Anche il giudice dell’esecuzione può concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena

Il giudice dell’esecuzione, nel rideterminare la pena ex articolo 669, comma 8, c.p.p., cioè nei casi in cui la sentenza di condanna sia revocata per effetto di un giudicato assolutorio nei riguardi di uno stesso fatto e di una stessa persona, può disporre la sospensione condizionale della pena in relazione alla parte residua del trattamento sanzionatorio.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 51692/18, depositata il 15 novembre, si è pronunciata in tema di sospensione condizionale della pena, con particolare riguardo ai casi di concessione di tale istituto nella fase esecutiva del procedimento penale. Il fatto. Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, revocava ex articolo 669, comma 8, c.p.p., la sentenza emessa dalla Corte d’Appello milanese nella parte in cui veniva riformata la pena nei riguardi di un soggetto accusato di plurimi reati, per i quali veniva assolto parzialmente in ragione di due sentenze divenute irrevocabili in epoca differente. Veniva, pertanto, rideterminato il trattamento sanzionatorio per effetto dell’eliminazione della porzione riferita ai due reati per i cui è intervenuta la revoca. Al contempo, il Giudice dell’esecuzione non ha concesso la sospensione condizionale della pena, opponendo il difetto di potere in punto di riconoscimento del beneficio di cui all’articolo 163 c.p Avverso la prefata ordinanza propone ricorso per Cassazione il difensore del condannato, deducendo la violazione di legge in riferimento all’articolo 669, comma 8, c.p.p., assimilando il caso in esame all’abolitio criminis di cui all’articolo 673 o a quelle di cui all’articolo 671 c.p.p., consumandosi, al contrario, una disparità di trattamento del tutto irragionevole rispetto al principio di uguaglianza contemplato dalla Costituzione. Il ricorso è sorretto da motivi fondati. I Giudici di legittimità accolgono le censure difensive. Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione pone in rilievo la decisione adottata dalle Sezioni Unite, n. 37107/15, a tenore di cui il giudice dell’esecuzione, nel rideterminare la pena applicata con sentenza irrevocabile ex articolo 444 c.p.p., per abolitio criminis, può disporre la sospensione condizionale della pena [ .] anche nelle residuali ipotesi di autonoma rideterminazione del trattamento sanzionatorio . In buona sostanza, il Supremo Consesso, ha accreditato la teoria dei poteri impliciti quando sussiste un richiamo analogico delle norme consentito ope legis . D’altra parte, è principio granitico - secondo un ragionamento sistematico delle norme processuali - quello secondo cui, una volta che il giudicato cade per meccanismi legali predeterminati, è più che ragionevole attribuire al giudice dell’esecuzione il potere di intervento sulla sospensione condizionale in modo frammentario. Ciò posto, nel caso in esame, essendovi due sentenze di assoluzione che consentono, ex articolo 669, comma 8, c.p.p, la rideterminazione di una pena inquadrabile nei limiti del beneficio di cui all’articolo 163 c.p., sarebbe del tutto illogico negare la possibilità di concessione della sospensione della pena. Pertanto, secondo il percorso giuridico delineato dalla Suprema Corte, il giudice dell’esecuzione, nel rideterminare la pena ex articolo 669, comma 8, c.p.p., cioè nei casi in cui la sentenza di condanna sia revocata per effetto di un giudicato assolutorio nei riguardi di uno stesso fatto e di una stessa persona, può disporre la sospensione condizionale della pena in relazione alla parte residua del trattamento sanzionatorio. Alla stregua di tale ricostruzione, i Giudici della Prima Sezione di Piazza Cavour dispongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata e rinviano per nuovo esame al Tribunale di Milano.