. penumero , per avere la Corte territoriale negato la presenza di una causa di esclusione della colpevolezza in capo al ricorrente, travisando i dati istruttori dai quali erano emersi l’eccessiva concomitanza di codici rossi e gialli nel Pronto Soccorso di quella notte, un’imprevista carenza di personale infermieristico comunicata all’imputato solo alle ore 22 00, l’assegnazione dell’unico letto dotato di spondine ad un paziente con emorragia digestiva, l’avere il D. chiesto invano la dotazione di barelle con spondine, l’essere il paziente caduto mentre il dott. D. stava redigendo una cartella clinica telematica per il trasferimento d’urgenza di altro paziente con codice rosso f inosservanza od erronea applicazione dell’articolo 589 cod. penumero come modificato dall’articolo 3, comma 1, l. 189/2012 in relazione agli articolo 2 cod. penumero e 129, comma 2, cod.proc.penumero , per avere la Corte territoriale escluso la causa di non punibilità prevista dalla disciplina sopra indicata in quanto attinente a profili di colpa che esulano dal presente processo, contraddicendo l’intero impianto motivazionale della sentenza fondato sui parametri della colpa professionale del medico e trascurando che la condotta ascritta al ricorrente fosse qualificabile in termini di colpa lieve. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Si richiama, in primo luogo, il principio ricorrente nella giurisprudenza di questa Suprema Corte per cui, in presenza di una causa estintiva del reato, non è applicabile la regola probatoria, prevista dall’articolo 530, comma 2, cod. proc. penumero , da adottare quando il giudizio sfoci nel suo esito ordinario, ma è necessario che la prova dell’innocenza emerga positivamente dagli atti, senza necessità di ulteriori accertamenti. 2.1. Da ciò consegue che l’articolo 129, comma 2, cod. proc. penumero non trova applicazione in caso di incertezza probatoria o di contraddittorietà degli elementi di prova, anche se in tali casi potrebbe ugualmente pervenirsi all’assoluzione dell’imputato Sez. U, numero 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 24427301 Sez. 6, numero 10284 del 22/01/2014, Culicchia, Rv. 25944501 Sez. 6, numero 27725 del 22/03/2018, Princi, Rv. 27367901 Sez. 1, numero 43853 del 24/09/2013, Giuffrida, Rv. 25844101 Sez.4, numero 23680 del 07/05/2013, Rizzo, Rv. 25620201 Sez.5, numero 39220 del 16/07/2008, Pasculli, Rv.24219101 . 2.2. Il principio invocato nel primo motivo di ricorso, per cui non può farsi luogo alla declaratoria di improcedibilità per estinzione del reato per prescrizione, qualora in sentenza si dia atto della sussistenza dei presupposti per la pronunzia di assoluzione, sia pure ai sensi dell’articolo 530, comma 2, cod.proc.penumero atteso che, nel vigente sistema processuale, la assoluzione per insufficienza o contraddittorietà della prova è del tutto equiparata alla mancanza di prove e costituisce pertanto pronunzia più favorevole rispetto a quella di estinzione del reato , risulta superato dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite Tettamanti, con cui si è risolto il contrasto giurisprudenziale sorto sul punto affermando che la regola probatoria di cui all’articolo 530, comma 2, cod.proc.penumero , cioè il dovere per il giudice di pronunciare sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova della responsabilità, appare dettata esclusivamente per il normale esito del processo che sfocia in una sentenza emessa dal giudice al compimento dell’attività dibattimentale, a seguito di una approfondita valutazione di tutto il compendio probatorio acquisito agli atti. Quando si è invece in presenza di una causa estintiva del reato, e perciò non vi è necessità di una approfondita valutazione del materiale probatorio acquisito, tale regola non può più trovare applicazione, e vale invece la regola di giudizio di cui all’articolo 129 cod.proc.penumero in base alla quale, intervenuta una causa estintiva del reato, può essere pronunciata sentenza di proscioglimento nel merito solo qualora emerga dagli atti processuali positivamente risulta evidente articolo 129, comma 2, cod.proc.penumero , senza necessità di ulteriore approfondimento, l’estraneità dell’imputato a quanto contestatogli , con l’unica eccezione, che non ricorre nel caso in esame, in cui il giudice di appello sia chiamato a dover approfondire ex professo il materiale probatorio acquisito ai fini della responsabilità civile. 