Data sbagliata sulla cartella clinica: quando si tratta di falso in atto pubblico?

La cartella clinica di un paziente costituisce un atto pubblico, attestante il decorso della malattia. Ogni alterazione di tale documento integra il reato di falso in atto pubblico. L'elemento soggettivo dell'illecito è il dolo generico, ovvero la consapevolezza dell'immutatio veri. Il dolo generico deve essere dimostrato attraverso svariati indicatori.

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 55385/18, depositata l'11 dicembre. Il caso. La Corte d'Appello competente, confermando la statuizione del giudice di prime cure, condannava un imputato per l'illecito di falso in atto pubblico. In particolare, al condannato, un medico presso un'azienda ospedaliera, veniva rimproverato di aver contraffatto delle cartelle cliniche, riportando come data delle visite ai pazienti quella del giorno successivo. Sulle cartelle cliniche di cui sopra, inoltre, erano state apposte, successivamente, delle annotazioni in rettifica. L'interessato ricorreva per cassazione, lamentando violazione di legge e carenza motivazionale l'impugnante rilevava come la fattispecie dovesse ritenersi un falso innocuo, non potendo l'erronea indicazione della data – un mero errore materiale – essere idonea a ledere la pubblica fede. L'annotazione, peraltro, non rivestiva neppure alcuna importanza per la percezione dell'indennitá di reperibilitá la data del giorno successivo, segnata erroneamente, era quella di una domenica di reperibilitá del medico . La cartella clinica è un atto pubblico. La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso. Gli Ermellini hanno preliminarmente ricordato come, in accordo ad un orientamento consolidato della giurisprudenza, la cartella clinica di un paziente, redatta dal medico, costituisce un atto pubblico che attesta il decorso della malattia e deve contenerne tutti i fatti rilevanti. Ogni modifica o alterazione di tale documento, quindi, integra il reato di falso in atto pubblico. I Giudici del Palazzaccio hanno, inoltre, affermato che, dal punto di vista soggettivo, la fattispecie deve ritenersi integrata ove sussista il dolo generico, ovvero la consapevolezza dell' immutatio veri . Il dolo generico deve essere dimostrato ed è possibile rinvenire degli indicatori condotta tenuta lontana da quella doverosa, personalità ed esperienze dell'agente, durata e ripetizione dell'azione, comportamento successivo al fatto, finalià della condotta, probabilità di verificazione dell'evento, contesto lecito o no in cui ha avuto luogo l'azione . Tutti gli elementi di cui sopra, dunque, devono essere esaminati alla luce del criterio di verosimiglianza e di massime d'esperienza dovrà essere esclusa, in definitiva, ogni spiegazione alternativa. Nel caso di specie, il Collegio ha evidenziato come, a fronte di una incontestata falsità materiale della cartella clinica, la Corte territoriale abbia ritenuto sussistente la mala fede del medico, soltanto sulla base del fatto che il giorno della data falsamente annotato lo stesso fosse reperibile. Scarsa attenzione, però, era stata conferita al fatto che al medico spettasse l'indennità di reperibilità anche in assenza di interventi. La Corte territoriale avrebbe conferito ad una propria convinzione, il rango di dato d'esperienza. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha annullato, con rinvio, la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 ottobre – 11 dicembre 2018, numero 55385 Presidente Settembre – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la decisione del GUP del tribunale di Termini Imerese del 23 marzo 2016, con la quale è stata affermata, all’esito del giudizio abbreviato, la responsabilità penale di P.S. per i reati di falso, materiale ed ideologico, in atto pubblico. 2. La vicenda riguarda la contraffazione, sotto forma di falsità materiale, da parte dell’imputato - medico in servizio presso l’unità operativa di ortopedia e traumatologia dell’ospedale omissis - di cartelle cliniche nelle quali veniva annotata l’effettuazione di visite in reparto recanti data successiva rispetto alla constatazione effettuata da altro sanitario, nonché le successive annotazioni, ideologicamente false, che attribuivano i precedenti attestati, incongrui nella data, a mero errore materiale. 