Tra evasore e giudizio penale, il fisco può fare la differenza

In tema di evasione fiscale, qualora siano intercorsi accordi conciliativi tra evasore ed erario, il giudice penale, in forza dell’inesistenza di una pregiudizialità tributaria, può discostarsi dalla determinazione dell’ammontare del profitto come risultante da tali accordi, ma

deve sempre darne congrua motivazione. Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 50157/18, depositata il 7 novembre. Il caso. Il Tribunale del riesame di Brindisi respingeva l’appello cautelare proposto dai ricorrenti avverso l’ordinanza con la quale il GIP aveva rigettato la richiesta di riduzione dell’ammontare dell’importo corrispondente alla differenza tra l’imposta evasa e quella definita tramite gli accordi conciliativi raggiunti con l’Agenzia delle Entrate. Gli imputati propongono ricorso per cassazione sostenendo che, secondo l’art. 12- bis d.lgs. n. 74/2000, non è possibile confiscare una somma in eccedenza rispetto all’impegno assunto dal contribuente con l’Amministrazione finanziaria, con conseguente riduzione della parte di sequestro in eccedenza rispetto a tale somma. Il rapporto tra confisca e accordi con l’erario. Nel ritenere il ricorso fondato, i Giudici di legittimità chiariscono anzitutto che sotto un primo profilo, relativo al rapporto tra confisca e accordo con l’erario, la disposizione di cui all’art. 12- bis , comma 2, d.lgs. n. 74/2000, deve intendersi nel senso che la confisca, così come il sequestro, possono essere adottati anche a fronte di un impegno di pagamento assunto con il fisco, producendo effetti solo nel momento in cui si verifica l’evento futuro ed incerto del mancato pagamento dell’indebito. Accertamento dell’imposta evasa no alla pregiudizialità tributaria. In relazione poi ad un secondo profilo, riguardante la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, la Suprema Corte ribadisce che il compito di accertare e determinare l’intera imposta dovuta spetta esclusivamente al giudice penale, la cui verifica può sovrapporsi ed entrare in contraddizione con quella effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudizialità tributaria . In particolare, stante l’autonomia del processo penale da quello amministrativo, si ammette un discostamento della quantificazione del profitto accertato dal giudice penale da quello risultante da accordi conciliativi conclusi con l’Agenzia, ma lo stesso giudice penale deve sempre darne congrua argomentazione, proprio in virtù dell’esercizio di tale autonomo potere. Sì al discostamento, ma con congrua motivazione. Sulla scorta di tali richiami alla giurisprudenza di legittimità, la Corte di Cassazione afferma il principio secondo cui, nel caso di accordi conciliativi con l’erario, deve attribuirsi rilevanza alla quantificazione del profitto operata in sede amministrativa, ma il giudice penale, in forza dell’inesistenza di una pregiudizialità tributaria , può discostarsi dalla determinazione dell’ammontare del profitto come risultante nell’accordo, ma di ciò deve dare congrua motivazione . Per tutti questi motivi, gli Ermellini annullano il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Brindisi.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 settembre – 7 novembre 2018, numero 50157 Presidente Di Nicola – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. F.C. e F.A. , tramite il difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Brindisi che aveva respinto l’appello cautelare, ex articolo 322 bis cod.proc.penumero , avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Brindisi di rigetto della richiesta di riduzione dell’ammontare dell’importo, pari a Euro 2.337.462,71, corrispondenti alla differenza tra la maggior imposta evasa, come oggetto di contestazione provvisoria, e quella definita a seguito di tre accordi conciliativi con l’Agenzia delle Entrate. 