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 30 ottobre – 15 novembre 2018, n. 51692 Presidente Carcano – Relatore Santalucia Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha revocato, ai sensi dell’articolo 669, comma 8, cod. proc. pen., la sentenza emessa il 24 maggio 2013, di riforma in punto di pena della sentenza della Corte di appello di Milano del 18 dicembre 2015, nella parte in cui ha condannato T.G. per i reati di cui ai capi F ed M , invero oggetto di assoluzione ad opera di due diverse sentenze dello stesso Tribunale, divenute irrevocabili il 23 aprile e il 27 maggio 2014. Ha quindi rideterminato la pena, con eliminazione della porzione riferita ai due reati per i quali è intervenuta revoca. Non ha però concesso il chiesto beneficio della sospensione condizionale, adducendo difetto di potere, dato che il giudice dell’esecuzione può provvedere in merito alla sospensione condizionale soltanto nei limiti di cui agli articoli 671, comma 3, e 673, comma 1, cod. proc. pen 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore di T.G. , che ha dedotto vizio di violazione di legge. Il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto procedere ad una interpretazione estensiva della disposizione di cui all’articolo 669, comma 8, cod. proc. pen., assimilando il caso in esame alle situazioni di abolitio criminis, di cui all’articolo 673 cod. proc. pen. o a quelle di cui all’articolo 671 cod. proc. pen. Ragionando altrimenti si dà luogo a una disparità di trattamento irragionevole. 3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte. 1.1. I poteri del giudice dell’esecuzione in riferimento all’applicabilità della sospensione condizionale della pena, ovviamente nel caso in cui sul punto non si sia pronunciato negativamente il giudice della cognizione, sono stati oggetto di approfondimento ad opera delle Sezioni unite della Corte di cassazione. 1.2. In una prima occasione si trattò di definire l’ambito di possibile intervento quando in sede esecutiva si provvede alla revoca della condanna per abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice - articolo 673 cod. proc. pen La premessa del ragionamento delle Sezioni unite fu che, a differenza dell’articolo 671 cod. proc. pen., ove v’è una specifica disposizione che autorizza il giudice dell’esecuzione a provvedere sulla sospensione condizionale della pena, quando riconosca il concorso formale o la continuazione e vengano così a costituirsi le condizioni di ammissibilità del beneficio, la disciplina sulla revoca della condanna per il venir meno della norma incriminatrice nulla di espresso dice in proposito. Valorizzarono allora l’inciso adotta i provvedimenti conseguenti , che compare come clausola di chiusura nella disposizione sulla revoca della condanna ex articolo 673 cod. proc. pen., statuendo che il giudice dell’esecuzione, qualora . pronunci per intervenuta abolitio criminis ordinanza di revoca di precedenti condanne, le quali siano state a suo tempo di ostacolo alla concessione della sospensione condizionale della pena per altra condanna, può, nell’ambito dei provvedimenti conseguenti alla suddetta pronuncia, concedere il beneficio, previa formulazione del favorevole giudizio prognostico richiesto dall’art. 164, comma primo, cod. pen., sulla base non solo della situazione esistente al momento in cui era stata pronunciata la condanna in questione, ma anche degli elementi sopravvenuti - Sez. U, n. 4687 del 20/12/2005, dep. 2006, Catanzaro, Rv. 232610 -. Esclusa la praticabilità di un’applicazione analogica della disposizione contenuta nell’articolo 671, comma 3, cod. proc. pen., in ragione della natura eccezionale, per via dell’intangibilità del giudicato, della previsione che autorizza il giudice dell’esecuzione a provvedere sulla sospensione condizionale, le Sezioni unite perseguirono l’interpretazione adeguatrice in senso costituzionale sfruttando l’estensione e la flessibilità del valore semantico della locuzione provvedimenti conseguenti , nonché la coerenza razionale del sistema . 