2.1. Il GUP era pervenuto all’affermazione di responsabilità dell’imputato alla luce delle dichiarazioni testimoniali e della documentazione in atti, dalla quale risultava come in data omissis il dottor B. , dirigente medico nel medesimo reparto, avesse rilevato sulle cartelle cliniche dei degenti esiti di visite recanti la - successiva - data del omissis , richiedendo l’immediato intervento della PG che ne disponeva l’acquisizione in copia. Era, altresì, risultato come - sulle medesime cartelle - fossero state successivamente apposte annotazioni in rettifica, a firma del dottor P. , con le quali si dava atto della mera erronea indicazione della data riferita ai precedenti interventi in reparto annotazioni da ritenersi anch’esse mendaci, in quanto recanti attestazioni non conformi al vero in quanto finalizzate all’apparente emendatio delle precedenti dichiarazioni di cui era stata rilevata la falsità. 2.2. La corte territoriale ha ritenuto correttamente ascrivibili i fatti all’imputato, in presenza della convergenza dei rilievi obiettivi e delle dichiarazioni testimoniali, rigettando il gravame. 3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo ricorre l’imputato, per mezzo dei difensori, Avv. Giovanni Aricò e Giuseppe Minà, articolando, attraverso due motivi, plurime censure. 3.1. Deduce, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione della legge penale e processuale e correlato vizio della motivazione con riferimento alla qualificazione dei fatti, alla valutazione delle prove ed all’applicazione del principio dell’ oltre il ragionevole dubbio . La corte territoriale ha ignorato le censure difensive in riferimento all’elemento soggettivo dei reati ed all’idoneità dell’azione alla lesione della fede pubblica, versandosi in ipotesi di falso innocuo per essere l’incongrua attestazione della data - peraltro inserita in un documento incompleto riferibile ad un mero errore materiale, rilevabile all’evidenza da chiunque avesse consultato le cartelle cliniche, irragionevolmente escluso alla stregua delle mera ripetitività del medesimo, comunque espressivo dell’assenza del dolo generico, anche in considerazione dell’irrilevanza della falsa attestazione sub a ai fini della percezione dell’indennità di reperibilità, mai contestata all’imputato sub specie del delitto di truffa. Difetta, inoltre, qualsivoglia passaggio motivazionale in riferimento al reato sub b , logicamente escluso dalla consapevolezza, in capo all’imputato, della verifica delle cartelle effettuata il omissis . Di guisa che l’illogicità della motivazione non appare idonea a superare l’affermazione di responsabilità al di là del ragionevole dubbio . 3.2. Censura, con il secondo motivo, vizio della motivazione in riferimento al trattamento sanzionatorio, con particolare riguardo al richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, invece escluso alla stregua del mero richiamo alla pluralità dei fatti, all’intensità del dolo ed ai motivi personali a delinquere, questi ultimi del tutto insussistenti, non essendo stato contestato all’imputato alcun reato in riferimento alla percezione dell’indennità di reperibilità. Considerato in diritto 1.Il primo motivo di ricorso è fondato. 2. Nella disamina della fattispecie va premesso come, secondo il consolidato orientamento di legittimità, la cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico è caratterizzata dalla produttività di effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, nonché dalla documentazione di attività compiute dal pubblico ufficiale che ne assume la paternità. Trattasi di atto pubblico che esplica la funzione di diario del decorso della malattia e di altri eventi clinici rilevanti, sicché i fatti devono esservi annotati contestualmente al loro verificarsi. Ne deriva che tutte le modifiche, le aggiunte, le alterazioni e le cancellazioni integrano falsità in atto pubblico, punibili in quanto tali, non assumendo rilevanza l’intento che muove l’agente, atteso che le fattispecie delineate in materia dal vigente codice sono connotate dal dolo generico e non dal dolo specifico Sez. 5, numero 1098 del 26/11/1997 - dep. 1998, P.M. in proc. Noce, Rv. 209682, Sez. 5, numero 31858 del 16/04/2009, P., Rv. 244907, Sez. 4, numero 37925 del 07/07/2010, Marchetti, Rv. 248448 . 2.1. Le attestazioni rese dal pubblico ufficiale mediante annotazione su cartella clinica - e sui documenti che vi accedono, quali il diario clinico e la scheda di dimissioni ospedaliere - debbono, dunque, rispondere ai criteri di veridicità del contenuto rappresentativo, di completezza delle informazioni, di immediatezza della redazione rispetto all’atto medico descritto e di continuità delle annotazioni, in quanto finalizzate ad asseverare, con fede privilegiata, non solo la verbalizzazione dell’atto medico, ma anche la successione cronologica degli interventi, delle diagnosi, della prognosi e delle prescrizioni. 