Confermata la condanna per bancarotta fraudolenta per la distruzione dei documenti contabili

Gli Ermellini ricordano i criteri principali per la qualificazione, in termini di bancarotta semplice o fraudolenta, della condotta dell’imprenditore che abbia tenuto in modo irregolare i documenti contabili della società.

Sul tema la Corte di legittimità con la sentenza n. 53193/18, depositata il 27 novembre. Il caso. La Corte d’Appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale di condanna dell’imputato per bancarotta fraudolenta documentale per aver, in qualità di amministratore di una S.r.l., distrutto o occultato libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione degli affari. Ricorrendo per cassazione, il difensore deduce l’insussistenza del reato per l’erronea ricostruzione della vicenda. Qualificazione del reato. Escludendo la possibilità di riesaminare i fatti così come risultanti dalla ricostruzione operata dai giudici di merito, la Suprema Corte ricorda che, in tema di irregolare tenuta dei libri contabili, nel reato di bancarotta semplice l’illeicità della condotta è circoscritta alle scritture obbligatorie ed ai libri prescritti dalla legge, mentre nella fattispecie della bancarotta fraudolenta documentale l’elemento oggettivo della condotta ricomprende tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi anche se non obbligatori. Inoltre è elemento costituivo di tale seconda ipotesi di reato l’impedimento della ricostruzione del volume d’affare o del patrimonio del fallito. Per quanto attiene all’elemento soggettivo, esso è indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa nell’ipotesi della bancarotta semplice, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, l. fall. è richiesto il dolo generico. Corretta in conclusione si rileva la qualifica della condotta da parte della sentenza impugnata affermando la natura dolosa e dunque fraudolenta dalla condotta, non avendo riscontrato un mero disordine contabile di natura colposa bensì una consapevole condotta finalizzata a non consentire la conoscenza dell’effettiva e rilevante esposizione debitoria, la sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi summenzionati. Per questi motivi, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 1 ottobre – 27 novembre 2018, n. 53193 Presidente Palla – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 06/06/2017 la Corte di Appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno del 21.12.2012, che aveva condannato S.D. in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale, per avere, in qualità di amministratore della omissis s.r.l., dichiarata fallita il 1.10.2009, distrutto o occultato i libri e le scritture contabili, in modo da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio sociale. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, Avv. Gerardo Cammardella, deducendo i seguenti motivi. 2.1. Vizio di motivazione per il rinvio alla sentenza di primo grado. 2.2. Vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, in quanto l’imputato è stato nominato liquidatore il 23.11.2007, non nel 2002, come affermato dalla sentenza impugnata, in epoca successiva al disordine contabile accertato. 2.3. Vizio di motivazione in relazione alla circostanza che il teste G.A. , commercialista incaricato della tenuta delle scritture contabili, ha escluso la sussistenza del reato, chiarendo che la società, fin dal 2000, non aveva più prodotto alcuna attività, sicché la documentazione depositata costituiva tutta la documentazione necessaria per la tenuta della società, e nessuna sottrazione vi era stata. 2.4. Vizio di motivazione in relazione alla circostanza che il curatore, R.G. , non aveva riferito di alcuna sottrazione o occultamento di scritture contabili, sottolineando anzi che, nella situazione di disordine contabile in cui la società versava da decenni, l’imputato aveva collaborato nella fase di individuazione e attribuzione delle singole quote di multiproprietà ai vari condomini, così consentendo la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari circostanza che escluderebbe anche il dolo specifico richiesto dalla fattispecie. 2.5. Violazione di legge in relazione alla qualificazione giuridica, che avrebbe dovuto essere di bancarotta semplice, non essendo emersa la fraudolenza della condotta, in quanto l’imputato, appena nominato liquidatore, ha affidato al dott. G. le scritture contabili esistenti al più potrebbe essere enucleabile una colpa, per la scelta inadeguata del professionista incaricato o per il mancato controllo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1. Il primo motivo è generico, lamentando il vizio di motivazione in relazione al rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, senza un concreto confronto argomentativo con le asserite carenze al contrario, pacifica la legittimità della motivazione per relationem, la sentenza impugnata si è limitata a ribadire i confini degli obblighi di motivazione in relazione alla natura devolutiva dell’appello, formulando poi una motivazione completa con riferimento ai profili oggetto delle censure proposte con l’impugnazione. 