2.3. Nel pieno rispetto del dettato dell’articolo 129, comma 1, cod.proc.penumero , come sopra interpretato, il giudice di primo grado ha tralasciato di completare l’istruttoria dibattimentale, monca della relazione tecnica del consulente del pubblico ministero afferente al profilo del nesso di causalità tra la caduta del paziente e l’evento morte, essendo obbligato per il sopravvenuto decorso del termine di prescrizione ed in assenza di rinuncia alla prescrizione da parte dell’imputato, a pronunciare la sentenza d’improcedibilità. In tal senso si era espressa la Corte Costituzionale Ordd. numero 300 del 17 giugno 1991 e numero 362 del 11 luglio 1991 affermando che il principio della prevalenza delle formule assolutorie di merito su quelle dichiarative dell’estinzione del reato è razionalmente contemperato, anche a fini di economia processuale, con l’esigenza che appaia del tutto evidente dalle risultanze probatorie che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato . La Consulta rimarcava, in quella pronuncia, che l’applicazione delle cause di non punibilità nei confronti degli imputati per i quali non ricorre l’evidenza di non colpevolezza, non concreta violazione del principio di eguaglianza, attesa la rinunziabilità della causa estintiva che, costituendo esplicazione del diritto di difesa, è posta a tutela del diritto di chi sia perseguito penalmente ad ottenere non già solo una qualsiasi sentenza che lo sottragga alla irrogazione della pena, ma precisamente quella sentenza che nella sua formulazione documenti la non colpevolezza . La Corte Costituzionale aveva in precedenza rilevato esplicitamente la incostituzionalità della mancata previsione della rinunciabilità delle cause estintive dell’amnistia e della prescrizione rinunciabilità che è stata poi inserita nell’articolo 157 cod. penumero con legge 5 dicembre 2005, numero 251. 2.4. La manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso si ricava dal tenore della sentenza di primo grado, ove si legge che non solo non vi è un’evidenza probatoria di non colpevolezza, ma anzi le pur parziali prove assunte in dibattimento confermano in astratto la sussistenza di una condotta negligente o quanto meno imprudente . 2.5. L’inammissibilità del terzo motivo di ricorso è desumibile dal rilievo per cui, ove la causa estintiva sia intervenuta allorché l’istruttoria non era completa, l’imputato che non vi abbia rinunciato non può allegare a suo favore la mancanza di prove che sia conseguente all’obbligo per il giudice di dichiarare la causa estintiva Sez. 3, numero 56059 del 19/09/2017, Marvelli, Rv. 27242701 , a differenza di quando la mancanza di prove si possa constatare allorchè la causa estintiva sia sopraggiunta al completamento dell’istruttoria. 3. Va, quindi, considerato che il mezzo di impugnazione deve perseguire un risultato favorevole per chi lo propone. Ed al ricorso per cassazione avverso una sentenza di appello che abbia confermato la pronuncia di estinzione del reato per prescrizione emessa in primo grado, senza alcuna statuizione agli effetti civili nei confronti del ricorrente, non potrebbe conseguire un effetto più favorevole, a meno che non fosse evidente la causa assolutoria, per una serie di ragioni - in primo luogo perché eventuali vizi di motivazione della sentenza impugnata non consentirebbero, in ogni caso, al giudice del rinvio di pervenire a diversa pronuncia, dato l’obbligo dell’immediata declaratoria della causa estintiva del reato Sez.4, numero 40799 del 18/09/2008, Merli, Rv.24147401 - in secondo luogo, perché la previsione di cui all’articolo 578 cod. proc. penumero , che prevede che il giudice di appello che dichiari l’estinzione per prescrizione del reato sia tenuto a decidere sull’impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, presuppone che sia intervenuta in primo grado sentenza di condanna nei confronti dell’appellante, ipotesi non sussistente nel caso in esame - in terzo luogo perché, in assenza di pattuizioni concernenti le restituzioni ed il risarcimento del danno o la rifusione delle spese processuali, neppure si configurerebbe l’interesse dell’imputato ad impugnare la sentenza ai sensi dell’articolo 574 cod. proc. penumero . 4. Esaminando la questione da un altro punto di osservazione, l’obbligo per il giudice di appello di verificare l’insussistenza della posizione di garanzia dell’imputato ovvero il difetto di nesso causale, dunque di pronunciare nel merito sentenza assolutoria, non sussiste qualora, come nel caso in esame, nel precedente grado di giudizio non sia stata affermata la responsabilità dell’imputato ma sia stata dichiarata l’estinzione per prescrizione ai sensi dell’articolo 129, comma 1, cod. proc. penumero , dunque implicitamente la sola non evidenza di ragioni assolutorie nel merito Sez. 2, numero 29499 del 23/05/2017, Ambrois, Rv. 27032201 Sez.4, numero 33309 del 8/07/2008, Rizzato, Rv.24196201 . 