2.2. In particolare, integra il reato di falso materiale in atto pubblico l’alterazione di una cartella clinica mediante l’aggiunta di una annotazione, ancorché vera, in un contesto cronologico successivo e, pertanto, diverso da quello reale né, a tal fine, rileva che il soggetto agisca per ristabilire la verità effettuale, in quanto la cartella clinica acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata, trattandosi di atto avente funzione di diario della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, la cui annotazione deve avvenire contestualmente al loro verificarsi Sez. 5, Sentenza numero 37314 del 29/05/2013, P., Rv. 257198 . 3. Sotto il versante soggettivo, ai fini dell’integrazione del delitto di falsità, materiale o ideologica, in atto pubblico, è sufficiente il dolo generico, che consiste nella consapevolezza della immutatio veri , non essendo, invece, richiesto l’ animus nocendi vel decipiendi . Non si tratta, tuttavia, di dolus in re ipsa , in quanto l’elemento soggettivo deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando il falso derivi da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo Sez. 3, numero 30862 del 14/05/2015, Di Stasi, Rv. 264328, Sez. 5, numero 29764 del 03/06/2010, Zago, Rv. 248264 . 3.1. Il dolo - generico - deve essere, dunque, rigorosamente ricostruito attraverso la valutazione di specifici indicatori, e va escluso tutte le volte che la falsità risulti essere oltre o contro la volontà dell’agente, come quando risulti dovuta soltanto ad un mero errore percettivo Sez. 5, numero 3004 del 13/01/1999, W., Rv. 212939 . 3.2. In thema di prova dell’elemento psicologico del reato, il giudice deve operare la ponderata valutazione di specifici elementi sintomatici onde sostenere e giustificare la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta, aderendo psicologicamente ad essa. A tal fine, l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire riter e l’esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali a la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa b la personalità e le pregresse esperienze dell’agente c la durata e la ripetizione dell’azione d il comportamento successivo al fatto e il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali f la probabilità di verificazione dell’evento g le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione h il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento Sez. U, numero 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn, Rv. 261105 . La prova del dolo è, dunque, desunta da elementi estrinseci all’azione, in particolare da quei dati della condotta del reo che, per l’offensività o per l’obiettivo disvalore sociale, si presentano come maggiormente idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente, controllabili sulla base sia di elementi empiricamente riscontrabili che di pertinenti massime di esperienza, rilevando soprattutto le modalità della condotta e le circostanze ad essa precedenti e susseguenti, alla stregua di un processo logico inferenziale analogo a quello utilizzato nel procedimento indiziario da fatti esterni oggettivi, aventi un sicuro valore sintomatico che, con l’ausilio di appropriate massime di esperienza, consentono di inferire la sussistenza delranimus . Nella delineata prospettiva, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova solo se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile Sez. 4, numero 22790 del 13/04/2018, Mazzeo, Rv. 272995 , mentre è affetta da vizio di motivazione la decisione del giudice di merito che, fondandosi apparentemente su una massima di esperienza, valorizzi in realtà un mero convincimento soggettivo non acquisito al comune sentire Sez. 4, Sentenza numero 23093 del 02/02/2017, Rappisi, Rv. 269998 . Il ricorso a mero convincimento soggettivo, erroneamente qualificato come massima di esperienza integra, difatti, vizio di motivazione laddove non rappresenti, con adeguato grado di rappresentazione logico-inferenziale, gli indici sintomatici dell’elemento soggettivo del reato con ragionevole certezza. 