1.3. Successivamente il tema è ritornato all’attenzione del Supremo collegio dopo la pronuncia della Corte costituzionale - sentenza n. 32 del 2014 di illegittimità degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge 30 dicembre2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, con conseguente reviviscenza della disciplina dei reati in materia di sostanze stupefacenti modificata dal legislatore con le norme dichiarate incostituzionali. Ripristinati i precedenti più favorevoli limiti edittali di pena per i reati aventi ad oggetto le cd. droghe leggere, le Sezioni unite hanno ritenuto che la pena determinata secondo i parametri edittali caducati fosse illegale perché il procedimento di commisurazione della stessa si era avvalso di criteri incostituzionali e quindi mai esistiti, e hanno stabilito che, ove la pena in tal senso illegale sia stata applicata da una sentenza di patteggiamento divenuta irrevocabile, il giudice dell’esecuzione deve provvedere a rideterminarla ponendo mano ad un’opera di riqualificazione sanzionatoria all’interno del modulo procedimentale di cui all’articolo 188 disp. att. cod. proc. pen L’interpretazione estensiva delle disposizioni contenute nell’articolo da ultimo citato è stata spiegata con la necessità che il giudice, pur in assenza di espresse previsioni di legge, ponga rimedio alla pena illegale utilizzando gli spazi di operatività impliciti della normativa vigente. Su queste premesse hanno quindi statuito che il giudice della esecuzione, nel rideterminare la pena applicata con sentenza irrevocabile ex art. 444 cod. proc. pen., divenuta illegale ., può disporre la sospensione condizionale della pena , aggiungendo poi che anche nelle residuali ipotesi di autonoma rideterminazione della pena il giudice dell’esecuzione possa disporre la sospensione condizionale della pena - Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264859 -. La conclusione non è stata questa volta giustificata con l’individuazione di dati letterali della disposizione capaci, per la loro struttura semantica, di comprendere il riferimento al potere di concessione della sospensione condizionale hanno invece ribadito quanto già nella precedente sentenza in ordine all’articolo 673 cod. proc. pen. avevano detto, ossia che esigenze di razionalità sistematica impongono di ritenere che, una volta dimostrato che la legge processuale demanda al giudice una determinata funzione, allo stesso giudice è conferita la titolarità di tutti i poteri necessari all’esercizio di quella medesima attribuzione sicché è consequenziale inferirne che il riconoscimento della possibilità di eliminare l’effetto ostativo alla concessione della sospensione condizionale della pena comporta necessariamente la titolarità dei poteri necessari al conseguimento di tale risultato . 1.4. Le Sezioni unite hanno, in buona sostanza, accreditato la teoria dei poteri impliciti, ossia dei poteri che possono essere affermati anche quando manchi un diretto riferimento normativo senza per questo sottrarsi al divieto di applicazione analogica di norme che, invece, quel richiamo facciano per casi simili. La conclusione è allora che il richiamo ai provvedimenti conseguenti alla revoca della condanna per il venir meno della norma incriminatrice, lungi dal consegnare un’attribuzione in via eccezionale, è indicativo di una situazione di potere necessariamente implicata da quella che consente al giudice dell’esecuzione di rimuovere un giudicato. Anche la norma contenuta nell’articolo 669, comma 8, cod. proc. pen. conferisce al giudice dell’esecuzione il potere di revocare la sentenza di condanna quando sullo stesso fatto e contro la stessa persona si sia formato un giudicato assolutorio. Il superamento dell’intangibilità del giudicato, in questa come nelle altre situazione prima indicate, non è conseguenza di manipolazioni interpretative quanto di chiare e univoche previsioni legislative. In forza di tali previsioni, e non già per applicazioni analogiche di disposizioni dettate per casi simili, il giudice dell’esecuzione può provvedere sulla sospensione condizionale - su cui in precedenza non si sarebbe potuto pronunciare per l’impedimento derivante dal giudicato di condanna revocato -, perché l’adozione dei provvedimenti conseguenti è esplicazione di un potere che deve ritenersi coessenziale a quello di porre nel nulla il giudicato di condanna. 