5. Ritiene, quindi, il Collegio che, nel caso in esame, non sia evidente alcuna causa assolutoria, in punto di diritto, con riferimento alle censure svolte nel secondo, quarto e quinto motivo di ricorso, laddove non ridondanti in censure alla motivazione o in censure tendenti ad una nuova valutazione del fatto. 5.1. Nessuna evidenza vi era circa l’insussistenza dell’obbligo del dott. D. di sorvegliare il paziente al fine di prevenirne la caduta. Secondo quanto accertato nei gradi di merito, il medico, presente in Pronto Soccorso secondo regolare turnazione, si trovava nella condizione materiale d’intervenire ed aveva la competenza professionale per percepire il rischio legato alle condizioni sanitarie del paziente, conoscendo, altresì, le deficienze strutturali del nosocomio. Nel ricorso si sostiene che sul medico gravino esclusivamente obblighi di natura tecnica, medica, diagnostica e terapeutica, piuttosto che di natura antinfortunistica. Ma si tratta di affermazione che trova smentita nella giurisprudenza di legittimità. Al riguardo, va ricordato che si è da tempo affermata la teoria del garante del rischio , fondata sul significato assegnato al dovere giuridico di impedire l’evento, discendente dallo speciale vincolo di tutela che lega il soggetto deputato a proteggere un determinato bene giuridico nei casi in cui il titolare dello stesso bene sia incapace di preservarlo da sé in via autonoma. Si è, poi, chiarito che, nell’individuazione dei destinatari degli obblighi protettivi, non sono indifferenti le funzioni in concreto esercitate e che compete all’interprete procedere alla selezione delle diverse posizioni di garanzia e degli obblighi riferibili al soggetto che ne è gravato per tutti i casi concreti, non prevedibili e non tipizzati dal legislatore, in cui il titolare del bene protetto versi in una situazione di passività. La Corte di Cassazione ha, in particolare, segnalato che, ai fini dell’operatività della così detta clausola di equivalenza di cui all’articolo 40, comma 2, cod. penumero , nell’accertamento degli obblighi impeditivi incombenti sul soggetto che versa in posizione di garanzia, l’interprete deve tenere presente la fonte da cui scaturisce l’obbligo giuridico protettivo, che può essere indifferentemente la legge, il contratto, la precedente attività svolta, la situazione di fatto e, in tale ambito ricostruttivo, per individuare lo specifico contenuto dell’obbligo, discendente dalla fonte, occorre avere riguardo alle finalità protettive fondanti la stessa posizione di garanzia e la natura dei beni dei quali è titolare il soggetto garantito, scopo della tutela rafforzata Sez.4, numero 5404 del 08/01/2015, Corso, Rv. 26203301 . Si è anche detto che la norma dell’articolo 40, secondo comma, cod. penumero va interpretata in termini solidaristici, alla luce dell’articolo 2 Cost., il quale, ispirandosi al principio del rispetto della persona umana nella sua totalità, esige l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale Sez. 4, numero 11136 del 04/02/2015, Conti, Rv. 26286901 . E tale principio, con specifico riguardo alle professioni sanitarie, è stato declinato nel senso che gli operatori di una struttura sanitaria, medici e paramedici, sono tutti ex lege portatori di una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto dagli articolo 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelate contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità l’obbligo di protezione perdura per l’intero tempo del turno di lavoro e, laddove si tratti di un compito facilmente eseguibile nel giro di pochi secondi, non è delegabile ad altri Sez.4, numero 9638 del 02/03/2000, Troiano, Rv. 21747701 . Margini d’incertezza presentava, dunque, la delimitazione dell’area di rischio gestita, nel caso concreto, dal dott. D. , impregiudicata la questione inerente al tema dell’ampiezza del dovere di custodia derivante dall’esistenza di una mera situazione di fatto, in aggiunta al dovere di cura in senso stretto. 