4. Alla luce di siffatte premesse ermeneutiche, e passando alla concreta verifica di legittimità della decisione impugnata, si osserva che il convincimento manifestato dalla Corte d’appello circa la sussistenza dei reati di falso contestati, in duplice declinazione, in rubrica, non esprime in modo logicamente congruente e completo, né coerente in diritto, le ragioni giuridicamente significative che hanno determinato l’accertamento del dolo e fatto ritenere confortata la prospettazione accusatoria e, con essa, ragionevole l’affermazione di responsabilità. 4.1. A fronte della incontestata - ed incontestabile - falsità materiale della indicazione della data nelle annotazioni a firma del dottor P. sulle cartelle cliniche dei degenti ricoverati il omissis , i giudici di merito hanno ritenuto la sussistenza del dolo in virtù dell’interesse del pubblico ufficiale ad attestare la effettuazione delle relative visite nella successiva giornata di domenica 24 novembre in quanto il medesimo era, per quella data festiva, soggetto a reperibilità, nonché alla stregua della ripetitività delle false attestazioni, replicate su tutte le cartelle cliniche dei pazienti ricoverati, ritenuta circostanza esplicativa della consapevolezza e volontà del mendacio. La sentenza impugnata, in esito alla disamina delle indicate evidenze, è pervenuta al rilievo della certezza e, comunque, della elevata probabilità razionale della mala fede dell’imputato, apprezzando la valenza univoca degli indicati argomenti sul piano dell’affidabilità del giudizio inferenziale al fine di escludere la riconducibilità delle mendaci annotazioni ad un errore di percezione, in presenza dalla serialità ed omogeneità delle attestazioni. 4.2. Posta tale specifica esplicazione, nella sentenza impugnata, del ragionamento deduttivo, la tenuta logica del discorso giustificativo della decisione si manifesta chiaramente lacunosa ed illogica. Invero, il richiamo all’interesse del medico ad attestare la propria presenza in reparto nel giorno festivo non appare circostanza presidiata dall’evidenziazione di supplementari provvidenze spettanti al medesimo rispetto all’indennità di reperibilità, comunque percepita anche in assenza di interventi. Di guisa che il mero richiamo all’indennità di reperibilità, in ogni caso spettante, appare argomento neutro, che non esprime un quid pluris, ragionevolmente sintomatico dell’interesse alla immutatio veri, sotto il profilo cronologico, di attestazioni che, nel resto, sono rimaste prive della dimostrazione di ulteriori profili di falsità. Dal testo della sentenza impugnata non risulta, difatti, escluso che il P. abbia svolto le visite che le annotazioni attestano, risultandone certamente incongrua la sola datazione. 4.3 Siffatta carenza giustificativa si riflette, all’evidenza, anche sul giudizio inferenziale, che pretende di ricondurre ad una massima di esperienza, non validata, la risolutiva sussistenza del dolo di falso. La ripetitività e serialità dell’erronea indicazione, invero, non esprime, con adeguato grado di credibilità razionale, la consapevolezza della immutatio veri , appartenendo invece al comune dato esperienziale che una iniziale percezione inesatta della data induce essa stessa alla ripetitività della sua indicazione, finché l’autore non se ne avveda, restando altrimenti nella perdurante convinzione che il giorno in corso corrisponda con quello erroneamente ritenuto. Di talché, nel ricondurre a massima di esperienza un dato che assume, nella consolidata prassi, valenza diversa ed anzi opposta, la corte territoriale ha errato nel giudizio inferenziale, eleggendo un proprio convincimento a dato d’esperienza invece contrastato dall’id quod plerumque accidit, inidoneo ad escludere plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi ritenuta all’apparenza più verosimile. 4.4. Il percorso giustificativo-motivazionale non appare, pertanto, concretamente idoneo a corroborare, sul piano inferenziale, la sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati, affidandone la valenza dimostrativa alla ritenuta evidenza dell’interesse ed alla reiterazione della condotta, piuttosto che alla dimostrazione logica, previa unitaria analisi, della pertinenza dei predetti argomenti, non generica o meramente neutra, al thema decidendum. 5. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio degli atti per nuovo esame alla Corte d’appello di Palermo affinché, in coerenza con quanto rappresentato - che assorbe le ulteriori censure senza precluderle - ed in piena libertà di giudizio, ma con motivazione completa e immune da vizi logici e giuridici, proceda a nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.