L’assunzione dell’extracomunitario è consentita solo con regolare permesso di soggiorno a fini lavorativi

L’occupazione come lavoratore dipendente, sia a tempo determinato che indeterminato, di un cittadino extracomunitario è consentita solo se questi è titolare di un regolare permesso di soggiorno a fini lavorativi. Tale permesso deve essere validamente rilasciato e coprire l’intera durata del rapporto di lavoro.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 52181/18, depositata il 20 novembre. Il caso. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, riduceva la pena inflitta all’imputato, per il reato di cui all’art. 22, d. lgs. n. 286/1998. In particolare, a seguito di un accertamento ispettivo, i carabinieri avevano sorpreso un senegalese, illegalmente presente in Italia, privo di permesso di soggiorno, intento a gestire un negozio. La Corte territoriale osservava che le mansioni di badante, svolte dal senegalese per la madre dell’imputato, non giustificavano lo svolgimento di un lavoro diverso, quale quello di cassiere nell’esercizio commerciale di proprietà dell’imputato stesso. Per la cassazione della sentenza, l’imputato ricorre in Cassazione. La posizione dell’immigrato clandestino. Innanzitutto va ribadito che l’occupazione come lavoratore dipendente, a tempo determinato o indeterminato, di un extracomunitario è consentita solo se questi è titolare di un regolare permesso di soggiorno a fini lavorativi. Tale permesso deve essere validamente rilasciato e coprire l’intera durata del rapporto di lavoro l’unica eccezione prevista è quella relativa all’ipotesi di permesso lavorativo scaduto per il quale sia stata tempestivamente avanzata richiesta di rinnovo. La richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena. La Suprema Corte, inoltre, sottolinea che, in tema di sospensione condizionale della pena, la richiesta dell’imputato che abbia già in precedenza usufruito del beneficio in relazione ad una precedente condanna, determina un implicito consenso alla subordinazione della misura dell’adempimento di uno degli obblighi previsti dall’art. 165, comma 1, c.p Alla luce di ciò, gli Ermellini annullano la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena, rinviando per nuovo giudizio alla Corte territoriale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 dicembre 2017 – 20 novembre 2018, n. 52181 Presidente Novik – Relatore Saraceno In fatto e in diritto 1. Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza, 6.03.2013, del Tribunale di Macerata, escluso l’aumento per la recidiva, riduceva a mesi sei di reclusione ed Euro 5.000 di multa la pena inflitta a T.G. per il reato di cui al D.L.vo n. 286 del 1998, art. 22, comma 12, accertato l’ . In tale data, nel corso di un accesso ispettivo eseguito presso l’attività Royal Slot nella titolarità dell’imputato, i carabinieri avevano sorpreso il senegalese B.S.A. , illegalmente presente in Italia in quanto privo del permesso di soggiorno, intento a gestire l’esercizio commerciale, essendo addetto alla ricezione della clientela e al cambio di monete agli avventori impegnati nel gioco con le macchine ivi installate. 1.1 La sentenza di primo grado era stata appellata dall’imputato che contestava la sussistenza del reato sotto il profilo oggettivo e in subordine chiedeva una riduzione della pena e la concessione del beneficio della sospensione condizionale della sua esecuzione. A ragione delle conclusioni assunte, la Corte d’appello osservava che le mansioni di badante, asseritamente svolte dal cittadino senegalese per la madre dell’imputato, non legittimavano lo svolgimento di un lavoro distinto e diverso, quale quello di cassiere nell’esercizio commerciale, mentre l’assunto difensivo secondo cui si trattava di prestazione del tutto occasionale e resa a titolo di cortesia era rimasto smentito dalle dichiarazioni dello stesso B. e di uno dei clienti del bar. Non era concedibile il beneficio di cui all’art. 163 cod. pen., avendone l’appellante già fruito una volta e non avendo manifestato la volontà di non opporsi alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività. 2. Per la cassazione della decisione di appello ha proposto ricorso l’imputato, con il ministero del difensore, deducendo - inosservanza o erronea applicazione del D. L.vo n. 286 del 1998, art. 22, sul rilievo che lo straniero al momento dell’assunzione aveva richiesto la regolarizzazione della sua posizione e, dunque, era in corso la procedura per il rilascio del permesso di soggiorno - violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 165 cod. pen., per avere indebitamente la Corte territoriale respinto la richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena sul presupposto del difetto di manifestazione da parte del diretto interessato della volontà di non opporsi alla svolgimento di attività non retribuita a favore della collettività, mentre avrebbe dovuto ritenere implicito il consenso alla subordinazione del beneficio, trattandosi di prescrizione che il giudice deve necessariamente impartire ai sensi del secondo comma della disposizione. Ha invocato, inoltre, l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131 bis cod. pen., entrato in vigore dopo la definizione del giudizio di appello. 