La decorrenza del termine del diritto di querela in caso di reato continuato

In tema di reato continuato, il diritto di querela decorre dal momento in cui la persona offesa giunge a conoscenza del reato, ossia dal momento in cui quest’ultima sia in possesso di tutti gli elementi di valutazione necessari per determinarsi e proporre l’istanza punitiva.

Sul punto è tornata ad esprimersi la Suprema Corte con sentenza n. 53408/18, depositata il 28 novembre. Il caso. Il GdP sosteneva di non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato di diffamazione, sollevata dall’accusa ritendo che questi avesse offeso la reputazione del fratello, considerandolo responsabile del fallimento della loro impresa familiare. Per il Giudice vi era tardività della querela, formalizzata solo successivamente al momento in cui la persona offesa avesse avuto piena conoscenza dei fatti mediante la missiva di diffida. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica sostenendo che il soggetto aveva appreso del fatto in una congrua data, sicuramente entro il termine trimestrale per la presentazione dell’istanza punitiva. Il diritto di querela. La Suprema Corte, preliminarmente ribadisce che il diritto di querela, in materia di reato continuato, decorre dal momento in cui la persona offesa giunge a conoscenza del fatto di reato e non dall’ultimo momento consumativo della continuazione. E tale conoscenza si ottiene in modo completo solo se e quando il soggetto passivo abbia contezza dell’autore e possa liberamente determinarsi. Pertanto, la persona offesa deve essere in possesso di tutti gli elementi di valutazione necessari per determinarsi e proporre l’istanza punitiva, mentre l’onere della prova della tardività della presentazione della querela incombe su chi la allega. Nel caso in esame tale principio ha trovato corretta applicazione, pertanto i Giudici del Palazzaccio ritengono di dover rigettare il ricorso del PM.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 giugno – 28 novembre 2018, n. 53408 Presidente Bruno – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il 31/03/2017, il Giudice di pace di Treviso dichiarava non doversi procedere nei confronti di P.D. in ordine a un addebito di diffamazione secondo l’ipotesi accusatoria, l’imputato - comunicando con più persone - aveva offeso la reputazione del fratello L. , affermando che questi aveva causato il fallimento della società P. Pavimenti S.r.l., nonché sottratto all’azienda somme di denaro, cagionandone il dissesto finanziario. La decisione liberatoria interveniva sul presupposto della ritenuta tardività della querela, formalizzata soltanto il 10/10/2014, malgrado la persona offesa avesse avuto piena contezza dei fatti già nel momento di una missiva di diffida, inviata in data 06/07/2014. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Treviso, deducendo, con un unico motivo di doglianza, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente all’art. 124 cod. pen Si legge nel ricorso che, pacificamente, la querela risultava sporta il 10/10/2014 ne deriva, pertanto, che la stessa non può valutarsi intempestiva in relazione alle condotte diffamatorie commesse nei mesi di luglio, agosto e settembre 2014, specificamente indicate nell’atto sottoscritto dalla persona offesa. In via esemplificativa, il ricorrente richiama un fatto diffamatorio, riportato nella querela alla lettera C , che P.L. aveva appreso in data 03/10/2014 si trattava delle presunte maldicenze del fratello circa l’avere egli distratto denaro dai conti aziendali , quindi sicuramente entro il termine trimestrale per la presentazione dell’istanza punitiva. Il giudice di pace sembrerebbe invece, ad avviso del ricorrente, circoscrivere la condotta delittuosa indicata in querela ai comportamenti descritti nella già ricordata missiva del 6 luglio, non considerando le condotte successive. Evidenzia il ricorrente che la missiva de qua potrebbe coprire al più le condotte antecedenti, ma non quelle posteriori, dovendosi ritenere che, in caso di reato continuato, il termine per proporre querela decorra autonomamente dalla data di consumazione di ogni singola condotta illecita. Considerato in diritto 1. Il ricorso non può trovare accoglimento. 