1.5. Lungo tale direttrice, peraltro, si è già statuito che in caso di annullamento senza rinvio di uno o più capi di condanna, spetta al giudice dell’esecuzione provvedere sulla istanza di sospensione condizionale, avanzata ma non valutata nel giudizio di cognizione in quanto la pena complessivamente irrogata risultava superiore al limite di legge per la concedibilità del beneficio - Sez. 1, n. 16679 del 01/03/2013, Corlando, Rv. 254570 -. Il senso di siffatto principio di diritto è che la pronuncia di annullamento senza rinvio di uno o più capi di condanna si atteggia allo stesso modo di un intervento demolitorio del giudicato per il venir meno della norma incriminatrice, senza necessità di una mediazione decisoria del giudice dell’esecuzione che, adottando un’ordinanza meramente dichiarativa di un fatto giuridico autonomamente verificatosi, disponga la revoca del giudicato. Il nucleo essenziale della vicenda è ancora una volta l’estensione dei poteri decisori del giudice dell’esecuzione per non contravvenire a principi di coerenza sistematica in forza dei quali, una volta che il giudicato cade per meccanismi legali predeterminati, non sarebbe ragionevole attribuire al giudice dell’esecuzione il potere di intervento sulla sospensione condizionale in modo frammentario. 1.6. L’appena tratteggiata ricostruzione non trova ostacolo nella pronuncia della Corte costituzionale - ordinanza n. 128 del 2009 - che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’articolo 669 cod. proc. pen. nella parte in cui non consente la concessione della sospensione condizionale della pena in riguardo ad una sentenza che ha negato l’applicazione del beneficio soltanto a causa di una precedente condanna poi revocata per violazione del divieto del bis in idem. La dichiarazione di manifesta infondatezza, infatti, ha trovato causa nella specificità della concreta vicenda di quel giudizio a quo, individuata in un profilo ritenuto dalla Corte costituzionale patologico. Il condannato aveva indicato per l’esecuzione, tra le due condanne, quella divenuta irrevocabile per ultima e che aveva inflitto una pena più severa negando per giunta la sospensione condizionale. 1.6.1. La Corte costituzionale, ribadendo che la seconda condanna è, di per sé, una sentenza emessa in violazione del divieto del bis in idem, ha chiarito che il condannato può anche indicarla per l’esecuzione, se le ritiene in concreto più vantaggiosa, ma non può pretendere di sceglierla e, al tempo stesso, di correggerla in deroga al principio di intangibilità del giudicato, chiedendo che sia eliminato un errore, in punto di concessione di benefici, connesso alla stessa violazione del ne bis in idem in specie, l’aver considerato come precedente ostativo altra condanna per il medesimo fatto che, a seguito della scelta operata, dovrebbe essere revocata . Egli infatti può evitare l’effetto svantaggioso soltanto optando per la condanna più datata, che poi è quella emessa legittimamente, in riferimento a cui non può ipotizzarsi un diniego della sospensione condizionale basato sulla preclusione derivante da altra condanna per il medesimo fatto . Ha così concluso per la mancanza del presupposto per ipotizzare l’esigenza costituzionale di in intervento diretto a riequilibrare la disciplina comparandola a quella dettata per casi diversi, regolati dagli articoli 671, comma 3, e 673, comma 1, cod. proc. pen 1.7. Al di fuori di marchingegni elusivi, che nel caso in esame non si ravvisano dato che le condanne sono state revocate in forza di pronunce assolutorie e senza quindi alcuna indicazione di comodo dell’interessato, la comparazione con la disciplina contenuta negli articoli 671, comma 3, e 673, comma 1, cod. proc. pen. impone una interpretazione sistematica, secondo cui le clausole che compaiono nelle due disposizioni da ultimo citate altro non sono che l’esplicazione di una situazione di potere che va riconosciuta anche quando il giudice dell’esecuzione provveda ai sensi dell’articolo 669, comma 8, cod. proc. pen 2. L’ordinanza impugnata deve essere pertanto annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Milano, da condursi alla luce dell’appena indicato principio di diritto. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Milano.