3. Il motivo che attiene alla sussistenza del fatto-reato dal punto di vista oggettivo è infondato. L’occupazione quale lavoratore dipendente, a tempo determinato o indeterminato, di un cittadino extracomunitario è legittima soltanto se quest’ultimo è titolare di un permesso di soggiorno a fini lavorativi. Il permesso, sempre a fini lavorativi, deve essere validamente rilasciato e deve coprire l’intera durata del rapporto, l’unica apparente eccezione prevista essendo quella riguardante la situazione di permesso lavorativo scaduto per il quale sia stata tempestivamente avanzata richiesta di rinnovo. Ciò posto, dall’istruttoria espletata era emerso, come ben messo in evidenza dalla Corte territoriale, che lo straniero era stato occupato dal ricorrente per lo svolgimento di mansioni presso il proprio esercizio commerciale ed adibito al servizio più delicato, quello di cassiere. Deponevano in tal senso non solo l’esito degli accertamenti condotti nel corso dell’accesso ispettivo del luglio 2010 e la testimonianza di uno degli abituali clienti del locale, ma anche le stesse parziali ammissioni dello straniero che aveva precisato di aver svolto mansioni di badante della madre del T. dal settembre 2009 e che dall’aprile 2010 aveva prestato un aiuto non occasionale all’interno della sala giochi. Per contro l’ulteriore circostanza allegata ma non documentata in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso ossia il successivo conseguimento del permesso di soggiorno, oltre a rappresentare un profilo fattuale insuscettibile di apprezzamento nel giudizio di legittimità, non riveste alcuna rilevanza sul giudizio di colpevolezza, non potendo negare la materialità della condotta antigiuridica e la consapevole violazione del precetto penale, valendo l’eventuale regolarizzazione soltanto per il futuro. E parimenti irrilevante è il richiamo alla circolare del Ministero del Lavoro del 25/11/1991, che ammette l’assunzione di lavoratori extracomunitari prima del rilascio del permesso di soggiorno, riguardante le sole situazioni in cui penda la richiesta già avanzata e si sia in attesa del relativo provvedimento, caso non ricorrente nella specie, avendo la Corte territoriale precisato che le mansioni di badante asseritamente svolte dal senegalese dal settembre 2009 per la madre novantenne del T. , fatte valere nella procedura di regolarizzazione di cui al D.L. n. 78 del 2009 convertito nella L. n. 102 del 2009, art. 1-ter, che ha previsto la sanatoria delle posizioni di soggetti presenti nel territorio dello Stato, mediante domande di emersione, limitatamente all’occupazione di stranieri con mansioni di colf e badanti, non legittimavano lo svolgimento di un distinto e diverso lavoro, con la conseguenza dell’assoluta irrilevanza, ai fini dell’esclusione della sussistenza del fatto-reato, di una domanda palesemente al di fuori delle condizioni oggettive e soggettive di presentazione e, è il caso di aggiungere, al di fuori dei limiti temporali contemplati dal primo comma dell’art. 1 ter che ha limitato la regolarizzazione alle occupazioni irregolari in essere alla data del 30 giugno 2009. 3.1 Nemmeno ha pregio la pretesa del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto che postula, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj , una valutazione complessa, estesa a tutte le caratteristiche della fattispecie, alle modalità della condotta, alla sua pericolosità in relazione all’oggetto materiale, al grado di colpevolezza che, nel caso di specie, è stato ravvisato, nelle valutazioni espresse dai giudici del merito, nell’abile e astuto sfruttamento delle formali mansioni di badante poste a base dell’assunzione del cittadino senegalese per adibirlo a un lavoro completamente diverso. 3.2 Coglie, invece, nel segno la deduzione concernente la denegata applicazione per la seconda volta della sospensione condizionale ai sensi dell’art. 165 cod. proc. pen La Corte territoriale ha escluso la possibilità di applicare una seconda volta il beneficio previsto dagli artt. 163 e seguenti cod. pen. sulla base dell’erroneo presupposto che, nella specie, faceva difetto la manifestazione di volontà di prestare un’attività non retribuita, cui la seconda applicazione dell’istituto doveva essere necessariamente subordinata ai sensi dell’art. 165, secondo comma, cod. pen., posto che, per la tipologia di reato contestato, il beneficio non era in concreto subordinabile all’adempimento di alcuno degli ulteriori obblighi previsti dal primo comma dello stesso articolo. Con ciò disattendendo il principio di diritto affermato da questa Corte di legittimità, secondo il quale, in tema di sospensione condizionale della pena, la richiesta avanzata dall’imputato che abbia già usufruito del beneficio in relazione a precedente condanna, determina ispo facto un implicito consenso alla subordinazione della misura all’adempimento di uno degli obblighi previsti dall’art. 165, comma primo, cod. pen., trattandosi di prescrizione che il giudice deve necessariamente disporre a norma del secondo comma del medesimo articolo cfr. Sez. 2, n. 18712 del 31/01/2017, Marangi, Rv. 269847 che, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la decisione della Corte territoriale che, accogliendo la richiesta dell’imputato contenuta nell’atto di appello, redatto dal difensore, aveva concesso il beneficio subordinandolo alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, osservando come la non opposizione allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità fosse da ritenersi implicitamente espressa nella stessa richiesta dell’interessato. Conformi Sez. 6, n. 13894 del 04/03/2014, Rosiello, Rv. 259460 Sez, 6 n. 24497 del 27/4/2018 n.m. . Si deve, dunque, convenire che la richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena da parte di un soggetto che ne abbia già usufruito costituisca una manifestazione, per facta concludentia, della non opposizione a prestare l’attività non retribuita a favore della collettività, cui appunto l’art. 165, comma secondo, cod. pen., subordina obbligatoriamente l’applicazione del beneficio. 4. Conclusivamente, la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla sospensione condizionale della pena con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo giudizio sul punto. Il ricorso va rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena e rinvia alla Corte di appello di Perugia per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso.