Confermato l’ergastolo dell’imputato per i tragici fatti all’interno del Tribunale di Milano

Ai fini di escludere il requisito della capacità dell’imputato di partecipare scientemente al processo non è sufficiente la presenza di una patologia psichiatrica, essendo al contrario necessario che l’imputato risulti in condizioni tali da non comprendere quanto avviene in sua presenza da non potersi difendere.

Così la Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con sentenza n. 50382/18 depositata il 7 novembre. La vicenda. Proprio nei giorni in cui si discute molto sul disegno di legge che impedisce l’accesso al giudizio abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo ci si divide tra chi è contrario ed enfatizza la necessità di potenziare, al contrario, i riti alternativi, e chi è favorevole, soprattutto per tutelare le esigenze delle vittime o dei danneggiati del reato, troncando la possibilità in molti casi dell’imputato di evitare il carcere a vita vengono depositate le motivazioni della sentenza che ha confermato l’ergastolo di Claudio Giardiello, giudicato proprio col rito abbreviato, per i noti e drammatici fatti consumati il 9 aprile 2015 all’interno del Tribunale di Milano, dove nel corso di un’udienza penale persero la vita, sotto i colpi di pistola dell’imputato, l'avvocato Lorenzo Claris Appiani che dopo averlo assistito, aveva preteso dal Giardiello il pagamento dei suoi onorari arrivando a presentare istanza di fallimento , il coimputato Giorgio Erba nel processo per bancarotta fraudolenta che si stava celebrando ed il magistrato Fernando Ciampi il giudice civile il quale aveva presieduto il collegio del tribunale milanese che aveva dichiarato il fallimento della Immobiliare Magenta s.r.l., raggiunto da due proiettili mentre si trovava nei suoi uffici dell’ottava sezione civile del tribunale ambrosiano . Ad essere colpiti, pur senza perdere fortunatamente la vita, furono anche Davide Limongelli, nipote del Giardiello, e Stefano Verna, commercialista già consulente dell’imputato. Per questi ultimi fatti, l’imputazione e la condanna fu per tentato omicidio, lesioni personali e, in generale, porto illegale di armi e di munizioni. Piano criminoso premeditato. Anche in considerazione del robusto quadro probatorio ritrovamento dell’arma dei delitti, una Beretta calibro 9x21 regolarmente denunciata i proiettili rinvenuti in sede di perquisizione gli esiti balistici che confermavano che i numerosi colpi di pistola era stati sparati dall’arma sequestrata al Giardiello le riprese delle telecamere esterne del Palazzo di giustizia le dichiarazioni provenienti dallo stesso imputato, anche intercettate dal carcere aveva indotto i giudici di merito di prime e secondo cure ad affermare che gli omicidi fossero stati commessi con premeditazione. Era stata respinta la tesi difensiva tesa a dimostrare che la sequenza omicidiaria si sarebbe sviluppata con modalità d’impeto a partire da una reazione a corto circuito” innescata dal legale di fiducia di Giardiello, legata ad uno screzio avuto con quest’ultimo in ordine alle domande da formulare al teste. Sulla capacità di stare in giudizio. I primi tre motivi del ricorso erano afferenti all’ordinanza con la quale la Corte di appello di Brescia aveva rigettato sia l’istanza di sospensione del processo per carenza di capacità dell’imputato di parteciparvi, sia la richiesta di perizia volta a verificare la capacità di stare in giudizio dell’imputato, nonostante le consulenze di parte e la perizia avesse riscontrato un disturbo della personalità descritto quale delirio lucido sistematizzato schizoideo di tipo persecutorio”, idoneo ad annientare totalmente la capacità processuale dell’imputato. Sul punto la Suprema Corte ha ricordato che per escludere il requisito della capacità dell’imputato di partecipare scientemente al processo non è sufficiente la presenza di una patologia psichiatrica, che nella specie è stata comunque esclusa, essendo al contrario necessario che l’imputato risulti in condizioni tali da non comprendere quanto avviene in sua presenza da non potersi difendere. Tanto premesso, i giudici di legittimità precisano che i periti si sono limitati ad ipotizzare l’esistenza di un semplice disturbo dell’adattamento con umore depresso”, inidoneo ad incidere sulla capacità dell’imputato di comprendere il significato del processo. Sulla capacità di intendere e di volere. La difesa nel quarto e sesto motivo di ricorso assumeva che l’imputato al momento dei fatti era totalmente o parzialmente incapace di intendere e di volere. E partendo, ancora una volta, dal delirio lucido sistematizzato, la Corte territoriale avrebbe dovuto accedere alla richiesta di perizia psichiatrica, in quanto tale condizione psicopatologica, unita alla storia clinica connotata da tossicofilia da cocaina, ludopatia con pratica ultradecennale di giochi d’azzardo, avrebbero originato la reazione a corto circuito” di cui l’imputato non era in alcun modo responsabile. La Suprema Corte, nel ribadire l’assenza di qualsivoglia disturbo della personalità in capo al Giardiello alla base della quale si poggiava il rigetto della richiesta di una nuova perizia sullo stato mentale dell’imputato , ritiene che non vi siano sintomi di tipo psicotico recenti o comunque riferibili al tempus commissi delicti , non essendo peraltro sufficiente una certificazione del medico di famiglia, peraltro lontana nel tempo, riferibile comunque al vizio del gioco risalente a diversi anni prima metà degli anni 2000 e non più coltivato per mancanza di denaro. Sulla premeditazione. Viene rigettato anche dal Giudice di legittimità il motivo sull’assenza della premeditazione che si fonderebbe – nella prospettiva difensiva dell’imputato – sempre sulla reazione a corto circuito, peraltro apoditticamente affermato e che le sentenze di merito hanno motivatamente escluso, anche sulla base del riscontro peritale. In ogni caso, gli ermellini ritengono congrua la motivazione dei giudizi di merito sulla configurabilità della premeditazione, avuto riguardo al fatto che l’azione criminosa, considerate le modalità di introduzione dell’arma e dei caricatori nel palazzo di giustizia, non poteva che essere il frutto di una progettazione” attenta e non sicuramente circoscritta alle ore immediatamente precedenti al fatto, ma sicuramente dispiegatasi in un arco temporale certamente più ampio. Ad essa si lega il movente, della visione complottistica che l’imputato aveva maturato nei confronti delle vittime di averlo voluto truffare o comunque depredare del suo patrimonio. Non solo preordinazione. La Suprema Corte, insomma, ritiene integrato quel quid pluris rispetto alla mera preordinazione del delitto. In argomento si ricorda la costante giurisprudenza di legittimità per la quale in tema di omicidio, l'accertamento dell'aggravante della premeditazione non può essere sorretto dal mero rilievo delle modalità esecutive del reato in considerazione dell'accuratezza nell'organizzazione dell'attività criminosa, atteso che l'aggravante non deve essere confusa con l'avvenuta preordinazione del delitto, quale di norma si riscontra in tutti i delitti contro la vita o l'incolumità personale che non abbiano caratteristiche di quelli comunemente definiti di impeto . Infatti, la preordinazione, che concerne appunto le modalità di esecuzione del disegno criminoso, non è da sola sufficiente alla configurazione della premeditazione, qualora manchino un adeguato lasso di tempo tra l'attuazione e l'ideazione del reato, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunità del recesso, nonché la persistenza della ferma risoluzione criminosa senza soluzione di continuità nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine e, cioè, gli elementi cronologico e ideologico essenziali per poter ravvisare l'aggravante della premeditazione Sez. I, n. 42267 del 2010 . Giustizia colpita al cuore. Nel dichiarare inammissibile il ricorso, la Cassazione conferma la condanna all’ergastolo chiudendo una delle pagini più tristi della giustizia italiana di una giustizia che il 9 aprile 2015 è stata colpita al cuore, proprio all’interno della sede – il Palazzo di Giustizia per l’appunto – dove si tutelano i diritti e si accertano le responsabilità.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 giugno – 7 novembre 2018, n. 50382 Presidente Bonito – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 9/06/2017, la Corte di assise di appello di Brescia confermò la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia in data 14/07/2016, pronunciata all’esito del giudizio abbreviato, con la quale G.C. era stato condannato, con la diminuente del rito, alla pena dell’ergastolo in quanto riconosciuto colpevole dei delitti di omicidio plurimo, tentato omicidio, lesioni personali e porto illegale di armi e munizioni. Con Io stesso provvedimento l’imputato era stato dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante l’esecuzione della pena e era stato, altresì, condannato al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede nonché al pagamento delle somme a titolo di provvisionale quantificate in sentenza. 2. Nel corso dei due giudizi di merito era stato accertato che, in data 9/04/2015, a seguito di una sparatoria avvenuta all’interno del Palazzo di giustizia di Milano, l’imputato aveva cagionato la morte di E.G. , C.A.L. e C.F. , aveva tentato di uccidere L.D. e aveva cagionato lesioni personali aggravate ai danni di V.S. . 2.1. In una prima fase, la tragica vicenda si era svolta all’interno dell’aula di udienza in cui si celebrava il processo penale, in cui era imputato lo stesso G. , relativo alla bancarotta fraudolenta commessa nell’ambito del fallimento della Immobiliare MAGENTA s.r.l., di cui l’odierno ricorrente era socio. Nel corso dell’udienza penale del 9/04/2015, G. si era posizionato, fin dall’inizio, sul fondo dell’aula e non, come era stato ripetutamente invitato a fare, vicino al proprio difensore, avv. R.M. , con il quale egli aveva avuto subito uno screzio dovuto all’atteggiamento insistente dell’imputato. Costui, infatti, aveva incalzato il legale affinché, nell’esame di un testimone, rivolgesse domande non consentite, tanto che lo stesso avv. R. aveva manifestato in modo plateale la volontà di rinunciare al mandato difensivo, pur accettando di proseguire la sua attività limitatamente a quell’udienza. Quindi, pochi momenti dopo l’ingresso in aula, in qualità di teste, di C.A.L. , avvocato civilista che si era occupato delle vicende societarie della Immobiliare MAGENTA s.r.l., e mentre costui si apprestava a pronunciare la formula di rito, G. , dopo avere proferito a voce alta la frase Ora basta , aveva esploso, in ripetizione e a breve distanza dalle vittime, alcuni colpi di pistola, che avevano attinto E.G. e C.A.L. , i quali sarebbero deceduti durante il tragitto in ambulanza verso le strutture sanitarie. Inoltre, nel frangente erano stati colpiti L.D. , nipote dell’imputato, il quale era stato raggiunto all’emitorace sinistro e ricoverato in ospedale in prognosi riservata e V.S. , commercialista già consulente di G. , il quale si trovava all’esterno dell’aula di udienza e aveva riportato ferite agli arti inferiori. L’aggressione non si era, però, esaurita nell’aula udienza e nello spazio ad essa antistante, posto che G. , portatosi al secondo piano del Palazzo di giustizia, aveva colpito a morte anche il giudice civile C.F. , raggiunto da due proiettili alla schiena mentre si trovava nel suo ufficio sito negli uffici dell’Ottava sezione civile del tribunale milanese. Quindi, G. , tenendo il braccio abbassato e la pistola in pugno, si era allontanato dal Palazzo di giustizia, confondendosi con la folla delle persone che scappavano e facendo perdere le proprie tracce. 2.2. Le ricerche dell’aggressore, subito attivate grazie ai sistemi di video-rilevazione delle targhe dei mezzi in transito, avevano consentito di fermare il fuggitivo nel territorio del comune di Vimercate, ove, alla vista dei Carabinieri si era lasciato arrestare senza opporre alcuna resistenza, proferendo all’indirizzo dei militari la seguente frase Meno male che mi avete fermato perché stavo andando ad ammazzarne un altro frase successivamente interpretata come riferibile all’intenzione di uccidere anche il socio D.M. , quel giorno casualmente assente all’udienza che si stava celebrando presso il tribunale milanese. Quindi, G. era stato sottoposto a perquisizione e nel vano ubicato sotto la sella del suo ciclomotore era stato rinvenuto un sacchetto contenente una pistola Beretta calibro 9X21 regolarmente denunciata, con il cane alzato e avente un proiettile in canna e ulteriori quattro colpi nel caricatore. Inoltre, un ulteriore caricatore rinvenuto nello stesso frangente conteneva altri dodici colpi inseriti. La perquisizione successivamente eseguita nell’abitazione di G. aveva, poi, consentito fra l’altro di rinvenire ulteriori venti proiettili calibro 9X21, collocati all’interno della custodia per pistola trovata aperta sul tavolo della cucina ove erano stati anche rinvenuti, fra l’altro, atti giudiziari e documenti vari, collocati in faldoni intestati a C.A. e a V. . 2.3. Dagli esami balistici e chimici era pacificamente emerso che i numerosi colpi di pistola fossero stati esplosi proprio dall’arma sequestrata a G. , la quale, sulla base di una serie di elementi indiziari, anche di carattere logico, valutati dai giudici di merito, era stata introdotta nei locali del Palazzo di giustizia il giorno stesso dell’azione omicidiaria. G. , infatti, era stato ripreso dalle telecamere esterne e interne al Palazzo mentre, alle ore 8.48, si sottoponeva ai controlli attraverso il meta/ detector posto in corrispondenza dell’ingresso di via omissis . In tale occasione, egli aveva inserito la valigetta che portava con sé nel macchinario F.E.P., le cui immagini, successivamente visionate, avevano rivelato la presenza, nella borsa usata dall’uomo, di alcune macchie compatibili con le singole componenti della pistola, la quale, accuratamente smontata, era stata evidentemente nascosta nella borsa onde consentire di eludere i sistemi di controllo. Inoltre, nella cucina della sua abitazione, era stata rinvenuta la custodia dell’arma con all’interno alcuni proiettili, indice che essa era stata prelevata la mattina degli omicidi. Lo stesso G. , del resto, aveva ammesso di avere introdotto l’arma quella stessa giornata, salvo poi rettificare tale versione all’interrogatorio del 30/06/2016, allorché aveva dichiarato di avere introdotto l’arma circa tre mesi prima affermazioni ritenute non verosimili in ragione dell’estrema vaghezza, non essendo stato specificato il luogo in cui, fino al momento del suo utilizzo, essa sarebbe stata nascosta. 2.4. I successivi accertamenti avevano consentito di appurare che i gravissimi fatti erano maturati nel contesto della vicenda imprenditoriale che aveva portato al fallimento dell’Immobiliare Magenta e degli asperrimi contrasti che ne erano scaturiti in relazione alla ripartizione di imponenti guadagni in nero conseguiti sul mercato immobiliare milanese. Una vicenda nella quale erano stati a vario titolo coinvolti, oltre a G. , anche D.M. , E.G. , T.S. e L.D. , i quali avevano rivestito vari ruoli, anche operativi, all’interno della Magenta e delle società controllate, Miami S.r.l. e Washington S.r.l., e che erano stati accusati dall’imputato di avergli sottratto cospicue risorse finanziarie. Tra i soggetti coinvolti vi erano stati anche l’avv. C.A.L. , che dopo averlo assistito aveva preteso da G. il pagamento dei suoi onorari arrivando a presentare l’istanza di fallimento, nonché il giudice C. , il quale aveva presieduto il collegio del tribunale milanese che aveva dichiarato il fallimento della Magenta e della Washington S.r.l La conflittualità tra G. e i soci e gli amministratori delle predette società, sfociate in numerose denunce e azioni giudiziarie, avevano fortemente turbato l’equilibrio psicologico dell’imputato, descritto dal fratello come depresso, agitato e nervoso, animato, secondo le sue affermazioni dell’epoca, dalla volontà di fare un casino , peraltro senza manifestare chiaramente uno specifico disegno criminale. 2.5. Il contesto sopra descritto aveva, quindi, indotto i giudici di merito a ricondurre, in primo luogo, il ferimento di L.D. nell’alveo del tentato omicidio, considerati i pessimi rapporti tra la vittima e lo sparatore e le modalità dell’azione criminosa, che non aveva portato alla morte della persona offesa solamente a causa del suo inopinato spostamento, pochi attimi prima dell’esplosione del colpo e considerato, altresì, il rammarico manifestato da G. , in occasione di una conversazione intercettata in carcere, verso quel nipote lì che se l’è cavata . 2.6. Ma soprattutto, il peculiare contesto più sopra riassunto aveva condotto i giudici dei primi due gradi ad affermare che gli omicidi fossero stati commessi con premeditazione. A questo proposito, del tutto inattendibili erano state ritenute le dichiarazioni dell’imputato, secondo cui l’arma era stata introdotta nel Palazzo di giustizia milanese in quanto egli, nel suo disegno originario, intendeva uccidersi, in maniera plateale, nel luogo simbolico delle ingiustizie patite, sicché la successiva sequenza omicidiaria si sarebbe sviluppata con modalità d’impeto a partire da una reazione a corto circuito innescata dalla condotta poco professionale tenuta dall’avv. R. nel corso dell’udienza penale. Secondo i giudici di merito, infatti, tali dichiarazioni, oltre a essere in contrasto con l’affermazione dell’imputato secondo cui l’ingresso in tribunale di pistola e munizioni fosse avvenuta ben tre mesi prima, erano smentite dal fatto che il carico di munizioni - ben ventiquattro, suddivise in due caricatori - era certamente incompatibile con una volontà suicidiaria, la quale di regola si appaga dell’utilizzo di una sola pallottola che la decisione, sin dal principio dell’udienza, di non sedersi vicino al suo difensore, collocandosi sul fondo dell’aula, era da ricondursi all’angolo visuale assai migliore della scena e dei possibili obiettivi dell’azione criminosa che di lì a poco si sarebbe dispiegata che lo stesso imputato aveva riferito di avere parcheggiato lo scooter nella stessa via del Tribunale in modo da poter girare a destra in via Sforza per fare ritorno a casa . E che l’azione omicidiaria non si fosse sviluppata con modalità d’impeto era anche dimostrato, secondo i giudici di merito, dall’accurata selezione degli obiettivi da colpire che l’imputato aveva compiuto nei concitati momenti della sparatoria, allorché aveva raggiunto unicamente le persone che riteneva coinvolte nell’asserito complotto ai suoi danni, senza ad esempio colpire l’avv. R. , pure responsabile, secondo le dichiarazioni dello stesso G. , di quella gestione scarsamente attenta alle sue esigenze difensiva che aveva innescato la menzionata reazione a corto circuito . E quanto, poi, al giudice C. , assolutamente significativa doveva ritenersi la circostanza che G. fosse andato a cercarlo nel suo ufficio, peraltro recandosi non nelle stanze della Sezione fallimentare ove il magistrato aveva lavorato fino a pochi mesi prima, quanto in quelle della Sezione Imprese, ove il magistrato al momento prestava servizio. E del resto, assolutamente significativa doveva ritenersi la circostanza che il percorso compiuto dall’imputato per raggiungere, prima di darsi alla fuga, l’ufficio della vittima designata, fosse del tutto incompatibile con la casualità dell’incontro, atteso che G. si era recato sino alla fine del corridoio posto al secondo piano, ove si trovava l’ufficio del giudice, senza seguire la via più breve per darsi alla fuga. E anzi, l’atteggiamento da lui tenuto nell’occasione, caratterizzato, secondo quanto riferito dai testimoni, da grande calma e autocontrollo, era stato ritenuto incompatibile con una reazione a corto circuito , dall’inevitabile effetto perturbante sulla dimensione emotiva del soggetto, per essere più agevolmente spiegabile con la lucida e fredda esecuzione di un proposito criminoso a lungo covato. Le stesse intercettazioni ambientali effettuate in carcere avevano evidenziato il pervicace convincimento dell’imputato dell’esistenza di un accordo occulto tra il nipote, i soci, il giudice C. e l’avv. C.A. , i quali, non a caso, l’uomo aveva ucciso, con l’eccezione dei due che mancavano ovvero L. e D. , fortunosamente scampati alla sua furia omicida. E anche il teste GA.Er. , il quale aveva prestato, circa due anni prima dei fatti, la somma di 800,00 Euro a G. , per l’acquisto della pistola, aveva ricordato che costui gli aveva confidato di essere intenzionato a commettere un atto estremo uccidendo il nipote, i soci, il commercialista e il giudice che si stava occupando della sua causa fallimentare . 2.7. Nel corso del giudizio di appello, con ordinanza in data 9/06/2017, la Corte territoriale aveva rigettato, in quanto palesemente infondata, la richiesta di sospensione del procedimento per incapacità da parte dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, nonché di perizia finalizzata ad accertare tale incapacità, essendosi G. difeso dalle accuse con piena comprensione di quanto avveniva nel corso del giudizio e avendo manifestato un’analoga lucidità durante l’esecuzione delle azioni criminose ascrittegli nonché in occasione delle conversazioni oggetto delle ricordate captazioni ambientali. Né la difesa aveva allegato alcun elemento documentale idoneo a dimostrare che G. , dopo la pronuncia di primo grado, non fosse più in grado di comprendere pienamente quanto avveniva in sua presenza e di non potersi adeguatamente difendere. 2.8. Nel merito, infine, le due sentenze ritennero la piena capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto. Dalla perizia psichiatrica disposta dal primo giudice, eseguita dai dottori M. e F. , in occasione della quale era stata vagliata la documentazione clinica acquisita presso enti pubblici e privati e il periziando era stato sottoposto a test psico-diagnostici e a colloqui anamnestici e di valutazione clinica, era emersa l’assenza di sintomi tali da indurre anche un mero sospetto sulla sussistenza di un disturbo psicotico, essendo stato documentato unicamente un semplice disturbo ansioso-depressivo, per il quale egli era stato sottoposto a un coerente trattamento farmacologico. 3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso G. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Marino COLOSIO, deducendo sette distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 3.1. Con il primo di essi, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. E , cod. proc. pen., la motivazione apparente dell’ordinanza processuale emanata dalla Corte di assise di appello di Brescia in data 9/06/2017 che aveva rigettato sia l’istanza di sospensione del processo per carenza di capacità processuale dell’imputato di partecipare coscientemente al giudizio di secondo grado, sia la richiesta della difesa finalizzata a ottenere una perizia ad hoc tendente ad accertare l’incapacità di stare in giudizio dell’imputato, avendo le consulenze di parte e la perizia riscontrato, in capo all’imputato, un disturbo della personalità configurato quale delirio lucido sistematizzato schizoideo di tipo persecutorio . Secondo l’impugnazione, la circostanza che la decisione della Corte territoriale non avesse tenuto conto della indicata risultanza processuale concretizzerebbe, come detto, un’ipotesi di motivazione apparente. 3.2. Con il secondo motivo, la difesa di G. censura, ex art. 606, comma 1, lett. E , cod. proc. pen., la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla richiamata ordinanza processuale dalla Corte di assise di appello di Brescia in data 9/06/2017 con la quale è stata respinta sia l’istanza di sospensione del giudizio di secondo grado per la incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, sia la richiesta difensiva di accertamento peritale finalizzato ad accertare la sussistenza o meno della capacità di stare in giudizio dell’imputato. Si opina che la decisione della Corte abbia illogicamente disatteso le conclusioni della perizia, secondo cui l’imputato sarebbe affetto da un delirio lucido sistematizzato schizoideo di tipo persecutorio e, dunque, da una patologia idonea a determinare un annientamento totale della capacità processuale dell’imputato . 3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B , cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge processuale penale in relazione all’art. 70 cod. proc. pen. in quanto la Corte territoriale avrebbe dovuto sospendere il processo perché l’imputato non sarebbe stato in grado di esercitare materialmente il diritto di difesa, non avendo la capacità di stare in giudizio poiché affetto da disturbi della personalità imputabili a fatti esistenziali tossicofilia da assunzione cronica da cocaina, ludopatia con spiccata propensione al giuoco d’azzardo pluridecennale, idea permanente persecutoria di essere vittima di un complotto da parte degli amici, dei soci, del commercialista degli avvocati difensori e del Giudice delle proprie cause civili che avrebbero fatto insorgere nella personalità di G. un delirio lucido sistematizzato di tipo schizoideo derivante da mania di persecuzione , il quale ne avrebbe offuscato il settore noetico, determinando l’impossibilità di partecipare coscientemente al processo penale. Invero, le descritte situazioni psicopatologiche, si sarebbero accentuate dopo la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado alla pena dell’ergastolo, sicché la descritta sindrome psicopatologica avrebbe eliminato radicalmente la capacità di stare in giudizio del prevenuto. Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe errato nell’assimilare la capacità di stare in giudizio a quella di intendere e di volere. 3.4. Con il quarto motivo, la difesa di G. denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B , cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 89, 575 cod. pen. in tema di esclusione della seminfermità mentale dell’imputato. La sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto dei rilievi contenuti nelle consulenze e nella perizia che avrebbero attestato la presenza di un disturbo della personalità denominato delirio lucido sistematizzato con mania di persecuzione di tipo schizoideo e avrebbe illegittimamente negato la richiesta di perizia psichiatrico-forense per accertare la sussistenza di una parziale infirmitas rationis. Secondo la tesi difensiva, la suddetta sindrome di carattere psicotico avrebbe determinato l’impulso criminoso. I delitti di sangue, invero, troverebbero la loro criminogenesi e criminodinamica nella pressione psichica derivante da un violento ed esasperato vissuto di persecuzioni, angherie, vessazioni e soprusi , la quale avrebbe totalmente obnubilato il settore noetico di G. e, quindi, annullato parzialmente la sua capacità di autocontrollo. Pertanto, conformemente a quanto affermato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza Raso, la Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare l’anamnesi dell’imputato, connotata da tossicofilia da cocaina, ludopatia con pratica ultradecennale di giochi d’azzardo e mania di persecuzione permanente accadimenti che avrebbero cagionato il fallimento delle imprese di G. , consolidando nella sua psiche una forma di delirio lucido sistematizzato che ne avrebbe devastato totalmente la personalità. 3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B , cod. proc. pen., dell’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 577, comma 1 n. 3 cod. pen. in quanto sarebbe stata esclusa l’aggravante della premeditazione. Diversamente da quanto ritenuto dalle sentenze, G. non avrebbe agito con freddezza d’animo e lucidità mentale, essendosi trattato di un triplice omicidio da corto circuito , atteso che l’imputato avrebbe agito per effetto del disturbo della personalità definito come sindrome schizoide con delirante mania di persecuzione . 3.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B , cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 85, 89 cod. pen Ciò in quanto la Corte territoriale, negando la richiesta difensiva di una nuova perizia psichiatrica, avrebbe omesso la valutazione del nesso eziologico sussistente tra il disturbo mentale che connoterebbe la personalità dell’imputato e i fatti di reato allo stesso ascritti, precludendo ai giudici di appello di accertare compiutamente sia la presenza o meno del dolo di premeditazione, sia la sussistenza di una eventuale seminfermità mentale imputabile al disturbo della personalità di G. . Tale accertamento non potrebbe essere pretermesso in virtù di un’esigenza individuale e garantista di tutela della persona in relazione all’antropocentrismo giusfilosofico del neocostituzionalismo Europeo contemporaneo . Né si potrebbe sostenere che l’indagine sull’aspetto personologico dell’imputato trovi un ostacolo per il fatto che la capacità di intendere e di volere dell’agente debba essere valutata in relazione al momento in cui ha commesso gli omicidi, poiché l’analisi psicosoggettiva dell’autore con riferimento agli episodi omicidiari sarebbe utile per individuare le condizioni motivanti e la causale dei delitti e il nesso eziologico tra l’individuo ed i fatti criminosi. 3.7. Con il settimo motivo, la difesa di G. censura, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. C , cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge delle norme processuali prevista a pena di inutilizzabilità ai sensi e per gli effetti dell’art. 191 cod. proc. pen Ciò in quanto il dolo di premeditazione sarebbe stato ritenuto sussistente dalla Corte territoriale mediante il riferimento specifico a prove illegittime, non acquisite in sede di istruzione dibattimentale e senza il contraddittorio delle parti, trattandosi di elementi probatori fondate su intercettazioni ambientali effettuate nel corso dei colloqui nel carcere di Monza tra G. e il fratello G. , allorquando l’imputato era già stato condannato nel giudizio di primo grado e, quindi, nel periodo intercorrente tra la celebrazione del giudizio di primo grado e la presentazione dell’appello. Ciò avrebbe determinato una violazione dei principi fondamentali del processo penale secondo cui le prove d’accusa devono essere formate e acquisite nel contraddittorio delle parti, violando, altresì, il diritto di difesa dell’imputato. 4. In data 22/05/2018, l’avv. Cesarina BARGHINI, nell’interesse di C.A.A. , costituito parte civile, ha depositato una memoria nella quale affronta le varie questioni poste dal ricorrente con il ricorso introduttivo. 4.1. Sul primo motivo, si osserva che i periti non avrebbero affatto affermato l’esistenza di un delirio lucido sistematizzato schizoideo di tipo persecutorio , diagnosticato invece dai consulenti di parte, limitandosi a configurare un disturbo dell’adattamento con umore depresso , inidoneo a influire sulla capacità di intendere e di volere. La Corte avrebbe correttamente rigettato, con motivazione immune da vizi logici, la richiesta di sospensione, tenuto conto dell’assenza di documentazione clinica idonea a supportarla ed emergendo, al contrario, dallo sviluppo del processo, la piena capacità dell’imputato di difendersi dalle accuse e, quindi, di comprendere il significato del processo. 4.2. Sul secondo motivo, ribadita l’affermazione, da parte dei periti, della esistenza di un semplice disturbo dell’adattamento con umore depresso , si sottolinea come la presenza di una patologia psichiatrica sia stata risolutamente esclusa dagli stessi, sicché nessuna contraddizione vi sarebbe tra il loro elaborato e la conclusione della Corte territoriale. 4.3. Per quanto concerne il terzo motivo, la Corte non avrebbe assimilato affatto la capacità di intendere di volere con quella di partecipare coscientemente al processo, ma si sarebbe limitata ad affermare che quest’ultima non possa essere esclusa nemmeno in presenza di una patologia psichiatrica, sottolineando, dopo avere scrutinato ogni elemento emerso nel giudizio di primo grado, che l’imputato fosse pienamente consapevole di quanto avveniva, non emergendo alcun elemento contrario nelle relazioni dei periti e dei sanitari del carcere e essendo l’incapacità smentita dalle dichiarazioni dell’imputato nel corso del giudizio. Fermo restando che la difesa non avrebbe offerto alcuna dimostrazione di segno contrario. 4.4. Con riferimento al quarto motivo, si rileva come i periti non abbiano mai riscontrato alcun disturbo della personalità, che anzi sarebbe stato risolutamente escluso. Tale conclusione sarebbe stata pienamente condivisa dalla Corte territoriale, anche alla luce della dinamica omicidiaria e delle intercettazioni in carcere, oltre che delle sommarie informazioni testimoniali, sicché la relativa decisione sarebbe scevra da ogni profilo di illogicità e contraddittorietà. E del resto, se i periti avessero accolto la tesi difensiva sulla esistenza del disturbo della personalità, non si comprenderebbe perché la difesa avrebbe lamentato il mancato accoglimento della richiesta di una nuova perizia. 4.5. Sul quinto motivo, si osserva che l’appello e i motivi aggiunti avevano avuto ad oggetto unicamente la contestazione della riconosciuta premeditazione in relazione all’omicidio del giudice C. , sicché le doglianze espresse in ricorso in ordine alla configurabilità dell’aggravante con riferimento anche agli altri delitti sarebbero in realtà precluse dalla formazione del giudicato sul punto specifico. Nel merito, il motivo sarebbe manifestamente infondato, attesa la puntuale e logica ricostruzione compiuta dalla Corte di appello. Per tale ragione, la censura sarebbe anche aspecifica, atteso che il ricorrente, senza confrontarsi con il ragionamento svolto dalla sentenza di secondo grado, si sarebbe limitato ad affermare l’incompatibilità della premeditazione con il disturbo schizoideo di mania di persecuzione , ancora una volta apoditticamente affermata. 4.6. Quanto al sesto motivo, la Corte avrebbe puntualmente motivato sia in relazione al profilo della capacità di intendere e di volere, alla stregua dell’approfondita disamina compiuta dai periti sia sul rapporto tra situazione psichica dell’imputato e i reati commessi, motivando adeguatamente e in maniera esente da vizi logici sul punto. 4.7. Quanto, infine, al settimo motivo, esso sarebbe manifestamente infondato in quanto le intercettazioni ambientali utilizzate ai fini del giudizio si collocherebbero tra il 30 aprile e il luglio 2015, ovvero prima della sentenza di primo grado. La difesa, in violazione del principio di autosufficienza, non avrebbe indicato in quale parte del fascicolo sarebbero rinvenibili le intercettazioni asseritamente inutilizzabili in quanto assunte in violazione delle norme processuali. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. I primi tre motivi, tutti attinenti alla asserita illegittimità, per violazione di legge e per vizio di motivazione, dell’ordinanza in data 9/06/2017 con cui la Corte ha rigettato sia l’istanza di sospensione del processo per carenza di capacità dell’imputato di parteciparvi coscientemente, sia la richiesta di perizia volta a verificare la capacità di stare in giudizio dell’imputato, devono essere trattati unitariamente, attesa l’evidente afferenza degli stessi alle medesime problematiche. Secondo la tesi difensiva, avendo le consulenze di parte e la perizia riscontrato, in capo all’imputato, un disturbo della personalità configurato quale delirio lucido sistematizzato schizoideo di tipo persecutorio e, dunque, da una patologia idonea a determinare un annientamento totale della capacità processuale dell’imputato , la Corte territoriale avrebbe dovuto sospendere il processo, atteso che l’imputato non sarebbe stato in grado di esercitare materialmente il diritto di difesa, essendosi peraltro registrata una ulteriore accentuazione della condizione psicopatologica a partire dalla sentenza di condanna di primo grado alla pena dell’ergastolo. 2.1. Preliminarmente, giova rilevare che ai fini di escludere il requisito della capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo non è sufficiente la presenza di una patologia psichiatrica, che nella specie è stata comunque esclusa, essendo al contrario necessario che l’imputato risulti in condizioni tali da non comprendere quanto avviene in sua presenza da non potersi difendere Sez. 6, n. 25939 del 17/03/2015, dep. 19/06/2015, Zanetti, Rv. 263807 Sez. 1, n. 14803 del 7/03/2012, dep. 18/04/2012, Condello, Rv. 252267 Sez. 6, n. 2419 del 23/10/2009, dep. 20/01/2010, Baldi, Rv. 245830 Sez. 1, n. 19338 del 11/05/2006, dep. 5/06/2006, Santapaola, Rv. 234223 . 2.2. Nel caso di specie, nondimeno, i periti non hanno affatto affermato l’esistenza di un delirio lucido sistematizzato schizoideo di tipo persecutorio , riscontrato dai consulenti di parte, limitandosi a ipotizzare l’esistenza di un semplice disturbo dell’adattamento con umore depresso , come tale inidoneo a incidere sulla capacità dell’imputato di comprendere il significato del processo, essendo emerso nel giudizio di primo grado che G. era pienamente consapevole di quanto avveniva, sicché la sentenza impugnata non si è posta in alcun contrasto con le risultanze dell’accertamento peritale. 3. Venendo alle questioni relative alla capacità di intendere e di volere, l’impugnazione prospetta, con il quarto e il sesto motivo, una serie di doglianze in ordine alla non corretta valutazione delle risultanze dell’accertamento peritale svolto nel corso del giudizio di primo grado, con illogica pretermissione di una serie di elementi probatori idonei a suffragare la tesi difensiva della non imputabilità, totale o parziale, del ricorrente. Si assume, in tesi difensiva, che le emergenze processuali avrebbero attestato la presenza di un disturbo della personalità denominato delirio lucido sistematizzato con mania di persecuzione di tipo schizoideo e che, a partire da tale condizione psicopatologica la Corte territoriale avrebbe dovuto, innanzitutto, accedere alla richiesta difensiva di una nuova perizia psichiatrica e, in ogni caso, avrebbe dovuto riconoscere, conformemente a quanto affermato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza Raso, che tale condizione psicopatologica, unitamente alla storia clinica connotata da tossicofilia da cocaina, ludopatia con pratica ultradecennale di giochi d’azzardo e mania di persecuzione permanente, avrebbero favorito l’insorgenza di una reazione a corto circuito di cui l’imputato non sarebbe in alcun modo responsabile, in quanto totalmente incapace, ovvero parzialmente responsabile, in quanto affetto da vizio parziale di mente. 3.1. Osserva il Collegio che la sentenza impugnata ha correttamente rilevato come, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, i periti, i realtà, non abbiano mai riscontrato alcun disturbo della personalità in capo all’odierno ricorrente, escluso anche alla luce delle particolari modalità dell’azione delittuosa, dei contenuti delle captazioni di conversazioni in carcere, delle sommarie informazioni testimoniali. E anzi, proprio il mancato riconoscimento della fondatezza della tesi difensiva sulla esistenza del disturbo della personalità ha consentito al ricorso di censurare il rigetto della richiesta di una nuova perizia sullo stato mentale dell’imputato da parte della Corte territoriale. Invero, gli accertamenti peritali svolti nel corso del giudizio di primo grado hanno consentito di escludere, da un lato, la sussistenza di un disturbo delirante paranoideo di tipo persecutorio e, dall’altro lato, anche di un vero e proprio disturbo di personalità , ossia una situazione patologica strutturale eventualmente idonea di incidere, in maniera anche significativa, sulla capacità di intendere e di volere del soggetto, non essendo stata ritenuta significativa la certificazione in data 29/10/2010 del medico di famiglia, dott.ssa L. , peraltro mai prodotta dalla difesa, asseritamente attestante un disturbo ossessivo-compulsivo con grado da dipendenza da gioco diagnosi ritenuta generica e riferibile a un vizio del gioco risalente a diversi anni prima e non più coltivato anche per mancanza di denaro. E anche le periodiche visite psichiatriche eseguite dopo l’attuale carcerazione, fin dalle prime ore trascorse all’interno della struttura penitenziaria, non hanno registrato alcun sintomo di tipo psicotico, il quale è stato categoricamente escluso dai periti, anche alla luce dei positivi effetti conseguenti alla somministrazione delle terapie con antidepressivi e ansiolitici. Inoltre, quanto ai dati anamnestici, per stessa ammissione dell’imputato, egli aveva smesso di assumere cocaina da anni e il vizio del gioco risaliva a metà degli anni 2000. 4. Venendo, poi, al quinto motivo, con il quale la difesa di G. lamenta l’esclusione dell’aggravante della premeditazione in ragione della peculiarità dell’azione, sul piano criminodinamico, caratterizzata dalla reazione a corto circuito a sua volta correlata al disturbo della personalità definito come sindrome schizoide con delirante mania di persecuzione , la relativa doglianza è, sotto diversi aspetti, inammissibile. Sotto un primo profilo, merita di essere condivisa l’osservazione contenuta nella memoria della parte civile depositata in data 22/05/2018, secondo cui con l’atto di appello e con i relativi motivi aggiunti era stata censurata la configurabilità della premeditazione con riferimento al solo omicidio del giudice C. . Ne consegue che le doglianze espresse nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità in ordine alla configurabilità dell’aggravante in relazione agli ulteriori delitti devono ritenersi precluse. Sotto altro aspetto, il motivo è manifestamente infondato. Intanto, perché le censure sono chiaramente aspecifiche, dal momento che il ricorrente si è limitato ad affermare che la premeditazione avrebbe dovuto essere esclusa in ragione della reazione a corto circuito , apoditticamente affermata a partire dall’esistenza di un disturbo schizoideo di mania di persecuzione , che le sentenze hanno motivatamente escluso e che la difesa ha, ancora una volta, affermato esistesse senza però dimostrarlo. E in questo modo, senza confrontarsi in alcun modo con il ragionamento svolto dalla sentenza di secondo grado, il ricorso ha sviluppato una lettura alternativa del materiale probatorio, peraltro integrandolo con indimostrati elementi fattuali. In ogni caso, anche a voler prescindere da tali definitivi e comunque insuperabili rilievi, va rilevata la puntuale e congrua motivazione offerta dai giudici di merito in relazione alla configurabilità, nella specie, della premeditazione, avuto riguardo al fatto che l’azione criminosa, considerate le modalità di introduzione dell’arma e dei caricatori nel palazzo di giustizia, non poteva che essere frutto di una progettazione attenta e certamente non circoscritta alle ore immediatamente precedenti al fatto, ma sicuramente dispiegatasi in un tempo significativamente più ampio, nonché all’esistenza di un chiarissimo movente riconducibile all’esacerbata visione complottistica che l’imputato aveva da tempo maturato in ordine al fatto che il giudice C. si fosse accordato con le controparti e con gli avvocati per depredare il suo patrimonio e in relazione al livore globale maturato da G. nei confronti del nipote, L.D. , degli altri soci e del commercialista rei di averlo truffato . 5. Infine, anche le questioni poste con il settimo motivo sono inammissibili. Sotto un primo profilo il ricorso non è autosufficiente, dal momento che esso non indica, in maniera specifica, a quali intercettazioni esso intenda riferirsi, né le ha allegate al ricorso. Sotto altro aspetto, la doglianza è, comunque, manifestamente infondata, dal momento che secondo quanto specificato nella sentenza impugnata le captazioni ambientali effettuate presso la Casa circondariale di Monza, cui sembrerebbe riferirsi il ricorso, devono essere collocate, temporalmente, tra il 30 aprile 2015 e il luglio dello stesso anno e, dunque, ben prima della sentenza di primo grado, pronunciata nel luglio 2016. Manifestamente infondate, anche per la loro scarsa perspicuità, sono le deduzioni difensive circa la mancata assunzione in dibattimento delle intercettazioni e la violazione del contraddittorio, tenuto conto della peculiare natura giuridica delle intercettazioni quali tipici atti a sorpresa compiuti fuori dalla cornice del giudizio dibattimentale e non essendo, per definizione, ipotizzabile, al momento della captazione, alcun contraddittorio tra le parti, che quindi involge unicamente il momento della loro acquisizione agli atti del giudizio e della valutazione del loro contenuto, pienamente assicurato nel caso di specie e in ogni caso fatto oggetto di generiche censure. 6. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 Euro. Inoltre, G. deve essere condannato alla rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili costituite, spese che devono essere liquidate, in favore di C.A.M.N., in tremilacinquecento Euro, in favore di N.S. , in tremilacinquecento Euro, in favore di MO.Ro. e m.r., in quattromiladuecento Euro, in favore di B.P.A., B.P.A., C.A.F. e F.V., in seimilatrecento Euro, in favore di C.A.A., in quattromila Euro, oltre, per tutti, a spese generali, Iva e Cpa come per legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili costituite, spese che liquida, in favore di C.A.M.N., in Euro tremilacinquecento, in favore di V.S., in Euro tremilacinquecento, in favore di MO.Ro. e M.R., in Euro quattromiladuecento, in favore di B.P.A., B.P.A., C.A.F. e F.V., in Euro seimilatrecento, in favore di C.A.A., in Euro quattromila, oltre, per tutti, spese generali, Iva e Cpa come per legge.