Elementi indiziari del reato di produzione di stupefacenti a fini di spaccio

Il reato di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti può essere integrato anche tramite la valutazione di circostanze marginali” che, se complessivamente valutate, rendono verosimile l’illecita condotta criminale, come la condizione economica in cui versa l’imputato e la propensione delle piante coltivate a produrre un effetto stupefacente rilevabile.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 50628/18, depositata l’8 novembre. Possesso e coltivazione di sostanze stupefacenti. Un soggetto veniva sorpreso a coltivare dieci piante di sostanza stupefacente del tipo canapa indiana e a possedere una certa quantità di marijuana. Condotta che lo portava innanzi al Tribunale territoriale che ne riconosceva la penale responsabilità ex art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990, decisione confermata peraltro anche in sede di riesame. L’imputato ricorre quindi in Cassazione lamentando che la Corte Territoriale non aveva correttamente valutato il principio di offensività del delitto di coltivazione di sostanze stupefacenti dato che l’accertamento tossicologico, svoltosi in corso del precedete giudizio, escludeva che all’epoca le piante presentassero una quantità di principio attivo atta a spiegare effetto drogante previsto dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 oltre a dedurre la mancata e illegittima applicazione delle attenuanti generiche per la quantificazione della pena inflitta. Rilevanza di altri, marginali elementi. La Suprema Corte evidenzia che in materia di sostanze stupefacenti, possono concorrere a fondare il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990 anche altri elementi presenti nella fattispecie concreta nel caso in cui il possesso di un quantificativo di droga, da solo, non possa costituire una prova decisiva alla corretta qualificazione della fattispecie criminale. Infatti, nel caso di specie, la Corte Tribunale aveva – correttamente – considerato due differenti circostanze idonee a riconoscere la penale responsabilità dell’imputato oltre alla coltivazione di canapa indiana e al possesso di marijuana, era stata presa in considerata anche la condizione economica in cui versava l’imputato, posizione che faceva ritenere fondata la detenzione di dette sostanze volta ad un futuro spaccio piuttosto che per essere destinata ad un uso personale. Inoltre, in riferimento all’accertamento tossicologico effettuato in sede di giudizio d’appello, gli Ermellini sottolineano che costituisce condotta penalmente rilevante, ai sensi dell’art. 73, comma 4 d.P.R. n. 309/1990, qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando tale attività sia realizzata per la destinazione ad uso personale . È irrilevante che le piante coltivate, odiernamente, siano idonee a costituire un effetto stupefacente”, quanto rileva la conformità della pianta e la sua attitudine a giungere a maturazione tale da produrre, successivamente, la sostanza stupefacente. La Suprema Corte, ritenendo immune da vizi di legittimità il giudizio emesso dalla Corte d’Appello, rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 settembre – 8 novembre 2018, numero 50268 Presidente Rosi – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 27.04.2017, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza del 16.12.2016 del Tribunale di Ravenna, con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, B.E. era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. numero 309/1990 perché deteneva illecitamente Kg 2,809 di sostanza stupefacente del tipo marjuana principio attivo gr 63,98 pari a 2430 dosi commerciali per un valore di mercato pari a 17.000 Euro e coltivava dieci piante di sostanza stupefacente del tipo canapa indiana e, previa esclusione della recidiva ed applicata la diminuente per il rito, condannato alla pena di anni uno e mesi quattro e giorni dieci di reclusione ed Euro 4.200,00. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.E. , a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. penumero . Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità, lamentando che la Corte territoriale non aveva correttamente valutato il principio di offensività del delitto di coltivazione di sostanze stupefacenti in presenza di un accertamento tossicologico che escludeva che le piante, peraltro in numero limitato, contenessero una quantità di principio attivo idonea ad indurre l’effetto drogante. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità, lamentando che la Corte territoriale non aveva chiarito l’iter logico in base al quale era stato valorizzato il solo dato della futura idoneità delle piante a produrre principio attivo pur in presenza di un dato ponderale netto irrilevante ed inidoneo inoltre, era stata omessa la motivazione relativa alla condotta detentiva. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’entità della pena irrogata ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 73, comma 5, d.P.R. numero 309/1990, censurando il diniego di configurabilità dell’ipotesi di reato meno lieve in quanto basato sul solo dato ponderale. Considerato in diritto 1. Il primo motivo ed il secondo motivo di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente in quanto entrambi afferenti alla affermazione di responsabilità, sono manifestamente infondati. La Corte territoriale, infatti, nel ritenere comprovata la responsabilità del B. per la detenzione dello stupefacente a fini di spaccio, ha offerto una motivazione logica e coerente, e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità, rilevando come, oltre al dato quantitativo kg 2.809 di sostanza stupefacente del tipo marijuana pari con principio attivo di g 63,98 pari a 2560 dosi medie singole per un valore complessivo pari a 17.000 Euro , andassero valorizzate anche le condizioni economiche del B. disoccupato e percettore di pensione di invalidità pari a 735 Euro al mese circostanze che, complessivamente valutate, rendevano inverosimile la destinazione ad uso personale e comprovavano l’illecita detenzione della sostanza stupefacente. Del resto costituisce ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo il quale, in materia di stupefacenti, il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dal D.P.R. numero 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. a , se da solo non costituisce prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione Sez.3, numero 46610 del 09/10/2014, Rv.260991 Sez. 6, numero 11025 del 06/03/2013, De Rosa e altro, Rv. 255726 Sez.6, numero 2652 del 21/11/2013, dep.21/01/2014, Rv. 258245 Sez.6, numero 6575 del 10/01/2013, Rv.254575 Sez.6,numero 4613 del 25/01/2011, Rv.249346 Sez.6, numero 12146 del 12/02/2009, Rv.242923 . Con riferimento, poi, alla condotta di coltivazione, va ricordato che l’art. 73 d.P.R. numero 309/1990 punisce, tra le altre, anche la condotta di chiunque coltiva senza autorizzazione piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti o psicotrope. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte Sez.U, numero 28605 del 24/04/2008, Di Salvia Rv.239920-239921 costituisce condotta penalmente rilevante, ai sensi del citato art. 73 d.P.R. numero 309/1990, qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando tale attività sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale risulta irrilevante la distinzione tra coltivazione in senso tecnico-agrario ovvero imprenditoriale e coltivazione domestica , in quanto qualsiasi tipo di coltivazione è caratterizzato dal dato essenziale e distintivo rispetto alla detenzione di contribuire ad accrescere la quantità di sostanza stupefacente esistente tuttavia, ai fini della punibilità, spetta al giudice verificare in concreto l’offensività della condotta riferita all’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile tale ultima affermazione risulta evidentemente imposta, pur avendo la fattispecie criminosa natura di reato di pericolo presunto, dall’esigenza di verificare in concreto l’offensività specifica della singola condotta accertata, secondo i principi affermati dalla consolidata giurisprudenza costituzionale sul punto cfr. Corte Cost. numero 360 del 1995 e numero 296 del 1996 e numero 265 del 2005 e da ultimo numero 190 del 2016 . Nel caso di specie, la Corte territoriale ha verificato il principio di offensività in concreto valorizzando la potenziale idoneità della coltivazione dieci piante dell’altezza di un metro e mezzo a produrre sostanze stupefacenti in relazione alla conformità delle piante al tipo botanico previsto e della sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione all’interno di serra attrezzata con tre lampade, tre pannelli riflettenti con neon aventi funzione di lampade UV e tre trasformatori di energia elettrica , di giungere a maturazione e produrre la sostanza stupefacente. La motivazione è congrua e priva di vizi logici e conforme al costante orientamento di questo Corte, secondo cui, ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, attese la formulazione delle norme e la ratio della disciplina della disciplina, anche comunitaria, in materia, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente Sez.6, numero 35654 del 28/04/2017, Rv.270544 Sez.6, numero 10931 del 01/02/2017, Rv.270495 Sez.3 numero 23881 del 23/02/2016, Rv.267382 Sez 6, numero 25057 del 10/05/2016, Rv.266974 Sez.6, numero 52547 del 22/11/2016 Rv.268938 Sez.6, numero 8058 del 17/02/2016, Rv.266168 Sez.4, numero 53337 del 23/11/2016, Rv.268695 Sez.6, numero 6753 del 09/01/2014, Rv.258998 Sez.6, numero 22459 del 15/03/2013, Rv.255732, Cangemi . 2. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La sentenza impugnata ha fatto corretto uso dei criteri di cui all’art. 133 cod.penumero , ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena la Corte territoriale riguardo alla pena ha richiamato le modalità della condotta ed il notevole quantitativo di sostanza stupefacente, così che la pena irrogata in misura assai prossima ai minimi edittali, non è stata ritenuta suscettibile di ulteriore riduzione. Va ricordato che, ai fini del trattamento sanzionatorio, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod.penumero , quello o quelli che ritiene prevalente e atto a consigliare la determinazione della pena e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, a fortiori , anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione Sez.2, numero 19907 del 19/02/2009, Rv.244880 Sez. 4, 4 luglio 2006, numero 32290 . Con riferimento al diniego della circostanze attenuanti generiche, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’applicazione delle predette circostanze, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta Sez.1, numero 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339 sez. 2, numero 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241 Sez.3,numero 44071 del 25/09/2014, Rv.260610 . Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione, individuando, tra gli elementi di cui all’art. 133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato Sez.3, numero 28535 del 19/03/2014, Rv.259899 Sez.6, numero 34364 del 16/06/2010, Rv.248244 sez. 2, 11 ottobre 2004, numero 2285, Rv. 230691 . L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato. Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche a cagione delle modalità della condotta e dei gravi precedenti penali, elementi ritenuti dimostrativi della personalità negativa dell’imputato cfr in merito alla sufficienza dei precedenti penali dell’imputato quale elemento preponderante ostativo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, Sez.2, numero 3896 del 20/01/2016, Rv.265826 Sez.1, numero 12787 del 05/12/1995, Rv.203146 . La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è, quindi, giustificata da motivazione congrua ed esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione Sez. 6, numero 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419 . 3. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, se è vero che ai fini della verifica circa la sussistenza della fattispecie attenuata di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. numero 309 del 1990, il giudice di merito deve di regola compiere una valutazione complessiva del fatto contestato, condotta sulla base dei parametri di riferimento specificamente indicati nella norma i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione, oltre alla quantità e qualità della sostanza , ove, però, la quantità della sostanza stupefacente sia considerevole, il dato ponderale può essere legittimamente reputato sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità dell’attività di spaccio e, perciò, sufficiente a negare l’attenuante della lieve entità del fatto, senza necessità che il giudice prenda espressamente in esame gli altri parametri normativi Sez.6,numero 21962 del 02/04/2003, Rv.225414 Sez.4, numero 34331 del 03/06/2009, Rv.245199 Sez.U, numero 35737 del 24/06/2010,Rv.247911 Sez. 4, numero 22643 del 21/05/2008, Rv. 240854 Sez. 6, numero 39931 del 16/10/2008, Rv. 242247, Sez. 1, numero 4875 del 19/12/2012, dep. 31/01/2013, Rv. 254194 . Il principio suesposto è stato affermato anche a seguito della qualificazione della ipotesi del comma 5 art. cit. come reato autonomo per effetto degli interventi normativi di cui all’art. 2 D.L. 23 dicembre 2013, numero 146, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, numero 10 e successivamente modificato dalla legge 16 maggio 2014 numero 79 da Sez.6, numero 45694 del 28/09/2016, Zuccaro, Rv.268293, che, nell’affermare che qualora il dato ponderale sia, in sé, compatibile tanto con le previsioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 73 d.P.R. numero 309 del 1990 quanto con quella autonoma, lieve , di cui al comma quinto del medesimo articolo, il giudice deve in motivazione specificare quali altri elementi consentano di qualificare il fatto nell’una o nell’altra ipotesi di reato, ha ribadito che va fatta salva ovviamente la situazione in cui ci si trovi di fronte a quantità e/o modalità della condotta che riportino immediatamente il fatto in uno dei due reati, rendendo superflua una motivazione ad hoc . Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel denegare l’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. numero 309/1990, ha evidenziato, con motivazione congrua e logica, non solo che il dato della quantità della sostanza stupefacente detenuta, era già di per sé indicativo di una notevole potenzialità offensiva del fatto, ma ha rimarcato anche, con riferimento alla condotta di coltivazione, che le caratteristiche strutturate e professionali della produzione impiantata non rendevano certamente minimale né di modesto disvalore sociale il fatto. 4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. penumero , non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. numero 186 del 13.6.2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.