5.2. L’asserita evidenza dell’assenza di colpa del sanitario è affermazione che tende ad ottenere una nuova valutazione delle emergenze istruttorie. La titolarità di una posizione di garanzia, è vero, non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione, da parte del garante, di una regola cautelare generica o specifica , sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire cosiddetta concretizzazione del rischio . La Corte territoriale ha, tuttavia, spiegato che l’inerzia dell’imputato, benché a conoscenza delle carenze della struttura e della situazione contingente di estrema urgenza e concitazione, non legittimava l’evidenza probatoria di non colpevolezza anche in considerazione del fatto che, data la presenza del sanitario nella stanza in cui si trovava il paziente e la prevedibile compresenza di molti casi urgenti in un reparto di Pronto Soccorso, sarebbe stato concretamente esigibile che il dott. D. si attivasse per vigilare, anche affidando tale compito ad altra persona come un parente, peraltro presente in quel momento nei locali del Pronto Soccorso. 6. Il sesto motivo di ricorso è infondato, con le precisazioni che seguono. 6.1. La sentenza di primo grado è stata emessa nel vigore dell’articolo 3 legge 8 novembre 2012, numero 189 e la sentenza di appello è stata emessa nel vigore dell’articolo 6 legge 8 marzo 2017, numero 24, dunque nella discussione del giudizio di appello i difensori hanno richiesto in via subordinata che si valutasse l’applicabilità della norma più favorevole. 6.2. Certamente la sentenza impugnata ha erroneamente delimitato il campo di operatività della parziale abolitio criminis prevista dall’articolo 3 decreto legge 13 settembre 2012, numero 158 a profili di colpa concernenti le scelte e pratiche terapeutiche , essendo tale interpretazione del testo normativo contrastante con la lettera della legge, che impone di affermare l’opposto criterio interpretativo secondo il quale la legge più favorevole prevista dall’articolo 3 decreto legge 13 settembre 2012, numero 158 conv. con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, numero 189 può trovare applicazione, ove ne sussistano le condizioni, anche alle condotte negligenti o imprudenti del sanitario che non concernono attività terapeutiche o diagnostiche in senso stretto, purché poste in essere nello svolgimento dell’attività sanitaria. 6.3. Sarebbe stato, dunque, corretto sussumere nell’ambito applicativo della legge la condotta contestata al dott. D. , chiamato a rispondere di una condotta negligente posta in essere nello svolgimento dell’attività sanitaria, ossia di una condotta non estranea, secondo la stessa prospettazione accusatoria, all’ambito di applicazione dell’articolo 3 d.l. numero 158/2012, che così recita L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve . 6.4. L’interpretazione restrittiva avallata dai giudici della Corte territoriale è tanto più errata in quanto la limitazione della responsabilità del medico in caso di colpa lieve prevista dalla norma in esame opera, in caso di condotta professionale conforme alle linee guida ed alle buone pratiche, anche nell’ipotesi di errori connotati da profili di colpa generica diversi dall’imperizia. 6.5. Si tratta, tuttavia, di errore di diritto inidoneo ad incidere sul dispositivo, dunque emendabile ai sensi dell’articolo 619, comma 1, cod. proc. penumero , in quanto anche in merito ai presupposti di applicabilità della legge più favorevole, sarebbe stata necessaria l’evidenza della causa assolutoria, qui concretata dal riscontro dei due elementi dell’aderenza del comportamento del sanitario ad accreditate linee guida o prassi virtuose e, secondariamente, della gravità dell’omissione in termini di colpa lieve. 6.6. Nel ricorso si è rimarcata la lievità della colpa, senza alcun accenno alla conformità della condotta del ricorrente ad accreditate linee-guida o prassi virtuose. Sebbene l’omessa l’allegazione della conformità della condotta tenuta dal sanitario a linee-guida o buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non incida sull’ammissibilità del motivo di ricorso, giacché la censura attiene alla violazione della legge penale Sez. 4, numero 23283 del 11/05/2016, Denegri, in motivazione , tale omissione rivela nel caso concreto l’infondatezza della censura, posto che il giudice di merito non avrebbe potuto prendere atto della predetta conformità, in quanto non emersa dall’istruttoria espletata, secondo la regola di giudizio dell’evidenza richiesta dal concomitante decorso del termine di prescrizione Sez. U, numero 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, cit. . 7. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato segue, ai sensi dell’articolo 616 cod.proc.penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.