Vendita di accendini privi del dispositivo di sicurezza per bambini: sussistenza del reato

In tema di immissione sul mercato di prodotti pericolosi, la commercializzazione di accendini privi del dispositivo di sicurezza per i bambini non integra automaticamente il reato di cui all’art. 112 d.lgs. n. 206/2005, poiché è necessario che essi siano costruiti in modo da ottenere la garanzia che un bambino in tenera età non sia in grado di provocare l’accensione della fiamma e tale circostanza deve formare oggetto di prova in giudizio secondo le regole ordinarie in tema di onere probatorio.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 55477/18, depositata il 12 dicembre. La vicenda. Il Tribunale condannava l’imputato perché, quale titolare dell’impresa individuale, metteva in commercio 847 accendini di fantasia, privi del meccanismo di sicurezza per bambini e da considerarsi prodotto pericoloso. La Corte d’Appello, adita in secondo grado, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava la pena inflitta all’imputato. Così l’imputato stesso propone ricorso in Cassazione, denunciando che la Corte territoriale aveva omesso di approfondire la questione circa la capacità dei verbalizzanti di attestare la natura pericolosa degli accendini, non avendo compiuto alcuna verifica al riguardo. La fattispecie del reato. Circa la pericolosità della merce venduta, i giudici di merito hanno correttamente configurato il caso contestato in esame nell’art. 112 d.lgs. n. 206/2005 che punisce con l’arresto da 6 mesi a un anno e con l’ammenda da 10.000 a 50.000 euro il produttore o il distributore che mette sul mercato prodotti pericolosi, in violazione del divieto espresso dall’art. 107, comma 2, lett. e del medesimo decreto legislativo. Con riferimento, in particolar modo agli accendini pericolosi, la Suprema Corte ha già affermato che, in tema di immissione sul mercato di prodotti pericolosi, la commercializzazione di accendini privi del dispositivo di sicurezza per i bambini il cosiddetto Child resistant” , non integra automaticamente il reato di cui all’art. 112 d.lgs. n. 206/2005, poiché è necessario che essi siano costruiti in modo da ottenere la garanzia che un bambino in tenera età non sia in grado di provocare l’accensione della fiamma e tale circostanza deve formare oggetto di prova in giudizio secondo le regole ordinarie in tema di onere probatorio. Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 settembre – 12 dicembre 2018, n. 55477 Presidente Rosi – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del Tribunale di Palermo del 14 dicembre 2015, L.Z. veniva condannata alla pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 8.000 di multa in ordine al reato di cui all’art. 112 comma 1 del d.lgs. 206/2005, perché, quale titolare dell’omonima impresa individuale, sita in omissis , poneva in commercio 847 accendini di fantasia, privi di meccanismo di sicurezza per bambini e dunque da considerarsi prodotto pericoloso, perché immesso sul mercato in violazione del divieto posto dal D.M. 10 agosto 2007 del Ministero dello Sviluppo Economico, fatto accertato il omissis . Con sentenza del 9 ottobre 2017, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava la pena inflitta all’imputata in mesi 4 di arresto ed Euro 8.000 di ammenda, confermando nel resto. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello siciliana, L.Z. , tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui lamenta la violazione degli art. 112 comma 1 del d. lgs. 206/2005 e 192 cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, evidenziando che la Corte territoriale aveva omesso di approfondire la questione, sollevata dalla difesa, circa la capacità dei verbalizzanti di attestare sotto il profilo tecnico e probatorio la natura intrinsecamente pericolosa dei dispositivi privi del meccanismo Child Resistant , non essendo stata compiuta alcuna verifica al riguardo la sentenza impugnata aveva ritenuto inoltre indebitamente integrato l’elemento soggettivo del reato, sebbene fosse stato dimostrato in via documentale che l’imputata si era approvvigionata degli accendini tramite i canali ordinari, per cui al più il fatto, qualificabile come mera distribuzione del prodotto, andava derubricato in un illecito amministrativo ex d. lgs. n. 54/2011. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Prima di soffermarsi sulla qualificazione giuridica della condotta, appare utile un breve e preliminare richiamo alla ricostruzione del fatto operata dalle due conformi sentenze di merito e invero non contestata dalla difesa. Dunque, in data omissis , personale del Nucleo di Polizia Tributaria di Palermo effettuava un controllo all’interno dell’esercizio commerciale sito in OMISSIS , di cui era titolare L.Z. , rinvenendo, esposti su uno scaffale collocato dietro il bancone principale, un elevato quantitativo n. 847 di accendini di varie forme, privi del meccanismo di sicurezza per i bambini. La difesa ha prodotto una serie di fatture da cui risulta che l’imputata aveva acquistato in tempi diversi una pluralità di accendini dalla ditta G. s.r.l., anche se non può dirsi certa la coincidenza con quelli sequestrati dalla P.G Ciò posto, stante la pericolosità della merce rinvenuta, i giudici di merito hanno ritenuto configurabile la fattispecie contestata art. 112 del d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, cosiddetto Codice del consumo , che punisce con l’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da 10.000 a 50.000 Euro il produttore o il distributore che immette sul mercato prodotti pericolosi, in violazione dell’espresso divieto di cui all’art. 107 comma 2 lett. e del medesimo decreto. Tale fattispecie è stata già oggetto di scrutinio da parte della giurisprudenza di legittimità che, proprio con riferimento agli accendini, ha affermato il principio secondo cui, in tema di immissione sul mercato di prodotti pericolosi, la commercializzazione di accendini privi del dispositivo di sicurezza, noto come Child resistant , previsto dal Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico 10 agosto 2007, in attuazione dei più elevati standard di sicurezza previsti dalla Decisione della Commissione Europea 2006/502/CE, non integra automaticamente il reato di cui all’art. 112 del d. lgs. n. 206 del 2005, essendo necessario che gli stessi siano costruiti in modo da ottenere, mediante diversi accorgimenti, la garanzia che un bambino in tenera età convenzionalmente fissata, a tal fine, sino ad un massimo di 51 mesi non sia in grado di provocare l’accensione della fiamma, avendo la Corte altresì chiarito che tale circostanza deve formare oggetto di prova in giudizio secondo le ordinarie regole in tema di onere probatorio così Sez. Fer., 40603 del 09/09/2014, Rv. 261477 . Orbene, la sentenza impugnata risulta coerente con tale premessa ermeneutica, peraltro richiamata sia dalla difesa che dalla Corte territoriale, avendo i giudici di secondo grado ribadito l’insufficienza, ai fini della sussistenza del reato, dell’assenza del dispositivo Child resistant sugli accendini in esame, rimarcando la decisiva circostanza che i predetti accendini sono stati immessi nel mercato, sia dal produttore che dal distributore, senza i necessari livelli di sicurezza, cioè senza idonei meccanismi di inibizione della produzione della fiamma. A fronte di tale accertamento, non smentito dalle allegazioni difensive, deve ritenersi immune da censure il giudizio sulla configurabilità del reato contestato, in quanto sorretto da argomenti razionali e saldamente ancorati alle acquisizioni probatorie, oltre che coerenti con i dettami ermeneutici di questa Corte, non risultando dirimente la questione sollevata dalla difesa circa la fornitura della merce da altro soggetto, sia in ragione del fatto che non è stato provato che gli accendini sequestrati fossero proprio quelli acquistati dalla ditta G. , sia e soprattutto in considerazione della natura anche colposa della contravvenzione oggetto di imputazione, configurabile anche a carico del distributore che non accerti, per negligenza, la pericolosità dei prodotti da lui immessi nel mercato. 2. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere quindi rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento, dovendosi unicamente precisare che il reato per cui si procede, al momento della presente decisione, non era prescritto, tenuto conto delle sospensioni intervenute, pari a 263 giorni, che vanno ad aggiungersi al termine quinquennale di prescrizione massima. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.