2. Va in effetti precisato che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che il reato continuato deve essere considerato quale fenomeno unitario solo per i limitati fini previsti espressamente dalla legge. Pur in presenza di un unico disegno criminoso, infatti, ogni episodio delittuoso ha sue proprie caratteristiche e diversa potenzialità lesiva la persona offesa, conseguentemente, ha il diritto di determinarsi diversamente con riguardo a ciascuno degli episodi, formulando, eventualmente, solo per taluni di essi istanza di punizione del presunto responsabile e soprassedendo per altri. Da ciò discende la necessità di far decorrere il relativo termine autonomamente per i singoli reati né sarebbe ragionevole ritenere che il soggetto passivo possa chiedere, sin dal verificarsi del primo episodio, anche la punizione del reo per episodi futuri v., ex multis, Cass. Sez. V, n. 2344 del 21/01/1999, Batzella . In secondo luogo, ed ancora in via preliminare, deve ricordarsi che il diritto di querela decorre, in caso di reato continuato, dal momento in cui la persona offesa ha conoscenza certa del fatto-reato e non dall’ultimo momento consumativo della continuazione Cass., Sez. III, n. 42891 del 16/10/2008, Badalamenti, Rv 241539 . La certezza della conoscenza, in particolare, può essere acquisita in modo completo soltanto se e quando il soggetto passivo abbia contezza dell’autore e possa, quindi, liberamente determinarsi pertanto, nel caso in cui siano svolti tempestivi accertamenti, indispensabili per la individuazione del soggetto attivo, il termine di cui all’art. 124 cod. pen. decorre, non dal momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del fatto oggettivo del reato, né da quello in cui, sulla base di semplici sospetti, indirizza le indagini verso una determinata persona, ma dall’esito di tali indagini Cass., Sez. V, n. 33466 del 09/07/2008, Ladogana, Rv 241395 . La persona offesa, in altre parole, deve essere in possesso di tutti gli elementi di valutazione necessari per determinarsi e proporre fondatamente l’istanza punitiva mentre l’onere della prova della tardività della proposizione della querela incombe su chi la allega, tanto che - ove manchino elementi di certezza sul momento in cui l’offeso dal reato ha avuto effettiva notizia del fatto lesivo - deve intendersi vigente una presunzione di tempestività della querela. 3. Nel caso oggi in esame, deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia, comunque, correttamente applicato i principi sopra richiamati. In primo luogo, va tenuto presente che il fatto-reato descritto in rubrica risulta collocato sul piano temporale nel mese di luglio 2014 ed in epoca prossima dicitura, quest’ultima, da intendersi riferita al periodo immediatamente antecedente, come il dato letterale suggerisce. Ne deriva che l’azione penale deve reputarsi essere stata esercitata con riguardo alle condotte ricomprese nel periodo anzidetto, rimanendo estranei ai limiti del capo d’imputazione eventuali episodi di diffamazione realizzati da P.D. nei mesi successivi. Deve poi convenirsi con il Giudice di pace di Treviso, laddove considera che, già al momento dell’invio della missiva del 06/07/2014, P.L. avesse piena conoscenza del fatto di reato oggetto di contestazione, sia nella sua dimensione oggettiva le condotte diffamatorie che in quella soggettiva l’esserne stato autore il fratello ergo, la querela presentata il 10/10/2014 deve ritenersi tardiva, avuto riguardo alla perentorietà del termine perentorio indicato dall’art. 124 cod. pen. termine che, considerando al più tardi come dies a quo la suddetta data del 6 luglio, ed in quanto stabilito a mesi e non a giorni, veniva a scadere il 6 ottobre . Come emerge dagli atti, in vero, il 06/07/2014 P.L. si dimostrò chiaramente consapevole della presunta campagna di denigrazione che il fratello stava realizzando ai suoi danni, tanto da giungere alla determinazione di rivolgersi ad un legale per diffidare formalmente il germano dall’assumere simili comportamenti consapevolezza che riguardava, fra l’altro, la circostanza che P.D. andava propalando la notizia che l’odierna persona offesa aveva distratto soldi dall’azienda, approfittando di un periodo di malattia dello stesso imputato come specificato al punto 4 della missiva de qua . In tale contesto, non si vede quale rilievo possano assumere le presunte informazioni acquisite da P.L. in esito agli incontri con terze persone nei mesi seguenti, trattandosi di dati meramente confermativi di quel che egli già aveva dimostrato di sapere, se non riferiti a condotte posteriori rispetto a quelle - uniche - in ordine alle quali il prevenuto deve ritenersi essere stato chiamato a difendersi. Nella missiva più volte ricordata, del resto, il legale del querelante spiegava che i dati di cui ai punti elencati da 1 a 7 erano stati da lui appresi presso fornitori, clienti, posatori, agenti, colleghi ed altre persone vicine all’azienda esattamente il contesto in cui inquadrare i soggetti poi indicati in querela come coloro da cui provenivano le delazioni sul comportamento diffamatorio della controparte. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.