1.1. Il Tribunale cautelare, preso atto che il Giudice aveva respinto l’istanza sul rilievo che la riduzione del sequestro poteva avvenire solo a fronte dell’effettivo pagamento delle imposte evase, ha richiamato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’articolo 12 bis comma 2 del d.lgs numero 74 del 2000, non preclude l’adozione del sequestro né della confisca, dovendo unicamente ritenersi l’eventuale inefficacia della misura cautelare in presenza di versamento delle imposte, salva la riduzione dell’ammontare in relazione alle rate eventualmente già versate, e il principio secondo cui non essendo configurabile nel processo penale una pregiudiziale tributaria, spetta all’autorità giudiziaria accertare l’imposta evasa, da cui ha tratto la conclusione che l’accertamento con adesione e gli accordi conciliativi, conclusi dai ricorrenti, non potevano incidere sul processo penale, se non ai limitati fini di cui all’articolo 13 comma 2 bis, ed ha, così, respinto l’impugnazione, fermo restando che il sequestro non poteva essere mantenuto sull’intero ammontare, dovendosi ridurre in misura corrispondente alle somme periodicamente versate, come già verificatosi nel caso in esame. 2. A sostegno dell’impugnazione, i ricorrenti deducono, con un unico e articolato motivo, la violazione di cui all’articolo 606 comma 1 lett b cod.proc.penumero in relazione agli artt. 321, 322 bis e articolo 12 bis comma 2 del d.lgs 10 marzo 2000, numero 74, nonché il vizio di motivazione mancante e/o apparente. In sintesi, lamentano i ricorrenti che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso la riduzione del sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, in relazione agli artt. 3 e 8 del d.lgs 10 marzo 2000, numero 74, reati oggetto di incolpazione provvisoria, in presenza di accordi conciliativi con conseguente ridimensionamento della somma originariamente contestata, a titolo di evasione, per una differenza di Euro 2.337.462,71. Il Tribunale non avrebbe colto nel segno la censura devoluta con l’impugnazione cautelare e non avrebbe affrontato il tema centrale posto dall’impugnazione che verteva sul diverso profilo secondo cui, a mente dell’articolo 12 bis, non si potrebbe mai confiscare una somma in eccedenza rispetto all’impegno assunto con l’Amministrazione finanziaria, con conseguente riduzione della parte di sequestro in eccedenza rispetto a tale somma. Se è pur vero che è riconosciuto il potere di autonoma individuazione dell’imposta evasa al giudice penale, nondimeno, per l’esercizio di tale facoltà occorre una congrua motivazione, che sarebbe stata omessa nel provvedimento impugnato. Errata sarebbe, anche, la motivazione del provvedimento impugnato laddove ha escluso di poter attribuire rilievo agli intervenuti accordi con l’amministrazione finanziaria, avendo argomentato che il sequestro avrebbe dovuto essere ridotto solo dopo l’integrale pagamento delle somme previste dai suddetti accordi, omettendo di considerare il carattere novativo dei predetti accordi. Viceversa, la novazione dell’obbligazione tributaria avrebbe dovuto comportare la conseguente riduzione del sequestro. 3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che i ricorsi siano rigettati. Considerato in diritto 4. Va premesso che il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse in sede di appello contro i provvedimenti di sequestro preventivo è proponibile ai sensi del combinato disposto degli artt. 322 bis e 325 cod.proc.penumero solo per violazione di legge, e che costituisce di violazione di legge , legittimante il ricorso per cassazione a norma dell’articolo 325, comma primo, cod. proc. penumero sia l’omissione assoluta di motivazione sia la motivazione meramente apparente Sez. 3, numero 28241 del 18/02/2015, P.M. in proc. Baronio e altro, Rv. 264011 Sez 1, numero 6821 del 31/01/2012 Chiesi, Rv. 252430 Sez. U, numero 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710 . 5. Così delineato l’ambito di valutazione, i ricorsi sono fondati in forza delle considerazioni qui esposte. Sotto un primo profilo, concernente il rapporto tra confisca somma confiscabile e previamente sequestrabile e accordo con l’erario, questa Corte di legittimità ha avuto modo di chiarire che in tema di reati tributari, la disposizione di cui al comma secondo dell’articolo 12-bis del d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74, introdotta dal d.lgs. numero 158 del 2015, secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro , deve essere intesa nel senso che la confisca così come il sequestro preventivo ad essa preordinato può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito Sez. 3, numero 42470 del 13/07/2016, Orsi, Rv. 268384 Sez. 3, numero 5728 del 14/01/2016, Orsetto, Rv. 266037 . Si è specificato, in particolare, che la locuzione non opera non significa affatto che la confisca, a fronte dell’accordo rateale intervenuto, non possa essere