1.2. Gli altri motivi, che, per l’evidente connessione, meritano una valutazione congiunta, sono inammissibili, perché propongono doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie della violazione di legge e del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767 Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’art. 606, lett. e , cod. proc. pen. ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla dedotta preesistenza di un disordine contabile, all’assenza di dolo e di condotte fraudolente. Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità tantomeno manifeste e di contraddittorietà. Sotto altro profilo, le doglianze proposte sono altresì inammissibili perché manifestamente infondate. Al riguardo, va preliminarmente evidenziato che a S.D. è stata contestata la bancarotta fraudolenta documentale in qualità di amministratore della società omissis , come si evince dalla stessa imputazione, oltre che, successivamente, di liquidatore in tale veste, assunta nel 2002, allorquando la società era già in liquidazione da due anni, l’imputato non ha provveduto al deposito delle scritture contabili obbligatorie, nonostante le sollecitazioni del curatore, e le rassicurazioni fornite a quest’ultimo, limitandosi a depositare scritture contabili incomplete libro giornale e libro acquisti fermi al 2000-2001 , insufficienti a consentire la ricostruzione della contabilità per circa nove anni lungi dall’aver ereditato un disordine contabile, dunque, avendo depositato la documentazione contabile fino al 2001, l’imputato ha omesso di consegnare le scritture contabili relative agli anni successivi anche la deduzione secondo cui egli avrebbe incaricato un commercialista per la redazione dei bilanci, in realtà, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che ben evidenzia come l’incarico fosse in realtà apparente, in quanto il professionista dott. G. era all’oscuro dell’effettiva entità del passivo, da lui indicato in soli 111.000,00 Euro, in quanto il liquidatore non lo aveva informato della rilevante esposizione debitoria, per circa 2.800.000,00, per le omissioni contributive e previdenziali non versate negli anni novanta sicché, in assenza della necessaria documentazione registro beni ammortizzabili, schede contabili, libro mastro, documentazione bancaria , anche il successivo deposito dei bilanci dal 2005 al 2009 non aveva avuto ad oggetto veri e propri bilanci di esercizio, ma, al più, secondo lo stesso curatore, delle schede contabili riassuntive. Né, del resto, l’asserita mancanza di attività economiche esonerava l’amministratore o liquidatore dall’obbligo di tenuta delle scritture contabili, che cessa soltanto con la cancellazione della società dal registro delle imprese del resto, la stessa cessazione delle attività economiche dedotta dal ricorrente non è stata accertabile sulla base delle scritture contabili che avrebbero, appunto, dovuto registrare la cessazione di fatto dell’attività commerciale. Con riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti, va preliminarmente rammentato che, in tema di irregolare tenuta dei libri contabili nei reati fallimentari, a differenza del reato di bancarotta semplice in cui l’illiceità della condotta è circoscritta alle scritture obbligatorie ed ai libri prescritti dalla legge, l’elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale riguarda tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi, ancorché non obbligatori in quest’ultima ipotesi, si richiede, inoltre, il requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito, elemento, invece, estraneo al fatto tipico descritto nell’art. 217, comma secondo, l. fall Diverso è, infine, l’elemento soggettivo, costituito nell’ipotesi di bancarotta semplice indifferentemente dal dolo o dalla colpa, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, prima parte, L. Fall. dal dolo generico Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, Incalza, Rv. 268867 . Tanto premesso, la sentenza impugnata ha affermato la natura dolosa, e dunque fraudolenta, della condotta, essendo emerso che non di mero disordine contabile di natura colposa si trattava, bensì di una consapevole condotta finalizzata a non consentire la conoscenza della effettiva e rilevante esposizione debitoria successivamente accertata inoltre, l’irregolare o omessa tenuta concerneva tutti i libri contabili, sì da non consentire una affidabile ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio sociale tant’è che la rilevante esposizione contributiva di quasi 3 milioni di Euro non era desumibile dalle frammentarie scritture prodotte sicché va esclusa la configurabilità di una mera bancarotta semplice. 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00, nonché alla rifusione delle spese di parte civile, che si liquidano in complessivi 2.200,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, oltre accessori di legge.