adottata, ma che la stessa non divenga, più semplicemente, efficace con riguardo alla parte coperta da tale impegno salvo ad essere disposta , come recita il comma 2 dell’articolo 12-bis cit., allorquando l’impegno non venga rispettato e il versamento promesso non si verifichi. Si è, altrettanto, specificato che solo l’integrale pagamento del debito tributario, in virtù della necessità di evitare la sostanziale duplicazione dello stesso, può condurre alla non operatività della confisca e, correlativamente, alla obliterazione del sequestro imposto a tal fine, essendo invece insufficiente la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale ultimo titolo Sez. 3, numero 5681 del 27/11/2013, Crocco, Rv. 258691 . Ed infatti, solo col pagamento del debito viene meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire col provvedimento ablatorio, di tal ché un successivo provvedimento comporterebbe una inammissibile duplicazione della sanzione. 6. Sotto altro profilo, in relazione alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, suscettibile dapprima di sequestro e poi di confisca, è altrettanto pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui spetta esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria Sez. 3, numero 28710 del 19/04/2017, P.G. in proc. Mantellini, Rv. 270476 Sez. 3, numero 15899 del 02/03/2016, Colletta, Rv. 266817 Sez. 3, numero 38684 del 04/06/2014, Agresti, Rv. 260389 Sez. 3, numero 37335 del 15/07/2014, Buonocore, Rv. 260188 Sez. 3, numero 36396 del 18/05/2011, Mariutti, Rv. 251280 Sez. 3, numero 5490 del 26/11/2008, Crupano, Rv. 243089 . L’autonomia del processo penale da quello amministrativo, sancita dall’articolo 20, d.lgs. numero 74 del 2000 secondo cui Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione , non può non valere anche ai fini, che qui che qui rilevano, dell’individuazione dell’ammontare dell’imposta evasa per l’adozione e il mantenimento del provvedimento cautelare in funzione della confisca, nei casi di raggiunti accordi conciliativi con l’erario. In altri termini, deve ammettersi che il giudice penale ben possa, sulla scorta di elementi di fatto, discostarsi dalla quantificazione del profitto come risultante dalla conclusione di accordi conciliativi con l’agenzia delle entrate, ma nell’esercizio di tale autonomo potere deve darne congrua argomentazione, diversamente ragionando si perverrebbe alla introduzione di una pregiudiziale tributaria non prevista nell’ordinamento giuridico. 7. Sulla scorta di ciò, ribadito il principio della piena autonomia del processo penale per l’accertamento del reato tributario e per l’accertamento dell’ammontare dell’imposta evasa, in presenza di accordi conciliativi del contribuente con l’erario, il giudice non può non considerare l’intervenuto accordo sull’ammontare dell’imposta evasa e, per discostarsi dall’ammontare come individuato in sede amministrativa, deve darne congrua motivazione. 8. Orbene, sul punto, la motivazione del provvedimento impugnato è assente. Il Tribunale di Brindisi, dopo aver inteso aderire al principio di diritto sopra richiamato dell’autonoma valutazione del giudice penale, ha, tuttavia, errato nel concludere che gli accordi intervenuti tra i ricorrenti e l’agenzia delle entrate tre accordi conciliativi ed un accertamento con adesione non avessero incidenza nel processo penale, nel quale manteneva validità l’accertamento compiuto che legittimava il mantenimento del sequestro sull’intero ammontare dell’imposta evasa come determinata, quale che fosse il diverso ammontare frutto dell’accordo tra contribuente ed erario, omettendo di argomentare le ragioni per le quali intendeva discostarsi dalla determinazione dell’imposta frutto di accordo. 9. Dunque, deve affermarsi il principio secondo cui, nel caso di accordi conciliativi con l’erario, deve attribuirsi rilevanza alla quantificazione del profitto operata in sede amministrativa, ma che il giudice penale, in forza dell’inesistenza di una pregiudiziale tributaria, ben possa discostarsi dalla determinazione dell’ammontare del profitto come risultante nell’accordo, ma di ciò deve dare congrua motivazione. 10. Conclusivamente il provvedimento impugnato va annullato con rinvio per un nuovo esame sul punto al Tribunale di Brindisi Sezione del riesame. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata e rinvio per nuovo esame al Tribunale di Brindisi.